La degenerazione maculare senile è una malattia degenerativa che coinvolge la parte centrale della retina, ovvero la macula: si tratta della parte deputata alla visione discriminativa diurna, punto della massima acuità visiva, alla quale compete il riconoscimento di strutture fini: come dire che grazie alla macula è possibile leggere, riconoscere i particolari del viso delle persone, distinguere i colori e così via.
Gli effetti della malattia sono un lento e progressivo decadimento dell’acuità visiva, con perdita della visione localizzata alla parte centrale del campo visivo. La degenerazione maculare senile, della quale sono note una forma detta non-neovascolare (secca o atrofica) e una detta invece neovascolare (umida o essudativa), rappresenta la causa più comune di cecità legalmente riconosciuta nei paesi occidentali tra le persone oltre i 60 anni d’età.
Diffusione
La degenerazione maculare senile neovascolare/essudativa è meno frequente rispetto alla forma secca. Alla forma non neovascolare della degenerazione maculare senile sono associate percentualmente una maggior quantità di perdite visive da lievi a moderate e solo il 10-20% circa dei casi di cecità completa.
Le analisi sul possibile ruolo causale dell’esposizione alla luce solare sulla comparsa della degenerazione maculare senile non sono giunte a conclusioni univoche. Molte ricerche sono state effettuate sul ruolo dell’aterosclerosi, delle malattie cardiovascolari, dell’ipertensione arteriosa, dell’ipercolesterolemia e del diabete.
Segni e sintomi
L’esame oftalmoscopico del fundus oculi, cioè della parte posteriore dell’interno dell’occhio in cui si trova la retina, consente di evidenziare alcune alterazioni tipiche della malattia, tra cui quelle note come hard e soft drusen, degenerazione e dell’epitelio pigmentato retinico, atrofia geografica dell’epitelio pigmentato retinico, neovascolarizzazione coroideale.
Non tutti i pazienti con degenerazione maculare senile presentano disturbi, o meglio: alcuni pazienti, quando vengono sottoposti a test specifici (per esempio, la griglia di Amsler), anche se affetti da questa malattia, non risultano positivi al test. È quindi compito del medico oculista ricercare le lesioni oculari tipiche ogni volta che un paziente lamenti visione distorta (le cosiddette metamorfopsie), assenza di percezione visiva circoscritta nel campo di sguardo (gli scotomi) o altre modificazioni della visione.
Terapia
Le attuali conoscenze scientifiche hanno permesso di individuare delle terapie efficaci soltanto per la forma più rara della patologia, ovvero quella neovascolare-essudativa e non per quella atrofica; qust’ultima, anche se è ben più frequente, fortunatamente comporta un calo visivo importante solo dopo molto tempo dalla sua insorgenza, mentre la forma umida (neovascolare-essudativa) è causa di una rapida, progressiva e repentina perdita dell’acuità visiva.
Fotocoagulazione laser Fotocoagulazione laser e terapia fotodinamica sono finora gli unici trattamenti approvati nel nostro Paese per questa malattia. Tuttavia, questi trattamenti sono limitati a casi molto ben selezionati, in quanto creano un danno irreversibile a livello dei fotorecettori sovrastanti l’area affetta dallo stesso processo di formazione di nuovi vasi sanguigni (neovascolarizzazione). Il trattamento con laser termico della porzione centrale della macula produce un calo della visione: per questo motivo la fotocoagulazione laser è indicata solo nelle lesioni iniziali ben definite, situate al di fuori o adiacenti alla fovea (la parte della macula dove è più alta l’acuità visiva).
Terapia fotodinamica Da alcuni anni è stata approvata ed è entrata nella pratica clinica la terapia fotodinamica con verteporfina: rappresenta un approccio alternativo alla fotocoagulazione laser che permette il trattamento selettivo delle lesioni neovascolari mediante l’occlusione dei vasi sanguigni neoformati, senza creare danno agli strati retinici sovrastanti. La terapia fotodinamica si attua in due fasi: la prima consiste nell’iniezione endovenosa di un farmaco fotosensibile (ossia attivato da un raggio luce), seguita dall’applicazione di una luce laser non termica. In seguito all’esposizione alla luce laser, si innesca una cascata di reazioni che culmina con la formazione di radicali liberi intracellulari in grado di alterare le strutture cellulari (membrane citoplasmatiche, mitocondri, membrane lisosomiali). Il danno da radicali liberi sulle cellule che rivestono l’interno dei vasi sanguigni neoformati determina l’attivazione e l’adesione delle piastrine, la formazione di trombi e, infine, l’occlusione. Dopo la terapia fotodinamica possono insorgere complicazioni di fronte alle quali è necessario un nuovo trattamento per limitare il danno funzionale. [R.N.,G.F.]