I grassi sono nutrienti molto importanti per l’organismo, nel quale svolgono inoltre funzioni quali quelle di riserva energetica, componenti delle membrane cellulari in tutti i tessuti e precursori di diverse sostanze (prostaglandine, trombossani, leucotrieni) che regolano il sistema cardiovascolare, il sistema immunitario e la coagulazione del sangue. I grassi in realtà appartengono a una famiglia molto eterogenea che comprende, tra l’altro, i trigliceridi, i fosfolipidi, i glicolipidi e gli sfingolipidi: comuni a tutti gli elementi di questa famiglia sono le loro unità chimiche di base, appunto gli acidi grassi, costituiti da “catene” di atomi di carbonio, di lunghezza variabile, legati tra loro da legami semplici o doppi. In particolare, quando le catene sono tenute insieme da legami semplici si parla di grassi saturi, se i legami sono doppi di grassi insaturi e ancora, se è presente solo un doppio legame, i grassi vengono detti monoinsaturi (in sigla, MUFA, acronimo inglese di MonoUnsaturated Fatty Acids), se invece sono presenti più doppi legami i grassi sono chiamati polinsaturi (in sigla PUFA, PolyUnsaturated Fatty Acids). Questi ultimi sono ulteriormente classificati in base alla posizione del primo doppio legame a partire dal terminale metilico (CH3) della catena: tale posizione è definita posizione omega ed è indicata con la lettera greca w (omega, appunto) o con la lettera “n” seguite da un numero, per esempio acidi grassi w-3 (o n-3) oppure w-6 (o n-6). Tutti i grassi apportano la stessa quantità di energia, pari a 9 Kcal/g, ma i trigliceridi sono grassi di deposito e sono prevalentemente concentrati nel tessuto adiposo, come materiale di riserva energetica, mentre i fosfolipidi e i grassi polinsaturi che li costituiscono sono componenti delle membrane cellulari. Gli acidi grassi polinsaturi sono particolarmente importanti perché coinvolti a livello sia strutturale sia metabolico nell’attività dell’organismo, ma purtroppo non possono essere prodotti da quest’ultimo e devono quindi essere assunti con l’alimentazione per evitare situazioni di carenza: per questo vengono qualificati come nutrienti essenziali. Il precursore della serie omega-6 è l’acido linoleico (18 atomi di carbonio e 2 doppi legami), mentre il precursore della serie omega-3 è l’acido a-linolenico (18 atomi di carbonio e 3 doppi legami ) da cui derivano rispettivamente l’acido arachidonico (ARA) e gli acidi eicosapentaenoico (EPA) e docosaesaenoico (DHA). L’acido eicosapentaenoico ha un’importante azione sul metabolismo dei grassi, in quanto aumenta le lipoproteine HDL (che apportano effetti benefici alle arterie) e in questo modo contrasta l’aterosclerosi. L’acido docosaesaenoico agisce invece prevalentemente a livello strutturale perché è presente nei fosfolipidi cerebrali, dove svolge un ruolo importante nello sviluppo e nella maturazione cerebrale, nello sviluppo dell’apparato riproduttivo e in quello del tessuto retinico. Dall’acido arachidonico e dall’acido eicosapentaenoico derivano poi le sostanze dette eicosanoidi (prostaglandine, prostacicline, trombossani), coinvolte in numerose reazioni cellulari: i derivati dell’acido arachidonico inducono l’infiammazione, la vasocostrizione e l’aggregazione piastrinica, mentre i derivati dell’acido eicosapentaenoico hanno azione esattamente contraria e stimolano la protezione immunitaria.L’organismo, dunque, assume i precursori dei grassi omega-3 e dei grassi omega-6 con gli alimenti, ma può produrre le sostanze “derivate” grazie a specifici sistemi enzimatici: le due famiglie di grassi utilizzano però in modo competitivo gli stessi enzimi e ciò può determinare la prevalenza degli effetti di una serie rispetto a quelli dell’altra.
Effetti degli omega-3
A metà del Novecento la scoperta del cosiddetto paradosso eschimese, in base al quale tra la popolazione degli inuit si registrava una bassa prevalenza di malattie cardiovascolari nonostante l’assunzione di elevate quantità di grassi animali, fece emergere l’ipotesi che i grassi omega-3 presenti in grande quantità nella loro dieta fossero l’elemento protettivo della dieta esquimese.
Questa ipotesi è stata confermata da diversi studi clinici, i quali hanno dimostrato gli effetti favorevoli dei grassi omega-3 sulla mortalità per malattie cardiovascolari.
Tali effetti benefici, esercitati soprattutto dagli acidi EPA e DHA, a livello cardiocircolatorio si esplicano nel controllo delle aritmie cardiache, nell’attività antitrombotica, antiaterosclerotica, antinfiammatoria e nella capacità di ridurre i livelli dei trigliceridi nel sangue; in gravidanza inoltre i grassi omega-3 favoriscono l’ottimale sviluppo cerebrale del feto e del neonato.
Le proprietà antinfiammatorie dei grassi omega-3 sono state sfruttate in alcune malattie oncologiche e infiammatorie (rettocolite ulcerosa, sindromi vasculitiche): in quest’ambito l’utilizzo di EPA, in capsule o miscelato, sarebbe in grado di ridurre la produzione delle sostanze implicate nella genesi dei fenomeni infiammatori (citochine) e di influenzare positivamente i sintomi delle malattie.
Quanti acidi grassi nella dieta?
Nella dieta equilibrata dell’adulto, l’apporto dei grassi dovrebbe rappresentare il 25-30% delle calorie giornaliere ed essere ripartito come segue:
Inoltre il rapporto tra acidi grassi della serie omega-6 e della serie omega-3 dovrebbe essere almeno di 4-5 a 1, con un apporto di grassi omega-6 pari a circa 4-6 g al giorno e di grassi omega-3 pari a circa 1 g giornaliero.
[L.R.]