Ernia del disco -Terapia chirurgica
Solo pochi anni fa l’opzione chirurgica era considerata molto più frequentemente di oggi, mentre attualmente, alla luce della valutazione a distanza degli interventi allora eseguiti, delle indagini strumentali più sofisticate e della storia naturale di questa patologia, si è arrivati a conclusioni molto più restrittive.La valutazione finale spetta in ogni caso all’esperienza del chirurgo, che dovrà discuterne in maniera franca e informata con il paziente; sostanzialmente però le linee guida internazionali convengono sui criteri che, in linea di massima, devono sussistere contemporaneamente per porre indicazione chirurgica elettiva:
- fallimento di una terapia conservativa condotta per almeno quattro settimane, con modalità e intensità ritenute corrette;
- sintomi sensitivi nel territorio di pertinenza della radice interessata;
- segni obiettivi di coinvolgimento sensitivo o motorio o dei riflessi nel territorio di pertinenza o elettromiografia positiva per danno neurologico importante;
- reperto TAC o RM positivo per ernia del disco a livello della radice nervosa corrispondente al quadro clinico.
Solo l’interessamento di più radici nervose con deficit anche del controllo vescicale, definito come sindrome della cauda equina da ernia del disco intervertebrale, rappresenta un’indicazione assoluta all’intervento di asportazione dell’ernia del disco, da effettuare urgentemente.
Gli interventi chirurgici di norma proposti si differenziano per l’ampiezza del campo operatorio e dell’accesso chirurgico, ma sostanzialmente sono tutti finalizzati a rimuovere il materiale erniato e liberare la radice nervosa. Gli interventi più praticati e validati dall’esperienza sono la discectomia standard e la microdiscectomia; in casi particolari si può ricorrere alla sostituzione del disco intervertebrale.
La scelta di una metodica rispetto a un’altra è compito del chirurgo, che la effettua in base alla propria esperienza e al quadro clinico: indispensabile è, in ogni caso, informare correttamente il paziente su indicazioni, tempi di recupero, rischi e complicanze. La scelta deve essere consapevole e partecipata da parte del soggetto. È necessario essere informati, per esempio, che la chirurgia garantisce di togliere il male alla gamba e non il mal di schiena, e che sul lungo periodo il rischio di ricaduta è lo stesso sia che ci si operi, sia che non lo si faccia. L’intervento chirurgico, poi, è invasivo, lascia esiti cicatriziali, richiede una convalescenza, e il rischio di ricaduta è molto alto per i due anni successivi. Per questa ragione (oltre che per accelerare i tempi di recupero verso un’attività normale) dopo l’intervento chirurgico va effettuato un programma di riabilitazione, da iniziare entro 4-6 settimane dall’intervento.
[C.C., A.B.]
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