Oppioidi -Storia
La storia travagliata dei derivati dell’oppio, e del loro uso in medicina, rende ragione dei falsi miti che impregnano tuttora la cultura moderna riguardo a questi farmaci. L’utilizzo dei derivati del Papaver sonniferum risale probabilmente alla preistoria, dal momento che sono state ritrovate capsule di tale fiore in reperti databili a 30.000 anni fa. Dati certi sull’impiego dell’oppio si ricavano poi dai Sumeri, i cui medici 5000 anni fa chiamavano il papavero Hul (gioia) e Gil (pianta), quindi “pianta della gioia”; furono i Sumeri a diffondere l’uso del papavero da oppio presso altri popoli, come gli Assiro-Babilonesi e gli Egiziani, e proprio in Egitto, in un antico papiro (Il libro ermetico dei medicamenti), si ritrova la prescrizione dell’oppio come sedativo. Nell’antica Grecia l’oppio trovò accaniti oppositori. Eristrato, medico a Ceo 500 anni prima di Cristo, scrisse che «l’utilizzo dell’oppio dovrebbe essere completamente abbandonato perché rende dipendenti»; Diagora di Melo, filosofo del 300 a.C., arrivò a dire che «è meglio soffrire di dolori che diventare dipendenti dall’oppio». D’altra parte il grande Ippocrate consigliava l’oppio contro numerosi mali e Asclepio di Bitinia (129-40 a.C.), il padre della teoria atomistica (intuì infatti che la materia è composta da atomi), non lesinava ai suoi pazienti sofferenti il diacodio, sciroppo a base di papavero da lui preparato. Nell’antica Roma, Galeno teneva così tanto all’oppio da affermare che «sine opio medicina claudicat» (senza l’oppio la medicina zoppica); diffuse inoltre tra i medici di Roma la teriaca, un farmaco contenente una discreta quantità di oppio inventato da Andromaco, medico personale di Nerone. Tale farmaco venne perfezionato nel tempo e utilizzato fino all’alto Medioevo e alla nascita delle prime università. San Benedetto da Norcia, nel 500, scrive nelle Regole che l’oppio è «infirmorum cura ante omnia et super omnia» e i suoi monaci amanuensi riportano le prime ricette per l’anestesia in preparazione di interventi chirurgici a base di oppio (Ypnoticum adiutorium). L’oppio diventa così il composto più presente nei rimedi contro il dolore e, in seguito, il suo uso viene ufficialmente approvato e consigliato prima dalla Scuola salernitana, successivamente dalle università. Si deve a un alchimista svizzero un po’ stravagante dei primi del cinquecento, Philippus Aureolus Theophrastus Bombastus von Hohenheim, che si faceva chiamare Paracelso (per chiarire a tutti che lui era più grande del grande medico Celso), l’invenzione della tintura di oppio o laudano. Questo farmaco venne perfezionato nel 1619 dal reverendo Thomas Sydenham, considerato l’Ippocrate inglese, il quale stabilì l’esatta percentuale di oppio che doveva essere presente nella tintura (10%), rimedio che risultò in effetti molto efficace contro ogni tipo di dolore. Nel Ricettario sanese redatto dai frati camaldolesi in Siena nel 1777 si trova comunque la raccomandazione che tale tintura «non si ponga in opera senza l’approvazione di prudente medico e sempre con gran circospezione». Nel 1836 venne pubblicato Enchiricon, trattato di medicina del medico personale del Re di Prussia, Christopher Wilhelm Hufeland, che attribuì l’appellativo di “veri e propri eroi” a tre rimedi, il salasso, i farmaci emetici e l’oppio: di quest’ultimo affermò che «di tutti i rimedi nessuno, più di questo, riesce a ridurre in modo così efficace o far sparire, come per incanto, per un certo periodo di tempo, dolore e paura!». Nel 1805, intanto, un giovane garzone della farmacia Klein di Paderborn in Germania, Friedrich Wilhelm Adam Serturner, era riuscito con pochissimi mezzi e tanta curiosità a cristallizzare dall’oppio una sostanza dieci volte più potente, che per il suo effetto soporifero chiamò Morphium in onore di Morpheus (la divinità greca del sonno). Nel corso dello stesso secolo furono scoperte la codeina (Robiquet, 1832) e la papaverina (Merck, 1848). A tutt’oggi la morfina è il farmaco oppioide di riferimento per la sua maneggevolezza, la scarsità degli effetti collaterali, la facilità con cui è possibile dosarla e il suo basso costo. Alla morfina seguì la produzione di sostanze di sintesi morfino-correlate, gli oppioidi, e fu il primo caso in cui da un prodotto principale si produsse una cascata di prodotti correlati.
Negli Stati Uniti e nel Regno Unito, prima degli inizi del Novecento, la vendita di oppioidi era assolutamente libera e l’uso quasi domestico. Morfina e laudano erano presenti in preparazioni vendute al pubblico come rimedio per tosse, raffreddore, diarrea e mal di denti; esisteva addirittura uno sciroppo, chiamato rimedio di Mrs. Winslow, venduto comunemente dal 1830 al 1910 per i disturbi di dentizione nei bambini, nonostante avesse un contenuto tale di morfina da mandare in overdose circa la metà dei soggetti che l’avessero assunto senza esserne assuefatti. L’utilizzo iniziò a cambiare quando, nel timore di un abuso sociale e individuale di morfina, venne introdotta una regolamentazione più rigorosa (1914), ma si deve comunque arrivare fino al 1953 per assistere a un riscatto della morfina: un anestesista italo-americano, John Bonica, dell’ospedale militare di Madigam a Washington, scrisse che i narcotici e in particolare la morfina, quando usati precocemente, non avevano rivali come analgesici nelle patologie inoperabili. Da tale affermazione si sviluppò un dibattito internazionale che portò, nel 1973, al primo meeting internazionale sul dolore, in cui si sancì che il sollievo dal dolore da cancro era un diritto fondamentale di ogni malato. Nel 1986, l’Organizzazione Mondiale della Sanità pubblicò Cancer Pain Relief , le prime “linee guida” per il controllo del dolore da cancro, in cui si dava indicazione all’utilizzo di farmaci oppioidi secondo principi tuttora validi: assunzione regolare di oppioidi, a orari fissi, con possibilità di dosi al bisogno, utilizzando prioritariamente le vie di somministrazione più semplici come quella orale.
Cerca in Medicina A-Z