di Oscar Puntel
Salvatore Usala (nella foto qui sopra, in uno scatto del 2012), paladino delle battaglie dei disabili gravi, è morto il 6 settembre 2016: era malato di Sla, la sclerosi laterale amiotrofica, da oltre dieci anni. Ed era anche il segretario del Comitato 16 novembre, associazione che raggruppa anche altri malati di Sla e i loro familiari, e che si batte proprio per il riconoscimento dei diritti delle persone come Usala, affette da patologie gravissime. Le sue condizioni si erano aggravate da metà agosto.
Ma che cosa è la Sla e a che punto è la ricerca? Continua sfogliare l’articolo per saperne di più.
settembre 2016
CHE COS’È LA SLA
Sla è l’acronimo di Sclerosi laterale amiotrofica. «È una patologia neurodegenerativa (cioè che riguarda le cellule del nostro sistema nervoso, che va incontro a un processo di morte “accelerata“).
In particolare, nella Sla sono colpiti i motoneuroni, cioè quei neuroni che comandano il movimento dei muscoli. Di conseguenza, quello che si verifica nei pazienti malati di Sla è che con il procedere della malattia vi è una progressiva perdita del controllo dei movimenti dei muscoli e quindi progressiva paralisi.
È una malattia che riguarda il sistema motorio ma - e questa è una scoperta recente - nel 10% circa dei casi c’è anche un interessamento di alcune funzioni cognitive. Si possono notare per esempio disturbi dell’attenzione, del linguaggio e delle funzione esecutive, come la capacità di pianificazione delle azioni» ci spiega Nicola Ticozzi, ricercatore presso l’Irccs Istituto Auxologico Italiano di Milano.
QUANTI SONO I MALATI
Non esiste un numero ufficiale di quante persone soffrano di Sla. In Italia non abbiamo ancora un registro nazionale.
Ma vi è una stima: almeno 3.500 malati e mille nuovi casi all’anno.
A livello mondiale, sulla rivista scientifica Nature (agosto 2016) è comparso una dato: 200mila persone malate nel 2015, che sarebbero in aumento e nel 2040 potrebbero arrivare a oltre 370 mila.
COME SI RICONOSCE LA SLA
«La malattia non colpisce tutti i pazienti allo stesso modo, anche perché i motoneuroni comandano tutte le parti del corpo, dai movimenti fini delle mani alla deambulazione. Quindi alcuni segnali potrebbero riferirsi all’incapacità di semplici azioni, come abbottonarsi la giacca, aprire una porta, usare le chiavi.
Altri casi manifestano problemi alle gambe, quindi per esempio le persone inciampano sulla punta del proprio piede. Altri ancora hanno difficoltà nella parola o nella deglutizione: parlano male o avvertono un cambio nel tono della voce.
Di fronte a questi segnali iniziali, il paziente non va dal neurologo subito, ma dall’ortopedico o dal fisiatra o dall’otorino perché pensa a qualcos’altro. Dopo questi sintomi iniziali, quello che si vede è una progressiva paralisi», chiarisce Ticozzi.
QUALI SONO LE CAUSE
Le cause della Sla non si conoscono con certezza. Ci sono però diversi filoni di studio.
Si parla di fattori genetici che aumentano la predisposizione della malattia. Proprio Nicola Ticozzi è stato fra le firme di una importante ricerca sul gene NEK1, la cui mutazione sembrerebbe essere implicata nei meccanismi della malattia. Si sono ritrovate anche alcune cause ambientali e negli stili di vita che possono, in persone predisposte, facilitarne l’insorgenza.
A CHE PUNTO È LA RICERCA
Ancora Nicola Ticozzi, dell’Auxologico di Milano, ci spiega: «Abbiamo fatto molti passi avanti, negli studi sul meccanismo alla base della malattia. Ci si sta indirizzando nella ricerca di base, con studi di genetica, studi dei meccanismi di neuro-infiammazione e poi ricerca clinica per l’identificazioni di marcatori, test o parametri per arrivare a diagnosticare la malattia o per monitorare la sua evoluzione».
«Uno dei problemi della Sla è che non esiste un vero esame che permette di fare una diagnosi per esempio con una risonanza magnetica: «Si fa una diagnosi clinica, raccogliendo la storia del paziente, poi si procede con una serie di esami di laboratorio per escludere altre malattie neurologiche che potrebbero mimare i sintomi della Sla, ma che non sono Sla», conclude l’esperto.
LE TERAPIE A DISPOSIZIONE
Al momento, gli studi farmacologici hanno trovato una molecola (il riluzolo) che consente di rallentare in maniera moderata la progressione della malattia.
«Ci sono però anche altri farmaci in fase di sperimentazione: alcuni sono promettenti ed è verosimile che la farmacologia nei prossimi anni ci darà altri strumenti terapeutici» chiarisce il ricercatore.
«È molto probabile che si andrà verso una terapia “ritagliata” sul paziente e che questa sarà un mix di terapia genica, farmacologica e cellule staminali, altro settore su cui si sta indirizzando la ricerca».
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