Tecnica consistente nell’isolare una cellula e la sua discendenza, allo scopo di ottenere una linea cellulare (chiamata clone) derivante da un solo capostipite, e quindi dotata di un patrimonio genetico rigorosamente identico.
La clonazione, molto utilizzata in genetica e biologia molecolare, permette, per esempio, di ottenere un gran numero di batteri tutti dotati del particolare gene che si intende studiare.
A tal fine, è sufficiente inserire in un batterio il gene oggetto di indagine e permettere a quest’unico batterio modificato di moltiplicarsi.
La clonazione terapeutica consiste nel coltivare cellule multipotenti, in modo che assumano caratteristiche di cellule appartenenti a determinati tessuti, come la pelle, il tessuto nervoso, i muscoli, il fegato e così via.
La loro introduzione in un organo leso potrebbe indurre la rigenerazione del tessuto danneggiato: miocardio in caso di infarto, cellule nervose in caso di malattie degenerative (come quella di Alzheimer e il morbo di Parkinson), pancreas nel diabete e così via.
La clonazione riproduttiva, consistente nel trasferire il nucleo di una qualunque cellula adulta (che non sia uno spermatozoo) in un ovulo di cui sostituisce il nucleo, solleva, se applicata all’uomo, vari interrogativi etici.
È stata dichiarata “contraria alla dignità umana” dall’UNESCO nel 1997 e dalla Dichiarazione universale sul genoma umano e sui diritti dell’uomo (adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite) nel 1998.
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