Osteosintesi
Ricomposizione dei frammenti ossei di una frattura mediante viti, graffe, placche, chiodi, stecche metalliche o altri mezzi meccanici. Trova impiego soprattutto per immobilizzare le fratture instabili, o che rischiano di danneggiare elementi anatomici come arterie, nervi ecc. Nelle persone anziane, soprattutto in caso di frattura del collo del femore, questa tecnica permette inoltre di limitare le conseguenze di un allettamento protratto (piaghe da decubito, embolia polmonare, denutrizione, rischio di infezione urinaria e polmonare ecc.). Infatti, quando si fa ricorso all’osteosintesi, l’immobilizzazione è molto più rigorosa e quindi più breve che con le altre tecniche. Spesso la rieducazione può cominciare nei giorni immediatamente successivi all’intervento, sebbene sia preferibile procedere con prudenza e talvolta associare all’osteosintesi un’immobilizzazione complementare (per esempio gesso). L’apparecchiatura di fissaggio, talvolta ingombrante e fastidiosa, viene tolta dopo un periodo variabile dai 6 ai 18 mesi. Le fratture aperte, che comportano danni muscolari e cutanei di una certa entità, richiedono l’applicazione di un fissatore esterno: grossi chiodi, collegati l’uno all’altro da diverse placche metalliche, immobilizzano l’osso attraverso la cute e il muscolo, a distanza dall’origine della frattura.
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