di Stefania Lupi
Da un giorno all’altro arrivano i dolori. Soprattutto alle ginocchia, alle caviglie, alle anche. Fitte molto intense, che si avvertono specialmente durante la notte. Colpa dell'edema dell'osso, che generalmente si manifesta senza apparenti motivi. Le più colpite da questo disturbo sono le donne fra 50 e 70 anni, in sovrappeso. Ma il problema riguarda anche gli sportivi over 50 e i runner.
CHE COS'È L'EDEMA OSSEO
Questo problema insorge quando un osso spugnoso, di solito molto innervato (come quello del ginocchio, della caviglia o dell’anca), perde il contenuto di calcio, diventa più fragile e inizia a fare male per la presenza di liquido che si forma all'interno.
Spiega il dottor Massimo Berruto, responsabile della Struttura semplice dipartimentale di chirurgia articolare del ginocchio del Pini-CTO: «Fino a qualche tempo fa era difficile comprendere la vera causa di dolori al ginocchio, al menisco, alle cartilagini o ad altre strutture articolari. Ma oggi, grazie alla risonanza magnetica, siamo in grado di riconoscere l’edema dell’osso. La risonanza, infatti, evidenzia quelle aree di osso vicine all'articolazione che assumono un aspetto diverso, ossia più "sfumato" (grigio chiaro), rispetto alla circostante area di osso che appare di colore più definito (grigio scuro tendente al nero). Nella maggior parte dei casi quell’area grigio-chiara corrisponde proprio alla sede del dolore», spiega l'esperto.
Se riconosciuto in tempo e trattato, nell’80% dei casi l'edema osseo può regredire nel giro di qualche mese, restituendo una qualità di vita normale, come quella precedente alla comparsa del dolore.
I FARMACI CHE AIUTANO
La maggior parte degli edemi ossei si manifesta nelle persone sopra 50 anni, nelle quali un iniziale problema di artrosi può determinare un cedimento dei menischi, un danno a livello della cartilagine o una microfrattura dell’osso. «Tutti questi eventi si traducono in un sovraccarico dell’osso spugnoso che si trova al di sotto della cartilagine, con una sua temporanea sofferenza e il conseguente sviluppo di un edema (gonfiore) più o meno diffuso», puntualizza il professor Pietro Randelli, direttore della 1° Clinica universitaria di ortopedia e traumatologia e presidente Sigascot (Società italiana del ginocchio artroscopia sport cartilagine tecnologie ortopediche).
Per risolvere il problema è necessario comportarsi come in presenza di una frattura. Il dottor Massimo Varenna, responsabile della S.S. Diagnosi e cura osteoporosi e malattie metaboliche del day hospital di Reumatologia del Pini-CTO ha messo a punto un trattamento con farmaci già utilizzati per l’osteoporosi (neridronati), da somministrare ad alti dosaggi per via endovenosa. La massima efficacia si ottiene se la terapia (disponibile presso i maggiori centri di reumatologia in Italia) viene eseguita quando l'edema è in corso. Per oltre l'80% dei pazienti si è vista una regressione dell'edema e, addirittura, un ritorno alle condizioni cliniche prima della sua comparsa.
QUANDO SERVE LA CHIRURGIA
Se l'edema osseo viene diagnosticato troppo tardi o la persona presenta un'artrosi molto importante, può essere necessario intervenire chirurgicamente. «Tra le tecniche introdotte di recente, in particolare per l'intervento all'anca e al ginocchio c'è la core decompression, che consiste nella perforazione dell’osso sofferente in modo da rivitalizzarlo, stimolando la rivascolarizzazione. Un'altra tecnica è la subchondroplasty, cioè il riempimento e il rinforzo dell’osso sofferente con osso sintetico. Si eseguono nei centri più avanzati di reumatologia e stanno dando buoni risultati», precisa il professor Bruno Marelli, direttore del Dipartimento di ortotraumatologia dell’ ASST Pini-CTO.
In caso di diagnosi ritardata o di edemi particolarmente diffusi o aggressivi, può verificarsi l'osteonecrosi. In pratica, una parte di osso e di cartilagine articolare, corrispondente alla zona di edema, va incontro a morte biologica e quindi non è più in grado di svolgere il proprio ruolo di ammortizzatore. In questi casi il dolore persiste e molto spesso è necessario intervenire ricoprendo l'area di necrosi con una protesi», conclude il dottor Berruto.
marzo 2017
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