Uno dei segreti per tenere a bada gli attacchi di ansia è riuscire a controllare la respirazione: un recentissimo studio della Stanford University (Usa), pubblicato sulla rivista Science, ha chiarito uno dei meccanismi che regolano questo stado d'animo. È racchiuso in un piccolo gruppo di neuroni del tronco encefalico (la parte alla base del cervello), che i ricercatori d’oltreoceano hanno subito soprannominato “neuroni pranayama”.
Sono una sorta di centralina che rileva il ritmo della respirazione, in comunicazione diretta con il locus coeruleus, struttura della mente che riveste un ruolo chiave nello stato di vigilanza in generale, nella focalizzazione dell’attenzione ma, soprattutto nelle risposte alla paura e allo stress.
Perché si scatena il panico e cosa succede
Quando il respiro accelera, cosa che succede quando sei tesa o cadi vittima di un attacco di panico, questa “centralina” mette in allerta il locus coeruleus, facendoti entrare in uno stato di agitazione continua. Di contro, se segui un ritmo più lento lo “tranquillizzi” e sei pervasa da uno stato di calma.
«In effetti, da tempo sappiamo che esiste una stretta correlazione fra respirazione e disturbi della sfera emotiva», spiega il professor Giampaolo Perna, psichiatra e direttore del Centro europeo per i disturbi d’ansia ed emotivi, a Milano e Albese con Cassano (Como).
«Gli attacchi di panico, per esempio, sono scatenati da una maggiore sensibilità da parte di chi ne soffre all’anidride carbonica, uno dei gas della respirazione. Se i suoi livelli sono anche leggermente più alti del normale vengono subito avvertiti come un inizio di soffocamento.
Risultato: si inizia ad ansimare e l’aumento degli atti respiratori provoca una vera e propria escalation dei sintomi del panico», mette in guardia l’esperto. «L’ansia è un disturbo che coinvolge corpo e mente», rilancia il professor Massimo Biondi, docente di psichiatria all’università La Sapienza di Roma e direttore del dipartimento di neuroscienze e salute mentale del Policlinico Umberto I di Roma.
Che cosa fare? «Quando siamo vittime dell'ansia, oltre a respirare in modo più accelerato, sentiamo il cuore che corre a mille, la fronte che si imperla di sudore oppure i muscoli percorsi da tremori. Proprio per questo, oggi le terapie più efficaci si muovono su fronti differenti: non solo farmaci per ristabilizzare il sistema nervoso centrale, ma anche tecniche di rilassamento e psicoterapia, che aiutano a prendere coscienza e a controllare le reazioni fisiche che mettono il turbo all’inquietudine».
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1. Esercitati a respirare con le tecniche yoga
Il primo passo nella guerra all’ansia consiste dunque nell’imparare a controllare il respiro. Un obiettivo che si può raggiungere grazie alle pratiche meditative. Fra le tecniche yoga ce n’è una, in particolare, che è stata testata e convalidata in Italia: si chiama Sky,sigla che sta per Sudarshan Kriya Yoga.
È una variante dell’antica pratica indiana, che è stata al centro di uno studio condotto dal dipartimento di neuroscienze dell’ospedale Fatebenefratelli, pubblicato sul Journal of Affective Disorders. «Prevede l’avvicendarsidi esercizi di respirazione profonda con altri più rapidi e intensi, che hanno l’effetto di indurre un profondo stato di quiete consapevole», spiega il professor Claudio Mencacci, presidente della Società italiana di psichiatria e coordinatore dello studio.
«Nel giro di 6 mesi, questa tecnica ha dimostrato di dimezzare l’ansia nel 98 % dei casi. Infatti, riesce a riequilibrare il sistema nervoso simpatico, responsabile delle risposte organiche (batticuore, sudorazione, respiro affannoso e accelerato), tipiche degli stati ansiosi. Controllare il respiro, infatti, ha dimostrato di aiutare a regolare anche il battito del cuore, fattore che oltre a ridurre il rischio cardiovascolare, agisce come ulteriore ansiolitico», chiarisce l’esperto.
2. Allenati a “scacciare” i pensieri che ti opprimono
Sul controllo del respiro, ma non solo, puntano anche tecniche come la meditazione trascendentale e la più moderna mindfulness. La loro efficacia è stata dimostrata da una nuova ricerca condotta dall’Università di Waterloo (Canada) e dall’Harvard University di Cambridge (Usa), pubblicata sulla rivista Consciousness and Cognition.
Queste discipline, spiegano i ricercatori, permettono di focalizzare l’attenzione sul presente, aiutando così a “scacciare” i pensieri opprimenti e intrusivi tipici dell’ansia e a ritrovare la calma. «Una buona gestione della propria mente è anche un punto di forza dell’analisi bioenergetica, psicoterapia ideale perché interviene sia sul corpo, attraverso esercizi fisici che aiutano a scaricare le tensioni, sia sul pensiero», chiarisce il professor Biondi.
«Il ricondizionamento mentale può essere usato anche come autocura», suggerisce l’esperto, che sul suo manuale Pensieri Terapeutici (ed. Alpes Italia, 18 €) illustra proprio le tecniche fai da te per cambiare il proprio stato emotivo. Per esempio, dirti “ce la puoi fare” quando ti trovi di fronte a una situazione difficile oppure pensare, in caso di incidenti, “può capitare a tutti”, aiuta a superare le tensioni e a ritrovare la calma.
3. Impara a controllare il ritmo cardiaco
Anche il cuore, come la respirazione, riveste un ruolo importante nei disturbi ansiosi. Il motore del tuo organismo comunica con il cervello e il suo battito influenza in maniera significativa il modo in cui percepisci e reagisci a ciò che ti accade.
«Il muscolo cardiaco degli ansiosi è “rigido”, quindi poco capace di adattarsi e cambiare frequenza quando si prospettano situazioni di emergenza», chiarisce il professor Giampaolo Perna. «Per questo le tecniche impiegate per controllare il ritmo del cuore e, in generale, il sistema nervoso vegetativo, sono il nuovo punto di forza della psicoterapia cognitivo comportamentale.
Un approccio che le linee guida internazionali oggi indicano come percorso di cura ideale contro i disturbi d’ansia. Per monitorare i battiti alcuni terapeuti utilizzano degli apparecchi che, attraverso dei sensori applicati al dito o all’orecchio, registrano le pulsazioni, inviando segnali acustici diversi a seconda della loro frequenza: il paziente ne prende coscienza e poi, eseguendo degli esercizi specifici, impara a regolare le pulsazioni, rendendole più adattabili e funzionali al benessere psichico.
Oppure, utilizzano tecniche di desensibilizzazione enterocettica: chi soffre soprattutto di attacchi di panico, è molto sensibile alle reazioni del corpo e quando le avverte si spaventa immediatamente.
Il terapeuta, quindi, invita il paziente a sperimentarle “in sicurezza”: lo fa pedalare su una cyclette sino a sentire il cuore che corre a mille, per esempio, oppure lo invita a soffiare in una cannuccia corta fino ad avvertire che il respiro diventa breve e affannoso. Progressivamente, questa esposizione a potenziali situazioni fisiche a rischio, prepara a riconoscere e a gestire le reazioni del corpo, evitando così che mandino “fuori giri” anche la mente».
4. Affidati ai farmaci giusti
Alle tecniche che aiutano a controllare le reazioni fisiche, si affiancano i farmaci. I più utilizzati sono le benzodiazepine, utili per “potenziare” gli effetti dell’acido gamma-aminobutirico (Gaba), sostanza prodotta del cervello che agisce da calmante naturale.
Ne esistono alcune ad azione rapida, indicate per vincere l’ansia legata a situazioni momentanee che provocano paura, come per esempio parlare in pubblico oppure prendere l’aereo. Altre, invece, hanno un’azione più prolungata e “forte”, ideali quando il malessere perdura per quasi tutta la giornata.
Le benzodiazepine, però, sono indicate per gli stati ansiosi passeggeri, magari legati a un evento come una separazione oppure un lutto, che ha tolto momentaneamente calma e relax, quindi non vanno bene per le forme che non mollano la presa e rendono più fragili», spiega il professor Mencacci.
Ricorda, inoltre, di fare sempre grande attenzione all’impiego di questi medicinali: «Secondo le linee guida delle società scientifiche devono essere prescritti dal medico, che ne stabilisce anche il dosaggio ideale, e vanno assunti per non più di 6 settimane.
Se l’ansiolitico preso per un’ansia transitoria dopo 2 settimane non funziona, è il caso di passare a un altro farmaco, in modo da evitare il rischio di aumentare le dosi, magari all’insegna del fai da te, nella speranza di stare meglio», mette in guardia l’esperto. Aumentare i dosaggi per cercare di ottenere i risultati desiderati può portare all’assuefazione o, addirittura, alla dipendenza.
5. Usa gli antidepressivi solo se hai una forma cronica
Se l’ansia ti accompagna e ti domina tutti i giorni occorre puntare su farmaci su misura, come gli antidepressivi: «Tra quelli a disposizione, la paroxetina è una delle molecole più indicate per gli attacchi di panico. Permette di avere una maggiore disponibilità di serotonina, neurotrasmettitore che interviene sui centri della paura, e ne influenza altri come l’acetilcolina, importanti nel panico», spiega il professor Perna.
«La duloxetina, invece, è ideale per contrastare gli attacchi d’ansia generalizzata perché consente una maggiore disponibilità sia della serotonina, sia della noradrenalina, neurotrasmettitore che regola umore, energia e risposte fisiche all’ansia. Ma è altrettanto efficace la pregabalina, che agisce sul sistema del Gaba, riducendo l’eccitabilità dei neuroni ed esercitando un’azione sedativa», specifica il nostro esperto.
Ricorda però che devono essere prescritti dallo specialista e non funzionano subito. Occorre perciò attendere gli effetti con pazienza, senza perdersi d’animo: «Sono medicinali sicuri e, in genere, non danno assuefazione o dipendenza. Poi, quando si sta meglio (spesso bastano soli 3 mesi) si possono interrompere, scalando progressivamente il dosaggio».
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Articolo pubblicato sul n. 23 di Starbene in edicola dal 23/5/2017