Recentemente, soprattutto nelle zone più colpite dall’epidemia da Sars-CoV-2, è stato osservato un aumento dei casi di bambini affetti da Sindrome di Kawasaki, dal nome del pediatra giapponese che per primo l'ha descritta. Si tratta di una malattia pediatrica rara in Europa (in Italia colpisce in un anno 14 bambini ogni 100 mila) ma più comune in Oriente, che causa un'infiammazione delle pareti di alcuni vasi sanguigni, arterie coronarie in particolare.
Perché potrebbe esserci un legame con il Covid-19
Per ora il nesso fra Sindrome di Kawasaki e Coronavirus non è stato dimostrato, ma il fatto che la crescita dei casi sia stata registrata nelle zone maggiormente provate dalla malattia (come quella di Bergamo, per esempio) fa pensare che ci sia. «Occorre dunque mantenere alta la guardia e monitorare la situazione, senza drammatizzare troppo», afferma Ernesto Burgio, specialista in clinica pediatrica, esperto di epigenetica presso lo European cancer and environment research institute a Bruxelles e membro del gruppo Covid della Società italiana di pediatria preventiva e sociale.
«Oggi sappiamo che il Sars-CoV-2 è in grado di penetrare nelle pareti dei vasi sanguigni determinando nelle persone predisposte (in particolare negli anziani che soffrono di patologie croniche) forme infiammatorie sistemiche anche gravi ma rarissime nei bambini, come dimostrato da alcuni importanti studi epidemiologici.
La segnalazione di un aumento di casi di Sindrome di Kawasaki ha però suscitato il sospetto che il virus potrebbe essere in grado di innescare il processo infiammatorio a carico delle arteriole (vasi sanguigni di piccolo calibro, che collegano arterie e capillari) anche nei bimbi.
L'ipotesi di una correlazione, quindi, ha un suo fondamento, ma non deve allarmare troppo. Va presa in considerazione e deve spingere i pediatri a monitorare attentamente i casi segnalati, in modo da evitare nei piccoli pazienti la comparsa di gravi complicanze a carico delle pareti dei vasi e, in particolare, la formazione di aneurismi. Proprio per questo, nei prossimi mesi bisognerà comprendere soprattutto quale sia il ruolo del nuovo Coronavirus, che evidentemente funziona da trigger», puntualizza l'esperto. Proprio a lui abbiamo chiesto di stilare un identikit della malattia.
Che cos'è la Malattia di Kawasaki
La Sindrome di Kawasaki è una patologia nuova e tutt’ora un po’ misteriosa: «Emersa negli Anni 60 in Giappone, da allora sono stati segnalati casi in tutto il pianeta, con significative differenze nella loro diffusione», chiarisce Ernesto Burgio.
«Nei Paesi occidentali, infatti, si tratta di un problema raro. Al contrario in Giappone, dove tra il 1999 e 2002 sono stati registrati oltre 30 mila eventi, si manifesta con epidemie importanti».
Quali sono le cause
Per ora le cause della malattia di Kawasaki non sono chiare. «Si è pensato a un agente infettivo più frequente nell’arcipelago nipponico, oppure a particolari condizioni ambientali che si sono create in Giappone dopo la Seconda Guerra Mondiale.
Ma è evidente che l’agente ambientale (sia esso un virus, un super-antigene da streptococco o stafilococco oppure tossine fungine aerotrasportate) ricopra solo il ruolo di trigger. Proprio come nel caso del Coronavirus, nella Sindrome di Kawasaki è la reazione immuno-infiammatoria eccessiva che può produrre sintomi più gravi, per fotuna soltanto in una piccola parte dei bambini colpiti».
Quando e in chi si manifesta la malattia di Kawasaki
La Sindrome di Kawasaki colpisce in particolare i bambini sotto i 5 anni, ma nella maggioranza dei casi riguarda i piccoli di 1-2 anni. «In genere, ne soffrono più frequentemente i maschi: una caratteristica in comune con il Covid, che sembra abbia una prevalenza analoga.
Negli eventi di Coronavirus segnalati e legati alla malattia, però, pare che emerga una differenza importante: la fascia d’età interessata è più ampia e sono stati registrati casi anche tra gli adolescenti».
Quali sono i sintomi della malattia
Nei classici casi di Sindrome di Kawasaki si ha febbre molto alta e persistente; ingrossamento dei linfonodi del collo che, in genere, provocano dolore alla palpazione; congiuntivite che interessa entrambi gli occhi, senza formazione di pus; tumefazione della lingua e delle labbra; edemi ai piedi e alle mani seguiti, dopo una settimana, da una caratteristica desquamazione lamellare; arrossamenti della pelle diffusi con esantemi su tronco, arti e inguine, simili a quelli causati dal morbillo o dall’orticaria.
«Gran parte dei sintomi sono simili a quelli presentati nei bambini affetti da Coronavirs, ma nella Sindrome di Kawasaki sono generalmente più gravi e, soprattutto, durano di più. Il bambino appare sofferente e irritabile e la febbre, di solito, è più alta e prolungata, come gli indici infiammatori», precisa Burgio.
Come si cura la Sindrome di Kawasaki
È fondamentale sottolineare l’importanza di una diagnosi precoce da parte del pediatra. «Si tratta dell’unico strumento che permette il monitoraggio e la ricerca, tramite ecocardiografie ed eventualmente angiografia coronarica, delle potenziali lesioni a carico del sistema cardiovascolare, come l’infiammazione delle coronarie e, più raramente, di aritmie, miocardite e pericardite».
La terapia utilizzata nella Sindrome di Kawasaki consiste nell’iniezione di immunoglobuline per via endovenosa, utili per proteggere le coronarie, eseguita di solito entro il 7°-10° giorno di malattia.
«Nel 5-10% dei casi che non vengono diagnosticati in maniera precoce e trattati con le immunoglobuline, le lesioni a carico delle arteriole sono in grado di sfociare in aneurismi che possono risultare addirittura fatali. Occorre, però, aggiungere che nelle forme legate al Covid potrebbe rivelarsi più utile l’iniezione del plasma donato dai pazienti di Coronavirus guariti».
articolo pubblicato il 7 maggio 2020
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