Come al solito, il troppo stroppia. Senza un ormone prezioso come il cortisolo, ci sentiremmo incessantemente stanchi e affaticati; viceversa, un suo eccesso può provocare aumento del grasso viscerale, perdita di massa muscolare, ipertensione arteriosa, osteoporosi e altri disturbi. Esiste una malattia rara infatti, definita sindrome di Cushing, dove questa “eccedenza” è davvero esagerata: «Nelle giuste quantità, gli ormoni corticosteroidi sono fondamentali per la nostra sopravvivenza, perché regolano la pressione arteriosa, i livelli di sali minerali nel sangue, le difese immunitarie e il metabolismo di zuccheri, proteine e grassi», racconta la dottoressa Cristina Parrino, specialista in Endocrinologia e Malattie del Ricambio a Roma e Ragusa. «Il problema insorge quando la loro presenza nell’organismo è eccessiva e questo può dipendere da cause endogene, cioè da un’origine interna al corpo, oppure esogene, quando la causa è esterna».
Che cos’è la sindrome di Cushing
L’eccesso di corticosteroidi in circolo nel sangue è una malattia relativamente rara, che è stata descritta per la prima volta da un neurochirurgo americano, il dottor Harvey Williams Cushing, all’inizio del secolo scorso. Se i casi eclatanti hanno un’incidenza non superiore ai 3-4 casi per milione di abitanti ogni anno, le forme paucisintomatiche (senza sintomi di rilievo) o quelle subcliniche (prive di sintomi, ma evidenziabili attraverso esami di laboratorio) sono certamente più frequenti.
«La forma più comune della sindrome di Cushing sindrome è quella esogena, ovvero è dovuta all’assunzione prolungata e in dosi massicce di farmaci corticosteroidi, spesso utilizzati per trattare malattie autoimmuni, infiammatorie o tumorali. Rara invece è la forma endogena: può essere dovuta a patologie benigne o maligne delle ghiandole surrenali, che determinano una produzione di ormoni corticosteroidi in misura superiore rispetto al normale fabbisogno, ma anche a malattie dell’ipofisi oppure a tumori che rilasciano sostanze in grado di stimolare le ghiandole surrenali».
Quali sono i sintomi della sindrome di Cushing
Tipicamente, a caratterizzare la sindrome di Cushing è una forma di obesità dove il grasso si localizza soprattutto a livello addominale, mentre gli arti tendono a rimanere sottili, oltre che nel tratto cervicale-dorsale (gibbo di bufalo) e nelle guance (contribuendo a causare la cosiddetta “facies lunaris”).
Tuttavia, in alcuni casi, nella sindrome di Cushing si può osservare sarcopenia, ovvero perdita di massa muscolare, che può causare un illusorio calo ponderale e che contrasta con l’accentuazione della circonferenza vita. «Un altro tipico segno “visibile” sono le striae rubrae, cioè grandi smagliature di colore rosso-violaceo localizzate su addome, fianchi e spalle. Caratteristica, anche se non obbligatoria, è anche la presenza di lividi sulla pelle e di un aspetto rubicondo del viso», descrive la dottoressa Parrino.
«Ulteriori sintomi che possono indirizzare verso la diagnosi sono ipertensione arteriosa, iperglicemia o diabete, elevati valori di colesterolo nel sangue: tutte condizioni che prese singolarmente non sono rivelatrici, ma se convergono tutte nella stessa direzione possono far sospettare la sindrome di Cushing».
Come si arriva alla diagnosi
Come altre malattie rare, la sindrome di Cushing non è facile da diagnosticare. «Serve un occhio allenato per sospettarla, vista la rarità e la aspecificità di alcuni segni e sintomi. In caso di sospetto, le recenti linee guida raccomandano un approccio di primo livello basato su un’indagine ormonale per determinare la concentrazione del cortisolo nelle urine raccolte durante le 24 ore e di quello presente nella saliva», descrive la dottoressa Parrino.
«In ambito specialistico, inoltre, vengono effettuati test più elaborati, detti di soppressione, con il dosaggio del cortisolo nel sangue». È importante arrivare a una diagnosi sia perché la sindrome di Cushing aumenta il rischio cardiovascolare (per alcuni sintomi a cui si accompagna, come ipertensione arteriosa o ipercolesterolemia), sia perché talvolta, nel caso in cui la causa sia endogena, ci sono patologie sottostanti che possono risultare gravi e potenzialmente fatali.
Come si tratta
L’obiettivo della terapia è quello di ridurre i livelli di corticosteroidi nel sangue, rendendoli più fisiologici, trattando tutte le altre manifestazioni associate al loro eccesso (diabete, ipertensione, osteoporosi, dislipidemia e così via). «Quando la causa è esogena, lo specialista cercherà di individuare la dose minima efficace del farmaco assunto per controllare una certa patologia; se invece la causa è endogena, la risoluzione sarà strettamente legata al trattamento della malattia che ha determinato la sindrome, per cui si ricorrerà per esempio all’asportazione del tumore oppure delle ghiandole surrenali», illustra l’esperta. «Sono inoltre disponibili farmaci in grado di ridurre la produzione eccessiva di cortisolo a livello endogeno, ma deve sempre essere un endocrinologo esperto a delineare la terapia migliore per il singolo paziente, tenendo conto dello specifico caso».
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