La chiamano “malattia del bacio”, eppure nei sintomi c’è poco di romantico. La mononucleosi è una malattia infettiva piuttosto contagiosa, che si trasmette soprattutto attraverso la saliva (da qui il riferimento ai baci), seppure tecnicamente possa derivare anche dal contatto con altri fluidi corporei, ma si tratta di un’evenienza meno comune.
«È causata dal virus di Epstein-Barr, un agente patogeno che fa parte degli herpes virus», spiega il dottor Pietro Del Duca, direttore della Struttura complessa di Medicina interna presso l’Ospedale Regina Apostolorum di Albano Laziale, Roma. «A caratterizzare questa famiglia di virus è il fatto che, una volta penetrati nell’organismo, non ci abbandonano facilmente, ma si annidano in strutture specializzate del sistema nervoso dove possono rimanere inattivi anche per lunghi periodi. Questo vale anche per l’Epstein-Barr, che in alcuni rarissimi casi può riacutizzarsi nel corso della vita e sfociare nel linfoma di Burkitt, una forma di linfoma non-Hodgkin, ossia un tumore maligno che colpisce gli organi del sistema linfatico. Ma, per fortuna, si tratta di un’evenienza non così comune».
Cos’è la mononucleosi
Per lungo tempo, la mononucleosi è stata chiamata in causa anche nell’eziologia della sindrome della fatica cronica, un disturbo contraddistinto da un senso di fatica persistente e privo di motivi apparenti, ma il legame non è mai stato dimostrato.
«Principalmente, l’infezione da Epstein-Barr viene trasmessa attraverso le cosiddette “droplet”, cioè le goccioline di saliva che emettiamo quando respiriamo, parliamo, starnutiamo o tossiamo, ma il contagio può avvenire anche attraverso l’utilizzo promiscuo di oggetti contaminati, come accade con la condivisione di bicchieri oppure di giocattoli nei bambini», descrive il dottor Del Duca. Secondo alcuni dati, circa il 95 per cento della popolazione mondiale risulta sierologicamente positivo a questo virus, con cui si entra tipicamente in contatto in età pediatrica.
Quali sono i sintomi della mononucleosi
Nella maggior parte dei casi, la mononucleosi è del tutto asintomatica, soprattutto nella prima infanzia, quando l’infezione può passare inosservata oppure viene scambiata per una classica febbre prescolare, che in genere non viene approfondita.
Dall’adolescenza in poi, invece, la sintomatologia diventa spesso più severa e si manifesta con spossatezza, febbre (fino a 39-40 gradi), tonsillite e ingrossamento dei linfonodi (in genere quelli del collo, meno di frequente ascellari e inguinali), che sono dolenti al tocco.
«Soprattutto la spossatezza può persistere a lungo, addirittura per mesi, mentre la durata della contagiosità è variabile, anche se in genere scompare nell’arco di poche settimane», illustra l’esperto. «Talvolta, chi lamenta mal di gola presenta delle tonsille non soltanto ingrandite e arrossate, ma anche ricoperte da uno strato di muco bianco-grigiastro, che può essere confuso con quello caratteristico della tonsillite batterica». Tipica, ma non sempre presente, è anche la splenomegalia, cioè l’ingrossamento della milza, mentre negli esami del sangue si può rilevare un aumento delle transaminasi, i classici enzimi “testati” durante le analisi di routine, e delle cellule mononucleate, particolari cellule immunitarie.
Come si fa la diagnosi
La prova del nove arriva con il Mono test, un test rapido che determina la presenza nel sangue di particolari anticorpi (detti eterofili), prodotti in risposta all’infezione da Epstein-Barr. «Di fronte a un esito negativo, il test può essere ripetuto una seconda volta, a distanza di una o due settimane, perché questi anticorpi non sono sempre evidenti nell’immediato», precisa il dottor Del Duca.
Si può anche andare alla ricerca di altri anticorpi specifici, come le IgM e le IgG anti-VCA e le IgG anti-EBNA-1, che richiedono però un dosaggio più complesso, non dal risultato rapido come il Mono test. «In alcuni casi, l’aumento dei linfociti può indurre in errore il medico, facendogli sospettare una leucemia acuta, ma un’analisi attenta dei dati può dissipare ogni dubbio, perché nel caso della mononucleosi si tratta di una reazione leucemoide, ovvero di un aumento dei globuli bianchi non causato dalla trasformazione maligna delle cellule staminali ematopoietiche».
Perché la mononucleosi può essere pericolosa
Di solito, la mononucleosi è una malattia benigna e ha una risoluzione spontanea nell’arco di qualche settimana, ma come tutti i virus può predisporre a complicanze temibili, in particolare a carico di cervello (encefalite), cuore (miocardite) e fegato (epatite acuta). «Si tratta comunque di evenienze molto rare, spesso dovute al mancato rispetto delle prescrizioni mediche e soprattutto a una ripresa delle attività quotidiane troppo rapida, non graduale come invece è raccomandato», ammette l’esperto.
Come si cura la mononucleosi
La mononucleosi richiede solamente riposo, una buona idratazione e l’eventuale ricorso ad antipiretici in caso di febbre. «Soltanto nel caso in cui sia presente una componente infiammatoria importante, possono rendersi necessari dei corticosteroidi per accelerare la guarigione».
Una curiosità: abbiamo detto che, per via di alcune caratteristiche, la mononucleosi può essere confusa con una tonsillite batterica da Streptococco. «Per questo, talvolta, il medico può prescrivere una terapia a base di penicillina. Ebbene, per una particolare interazione con le cellule immunitarie attivate, dopo la somministrazione di questo farmaco è tipica la comparsa di un fugace rash cutaneo, che spesso permette di identificare la mononucleosi nelle forme più subdole», conclude il dottor Del Duca.
«Per correttezza scientifica, comunque, bisognerebbe sempre parlare di mononucleosi infettiva da Epstein-Barr e non genericamente di mononucleosi, perché esistono sindromi simil-mononucleosiche caratterizzate dalle stesse manifestazioni cliniche ma causate da altri virus. Un esempio è il Citomegalovirus, un altro patogeno appartenente alla famiglia degli herpes virus, estremamente diffuso a livello globale e dai sintomi del tutto sovrapponibili alla mononucleosi da Epstein-Barr. Lo stesso vale per il Toxoplasma gondii, responsabile della toxoplasmosi, molto temuta in gravidanza».
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