di Ilaria Amato
La speranza di guarire da malattie incurabili arriva da una scienziata italiana: Anna Cereseto, 50 anni, del Centro di biologia integrata (Cibio) dell’Università di Trento.
Al termine di una ricerca durata tre anni («un tempo piuttosto breve per la scienza», dice), è riuscita a creare in laboratorio una proteina, chiamata evoCas9, capace di eliminare le alterazioni del Dna responsabili di patologie importanti come cancro e malattie genetiche.
Lo studio, da poco pubblicato sulla rivista scientifica Nature Biotechnology, supera il metodo per modificare il Dna a scopo terapeutico messo a punto nel 2012 dall’Università di Berkley e dal Massachusetts Institute of Technology di Boston. Ecco di che cosa si tratta.
Professoressa Cereseto, ci spiega la sua scoperta?
«È una macchina molecolare estremamente precisa. Possiamo immaginarla come un bisturi capace di agire sugli elementi malati del Dna, senza danneggiare il resto. Ed è questo il passo in avanti rispetto al passato: perché la molecola conosciuta finora, chiamata Crispr/Cas9, aveva il problema che insieme alle parti danneggiate, andava a intaccare anche quelle sane, comportando importanti effetti collaterali sui pazienti, a volte anche letali. Era come un sarto inesperto e impreciso».
E lei e i suoi collaboratori del Cibio cosa avete fatto?
«Abbiamo creato in laboratorio l’evoluzione della Cas9, per questo la nostra invenzione si chiama evoCas9. In pratica, abbiamo “insegnato” a questa proteina a comportarsi in modo corretto, come un’arma di precisione che colpisce dove serve e risparmia il resto. Questo renderà il suo impiego nella medicina finalmente sicuro».
Quali sono i suoi usi terapeutici?
«Si potrebbero curare in maniera definitiva numerose patologie gravi che dipendono da alterazioni dei geni e che oggi non hanno via d’uscita: oltre ad alcuni tipi di cancro, tra cui carcinomi, sarcomi, leucemia, si guarirebbe da emofilia, sla, fibrosi cistica, epilessia, distrofia muscolare e altro. È il futuro della medicina».
Quanto dovremo aspettare per le nuove terapie?
«Sono fiduciosa che non ci voglia molto tempo, ma almeno un paio di anni. Le case farmaceutiche devono prima effettuare una meticolosa serie di verifiche cliniche perché si arrivi a utilizzare questo nuovo tipo di terapie geniche».
La sua scoperta si applica anche in altri campi, oltre la medicina?
«Sì, si potrebbero creare piante più resistenti grazie al miglioramento dei geni, quindi capaci di proteggersi da parassiti e malattie senza ricorrere ai pesticidi. E lo stesso si potrebbe fare anche per gli animali da allevamento, evitando quindi l’uso antibiotici».
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Articolo pubblicato sul n. 14 di Starbene in edicola dal 20/03/2018