Quali requisiti deve soddisfare un punto nascita?

Si fa un gran parlare del numero di parti minimi che un punto nascita deve assicurare per restare aperto: quali requisiti deve soddisfare un ospedale per garantire un parto in piena sicurezza?



Il 18.1.2011 è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale l'Accordo della Conferenza Unificata Stato-Regioni riguardante le "Linee di indirizzo per la promozione ed il miglioramento della qualità, della sicurezza e dell'appropriatezza degli interventi assistenziali nel percorso nascita e per la riduzione del taglio cesareo".

Tale piano ha introdotto tutta una serie di regole da rispettare per migliorare la sicurezza e l’efficienza dei punti nascita. Il piano poi è salito alla ribalta delle cronache soprattutto perché ha stabilito di chiudere i punti nascita con meno di 500 parti all’anno, fatte salve specifiche esigenze di territori particolarmente disagiati, decentrati e con difficoltà di comunicazione. La chiusura di tali punti nascita ha scatenato infinite proteste perché molte donne si vedono costrette a percorrere molti chilometri per partorire, la razionalizzazione dei punti nascita, però, serve a tutelare il più possibile partoriente e nascituro.

Come spiega il professor Angelo Colombo Coordinatore area materno-infantile Policlinico San Pietro (Gruppo Ospedaliero San Donato), «i piccoli punti nascita, infatti, quasi mai riescono ad assicurare la presenza costante 24 ore su 24 di un ginecologo, di un anestesista e di un pediatra neonatologo. Inoltre la limitata esperienza maturata sul campo non sempre consente un intervento tempestivo ed efficace nell’affrontare eventuali urgenze, rare ma estremamente pericolose per madre e neonato (un ritardo anche di pochi minuti nell’ossigenazione di un neonato asfittico può causare il decesso o l’insorgenza di gravi handicap)».

Il piano in questione non prevede solo tagli, ma anche la diffusione dell’epidurale, il potenziamento della rete ospedale territorio e la verifica dei livelli formativi teorico-pratici delle scuole di specializzazione in ginecologia e ostetricia: «con la concentrazione delle nascite – prosegue il professor Colombo – sarà possibile anche offrire più frequentemente la partoanalgesia (o parto indolore) che è ancora oggi poco diffusa, nonostante già dal 2008 sia stata inserita nel LEA (Livelli Essenziali di Assistenza)».

Il piano prevede che per l’esistenza del punto nascita, oltre a dover essere soddisfatto il requisito di almeno 500 parti all’anno (meglio se 1000), deve esserci almeno una sala parto (anche se l’ideale sarebbe disporne di almeno due), con annessa una sala operatoria per poter effettuare, in qualsiasi momento, un parto cesareo, la disponibilità di un’equipe ostetrica, anestesiologica e di un neonatologo 24 ore su 24.

Il professor Colombo spiega inoltre come la razionalizzazione dei punti nascita potrebbe contribuire a ridurre anche il numero dei parti cesarei: «fra le cause dell’eccessivo ricorso al taglio cesareo (in Italia la percentuale di parti cesarei è del 38%, seguita dal Portogallo con il 33%, mentre tutti gli altri Paesi Europei presentano percentuali inferiori al 30% che scendono al 15% in Olanda), oltre alle indicazioni non mediche,  ve ne sono altre riconducibili a carenze strutturali, tecnologiche ed organizzative fra le quali la non disponibilità 24 ore su 24 del ginecologo, del neonatologo e dell’anestesista».

Gli autori di questo documento hanno molto insistito sul concetto che un punto nascita che non assicuri nemmeno 500 parti all’anno, difficilmente potrà disporre delle competenze essenziali ad assistere adeguatamente mamme e bambini, perché non potrà contare sull’esperienza delle strutture dove si fanno mille o più parti all’anno. Gli utenti spesso ribattono che nelle grandi strutture non c’è l’assistenza e l’umanità che spesso si trova nelle strutture più piccole: di sicuro il documento è stato stilato per ridurre al minimo i disservizi e i casi di malasanità.

Come conclude anche il professor Colombo, infatti «è meglio un punto nascita più efficiente ed attrezzato a qualche chilometro di distanza che un punto nascita non efficiente vicino a casa. La popolazione ed in particolare le future mamme e papà dovrebbero cercare di capire come la chiusura di un piccolo punto nascita non comporti una riduzione dei servizi, ma anzi un miglioramento».