Vivere in città porta soprattutto vantaggi. Lo sostiene Mazda Adli, psichiatra e psicoterapeuta tedesco, promotore del neuro-urbanism, disciplina in cui architetti e urbanisti lavorano al fianco di neuroscienziati per indagare la salute mentale di chi abita in città. Che sull'argomento ha scritto un saggio, Stress and the city (disponibile in tedesco), dal sottotitolo chiaro: "Perché le città ci fanno ammalare e perché, nonostante tutto, sono benefiche".
Anche da noi c'è chi aderisce pienamente a questa teoria. Spiega Maura Cucchi Osano, architetto ed esperta di psicologia urbana: «Le molteplici offerte economiche, formative, lavorative, culturali, sociali, ricreative e sanitarie della città sono stimolanti e rappresentano possibilità di benessere, sviluppo e crescita.
L'affollamento, poi, non sempre è negativo: può anche tranquillizzare. Per esempio, camminare lungo una strada deserta è inquietante, mentre se ci sono altre persone, ti senti protetta. Non solo. Pensa a quando vai ai concerti o alle manifestazioni: nel marasma ti percepisci parte di qualcosa di più grande e sei libera di essere te stessa, di esprimerti senza dover dimostrare niente a nessuno. Inoltre, in fase post Covid la vicinanza degli altri ha aggiunto un valore». Per godere di tutto ciò, tuttavia, bisogna conoscere il "nemico" (lo stress specifico della città) e le sue conseguenze, così da riuscire a contenerlo.
Il problema: tante persone, poco spazio, mancanza d'inclusione
Alzi la mano il cittadino che non pensa, almeno una volta al giorno, "Che stress, questo posto!". «Il problema delle città non sono solo traffico, rumore e inquinamento», spiega Mazda Adli. «Negli ambienti urbani, le tensioni maggiori sono dovute allo stress sociale. Quest'ultimo è il risultato di due fattori tipici dei grandi agglomerati: l'alta concentrazione in poco spazio di molte persone e, nonostante ciò, la sensazione di isolamento, il sentirsi esclusi dalla massa». E, dicono gli esperti, lo stress sociale qualche danno alla psiche lo provoca. «La densità della popolazione può essere davvero logorante, sia perché ti toglie spazio fisico e limita la tua libertà, sia perché ti mette in contatto con un'enorme quantità di stimoli e di diversità (per esempio, razziali o di condizioni di vita) che richiedono da parte tua controlli, valutazioni e scelte, di volta in volta nuovi e, quindi, impegnativi», conferma Anna Merolle, psicologa e psicoterapeuta a Roma.
«Poi, venire a contatto con realtà che cambiano continuamente porta a diffidenza, è facile non fidarsi di chi non si conosce: una condizione che apre a spazi emotivi di solitudine. È come vivere in continua tensione, sensazione che mette in crisi l'equilibrio personale. Ovviamente la percezione degli stimoli stressanti cambia da individuo a individuo, il fatto di percepirli come un problema dipende dalla storia di ciascuno, dalla disposizione caratteriale più o meno ottimistica, dal livello di sicurezza e di assertività che ognuno di noi ha». Il problema di molti è che si lasciano stritolare dalla presenza ravvicinata degli altri e lo stress diventa cronico: cioè compare senza ragione e impone uno snervante stato di vigilanza continua che si traduce in irrequietezza, aggressività, difficoltà a dormire, instabilità dell'umore, calo di memoria e di concentrazione (solo per citare alcuni effetti!).
Lo stress è contagioso
Una caratteristica importante dello stress è la sua contagiosità. Purtroppo, in un ambiente affollato come quello urbano, il rischio di essere infettata dal malessere altrui è sempre molto alto. «È necessario, perciò, che tu sappia fare i conti non solo con la tua agitazione, ma anche con quella di chi ti circonda», prosegue l'esperta. «Il che non significa accollartela ma, al contrario, tenerla a distanza. Io uso questa strategia: quando mi sento invasa dalla tensione di una persona, le espongo il mio disagio e stabilisco dei confini per proteggermi. Un esempio? Sali su un taxi all'ora di punta e vieni travolta dallo sfogo dell'autista, frustrato per il traffico e infastidito dai clienti che ti hanno preceduto. Che fai, ti sconvolgi a tua volta? No. Mantieni la calma e chiedigli con fermezza di arginare la sua inquietudine. Spiegagli che non puoi essere d'aiuto e, sebbene tu capisca le sue difficoltà, vuoi solo usufruire del servizio. Certo, dire a qualcuno che rifiuti di assorbire un suo stato d'animo disfunzionale richiede sangue freddo e una buona dose di assertività, ma è necessario se vuoi preservare la tua integrità nella metropoli».
Ascolta i rumori
«Tipico delle città è lo stress acustico causato dal rumore, che si trasforma in stress sociale quando il frastuono esterno è inaspettato e ti arriva in modo violento attraverso le pareti di casa», illustra Mazda Adli. Il tuo territorio viene invaso e smette di essere sicuro, mentre tu ti senti in balia di una situazione che non puoi né cambiare né eludere. Quando succede, consiglia lo psichiatra tedesco, indaga sulla fonte del rumore: conoscerla aumenta il senso di controllo e smorza la minacciosità dell'invasore. Meglio ancora è riuscire a trovargli un significato positivo. Per esempio, sei irritata dalla musica del vicino? Se apprendi che sta festeggiando un compleanno, sei più disposta a sopportare. I macchinari che lavorano in strada ti assordano? Beh, se è per eliminare le buche, ben vengano. «Per ridurre l'impatto degli eventi stressanti di questo tipo, aiuta molto anche ricordare che si tratta di qualcosa di transitorio, destinato a finire», rimarca Adli.
Vivi piazze, parchi & Co.
Bene, hai capito come difenderti. Purtroppo, però, questo serve solo a sopravvivere e, a lungo andare, è pure sfiancante. Se vuoi prosperare e sfruttare il vantaggio di vivere in città, esci di casa, inizia ad appropriarti del quartiere e vai oltre. Gira a piedi o con i mezzi pubblici, osserva tutto, sperimenta gli spazi pubblici senza pregiudizi e decidi in quali ti senti a tuo agio. Mantieni un atteggiamento flessibile ed esplorativo: apprezza e indaga la complessità strutturale e sociale della città, non rifiutare la diversità, ma lascia che ti metta in discussione. Infine, partecipa alla vita urbana, cioè familiarizza con i tuoi vicini, rispetta le norme, informati su che cosa succede, aderisci a proposte ed eventi.
«I cosiddetti "third place", cioè i luoghi terzi della città, intermedi tra casa e lavoro, costituiscono ottime mete non solo per vincere la diffidenza e la sensazione di isolamento, ma anche per ritemprarti», testimonia l'architetto Maura Cucchi Osano. «Comprendono le piazze, i bar, i parchi... insomma i luoghi di ritrovo e di distacco da incombenze e preoccupazioni, in cui nessuno si aspetta nulla da te ma dove, per l'assenza di pressioni, spesso può lasciare andare lo stress. Attenzione: non tutti sono efficaci. Per funzionare, un "third place" deve essere accessibile, accogliente, condiviso da categorie diverse di persone, popolato sia da aficionados sia da frequentatori occasionali. E offrire la possibilità di "fare qualcosa", in primis conversare».
Come rigenerarti
«Nonostante i tentativi di mantenere la calma, di quando in quando avrai bisogno di de-stressarti», avverte Anna Merolle. «Siccome lo stress è un fenomeno soggettivo, anche gli spazi e i modi del recupero saranno personali. Il segreto è ascoltare i tuoi bisogni e riconoscere le tue possibilità, senza puntare a grandi imprese. Vietato giudicarti ("Riesco a ritagliarmi solo un'ora per me stessa"), fare paragoni con gli altri ("Beata la mia amica, che si può permettere la Spa") e dare retta alle pressioni sociali ("Dovrei fare sport, ma lo odio"): finiresti per sentirti inadeguata e... ancora più stressata! Insomma, il rilassamento non è un ennesimo compito spossante ma un momento evolutivo che ti permette di affrontare le sfide della città».
Un impatto che lascia il segno
Vivere in città non è necessariamente fonte di stress, ma lo psichiatra Mazda Adli rivela che il rischio di depressione e ansia è maggiore (rispettivamente del 40 e del 20%) in chi risiede in centri medio-grandi, rispetto a chi vive in piccoli paesi. «Le città interagiscono con il cervello di chi le abita e lo modificano, per esempio affinando le "antenne" deputate a captare le potenziali fonti di stress», scrive Adli in Stress and the city.
Per lo psichiatra, questa evoluzione si nota particolarmente nelle persone che hanno trascorso i primi 15 anni di vita in un ambiente urbano ma, nella maggior parte dei casi, si traduce in un vantaggio. Infatti, nei contesti ad alta densità di incontri e a notevole frequenza di avvenimenti, le persone risultano non solo più sensibili agli stimoli snervanti, ma soprattutto più reattive, adattabili e resilienti in confronto a chi vive in campagna o montagna. «Solo se l'esposizione più o meno precoce allo stress riguarda un individuo vulnerabile, che presenta fattori di rischio genetici o sociali, è più facile avere disturbi e malattie psichiatriche», sottolinea Mazda Adli, riferendosi non solo a depressione e ansia, ma anche alla schizofrenia. Una deriva patologica che, fortunatamente, riguarda solo una minoranza.
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