Testo raccolto da Nadia Nunzi
La mia vita finisce e ricomincia nell’agosto del 2016, quando vedo la casa dove ho vissuto per venticinque anni sbriciolarsi come se fosse di pasta frolla. Lì, nel mio paese, Visso, nelle Marche, c’erano state altre scosse sismiche nei giorni precedenti, i calcinacci mi erano finiti addosso mentre dormivo e per sicurezza mi ero già spostata, insieme alla mia famiglia, in una roulotte nei pressi della nostra abitazione. Era saltata l’energia elettrica, avevamo raccattato qualcosa al volo ed eravamo corsi via all’aperto. Poi c’eravamo accampati alla meglio.
Ero disorientata, ma nel terrore avevo comunque la speranza di tornare presto, in qualche modo, alla normalità, alla vita di sempre. Purtroppo, però, il mio era un pensiero illusorio. Soltanto due mesi dopo, una scossa più violenta di altre, di magnitudo 6.0, rade al suolo l’intero paese. E, insieme a macerie e polvere, vedo scomparire anche tutta la mia infanzia, l’adolescenza, il futuro.
In realtà non me ne rendo conto immediatamente, il vero senso di smarrimento arriva nei mesi a seguire, spostamento dopo spostamento. Prima in una tenda, poi in un camping lungo la costa marchigiana. Sono insieme a molti altri sfollati, ma non riesco a trovare conforto nei loro abbracci o nelle loro parole. Sono giorni veramente difficili, dove a volte ho persino voglia di lasciarmi morire, dove qualcuno in preda al panico lo fa per davvero, lasciando ancora più sgomento e turbamento in chi resta.
Vorrei tornare a casa mia, con tutta me stessa, ma ormai non esiste più e posso soltanto prenderne atto. Devo trovare un appiglio salvifico, un modo per andare avanti.
Mi hanno aiutato anche i social
È un incontro a darmi l’input e la giusta forza per riuscirci, quello con il giornalista e scrittore Luca Pagliari (nella foto insieme ad Alessandra, ndr). C’eravamo visti soltanto una volta qualche anno prima, poi tramite un messaggio ci siamo ritrovati.
Non posso arrendermi, sono giovane e ho delle potenzialità. Posso ancora fare molto ed essere un aiuto per altre persone. Questo mi fa capire Luca, tra una chiacchierata e l’altra, quando mi raggiunge nel bungalow dove alloggio temporaneamente. Ho con me soltanto un computer portatile e uno smartphone, mi sembra nulla in confronto a ciò che possedevo prima. In realtà, questi due mezzi tecnologici sono le mie ancore di salvezza, quelle che mi tengono agganciata al resto del mondo, che mi aiutano a non chiudermi, a non impazzire.
Attraverso le parole di incoraggiamento di tante persone, che mi arrivano in tempo reale, riesco a non sprofondare nell’abisso dello sconforto e delle paure. Tramite la tecnologia e con il supporto di Luca, decido inoltre di fare qualcosa di significativo per Visso. Così insieme creiamo un format giornalistico chiamato Generazione 6.5 dove racconto la mia esperienza, il dramma che sto vivendo, la lotta contro i timori, il disagio e la burocrazia.
Attraverso il web voglio infondere un messaggio di resilienza per far capire l’importanza del confronto, delle parole, dell’unirsi nelle difficoltà, del fare squadra anche attraverso la rete, perché il web e i social, se usati con intelligenza, possono essere di grande aiuto. È anche grazie a essi che la mia vita è andata avanti.
Porto un messaggio di speranza
Dopo aver girato il docufilm con un semplice telefonino, inizio a recarmi, insieme a Luca, per le scuole e nei teatri della Regione, dove parlo con i ragazzi e cerco di mostrare loro come si può ripartire anche dopo aver perso tutto.
«Se decidi di farcela ce la fai, perché tutto dipende da te», dico dopo aver visto il filmato, ed è vero: il nostro modo di adattarci al cambiamento, di resistere agli eventi negativi senza opporsi a essi, è il motore che ci fa proseguire con dignità nel nostro percorso di vita. “Ognuno di noi nasconde un’incredibile forza che nemmeno immagina, finché una luce arriva a farcela scoprire”, mi scrive uno degli studenti quando a conclusione dell’evento raccolgo i pensieri di chi vuole lasciare una traccia riguardo ciò che ho raccontato. “A volte, certi drammi devono accadere. Ma quel che conta è il dopo, come reagisci”, aggiunge un altro, e ho conferma che il mio messaggio ad andare avanti e resistere agli eventi sfortunati sta arrivando proprio come vorrei.
Adesso è il momento del distacco
Attualmente vivo in una “casetta” a Visso ma la città è ormai vuota, fatiscente, abbandonata a se stessa, manca un centro ricreativo, ci sono pochissimi negozi aperti e anche il medico di base si è trasferito. Sono andati via quasi tutti e anche il mio desiderio di restare è costretto a cambiare forma. Presto mi allontanerò come molti, sto cercando un nuovo alloggio definitivo con il mio ragazzo, a cinquanta chilometri di distanza, così da poter trovare un lavoro e riprendere anche la mia passione per il calcio.
Un evento del genere inevitabilmente ti scombussola, ti apre gli occhi sull’imprevedibilità della vita e ti spinge al cambiamento. Nonostante le difficoltà quotidiane, però, non mi arrendo e, con il mio progetto, continuo a divulgare un messaggio di forza e di speranza, aiutando attraverso il ricavo dei fondi, il comitato cittadino di solidarietà Vita di Paese che si preoccupa di supportare concretamente le popolazioni dei monti Sibillini colpite dal sisma.
Mi gusto i “regali” della vita
La leggerezza con cui vivevo un tempo di certo se n’è andata lasciando il posto a una consapevolezza nuova, che mi rende più presente, più viva, più attenta alle persone. Sì, mi considero fortunata ad averle ancora accanto. Così come non posso che sentirmi grata, nonostante tutto ciò che ho perso, per ogni piccola cosa che la vita ancora mi regala ogni giorno.
RESISTERE PER SOPPORTARE IL DOLORE
Come si può reagire a un evento tanto traumatico quanto un terremoto, per sua natura improvviso e distruttivo? Risponde Roberta Cesaroni, life mental coach.
«Dal punto di vista psicologico, il terremoto equivale a un lutto: ci si ritrova senza identità e autonomia perché si perde la casa, il lavoro, le abitudini quotidiane. A volte, purtroppo, si perdono anche le persone care, i legami affettivi. È una catastrofe che lascia una profonda insicurezza e vulnerabilità nelle popolazioni colpite. Insieme agli edifici, crollano le certezze di base e la solidità pregressa degli individui. Per ripartire, per ritornare alla normalità, bisogna fare leva sulla resilienza, quella caratteristica insita in ognuno di noi che ci permette di non abbatterci e di reagire alle avversità, cercando nuove soluzioni di vita.
Si tratta, quindi, di mettere in campo un cambiamento radicale di prospettive e viverlo, nei limiti del possibile, come un momento di rinascita personale. Che comporta dei rischi, certo, ma anche delle opportunità che magari la routine di un tempo nascondeva. Con questo atteggiamento proattivo, che guarda al futuro, è più facile trasformare le inevitabili difficoltà in risorse e, nello stesso tempo, scoprire che possiamo contare sulle nostre forze, per affrontare gli eventi come mai avremmo immaginato», dice ancora Roberta Cesaroni.
«Da questa consapevolezza, si torna padroni di sé, delle proprie emozioni e si può trasmettere agli altri un’energia positiva, in un circolo virtuoso in grado di ristabilire l’equilibrio perso. Il dolore per quanto accaduto, infatti, non si cancella, ma a volte ci rende più umani, ci apre gli occhi, ci aiuta a sbarazzarci del superfluo, ci regala un senso di comunione, ci aiuta a vedere strade nuove».
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Articolo pubblicato nel n° 10 di Starbene in edicola dal 19 febbraio 2019