Un aggettivo per definire la nostra vita? “Piena”, potremmo dichiarare quasi all’unisono. Facciamo sempre molte cose, anche contemporaneamente. Conosciamo più persone, anche se spesso solo virtualmente. Scattiamo più foto o, meglio, selfie. Rispondiamo a un sacco di messaggi, mentre l’amore e il sesso vivono un turn over accelerato.
E poco importa se lo studio, il lavoro, la realizzazione sono appesi al filo della speranza. Ci siamo abituati. Ma alla fine che cosa ci resta? Ben poco. Se ne stanno accorgendo gli psicoterapeuti, costretti a farsi carico di crisi, stati depressivi, attacchi d’ansia legati al vuoto esistenziale.
«Vediamo uno stato interiore di malessere generalizzato, cassa di risonanza della fragilità emotiva e della precarietà come condizione interiore», spiega Viviana Morelli, psicoterapeuta (il suo sito è vivianamorelli.life).
«L’effetto collaterale più tangibile è la dipendenza. Nel tentativo di colmare un’assenza di scopo quasi adolescenziale diventiamo dipendenti dalle persone, dal cibo, dal consumismo, dai social network».
Prendiamo le relazioni. Viviamo nell’epoca delle opportunità grazie alla tecnologia: le storie si succedono rapidamente, vengono consumate e non nutrite attraverso l’ascolto, il dialogo, l’attesa.
«Sentiamo l’esigenza di raggiungere subito un obiettivo, anche sentimentale, ci accontentiamo dell’eccitazione istantanea, senza darci il tempo di capire che cosa è meglio per noi. È facile, in questa situazione, sprofondare nell’angoscia della solitudine», spiega la dottoressa Morelli.
Fiction, ma non troppo
Come accade a Fleabag, letteralmente “sacco di pulci”, protagonista dell’omonima serie di Amazon Prime, che dipinge un ritratto geniale e tragicomico delle trentenni contemporanee. Ma se nella prima, acclamatissima stagione, Fleabag passava da una relazione all’altra, senza sosta, nella seconda stagione, partita a maggio, esce dalla spirale del sesso senza sentimenti. E finalmente si innamora.
«La chiave di volta è proprio questa: imparare a volersi bene, frenando gli impulsi, per dare alla nostra esistenza un significato più ampio, più alto e più nostro», sostiene Morelli. «Quel vuoto che ci fa sentire così inadeguati e incompleti farà meno paura se siamo in contatto con i nostri bisogni e se torniamo ad avere obiettivi e traguardi».
Bilanci in passivo
Il malessere da vuoto esistenziale non risparmia neppure chi ha raggiunto la maturità. «Se venti anni fa, la crisi era dovuta più che altro alla perdita della giovinezza, adesso a 40-50 anni il bilancio esistenziale rischia di essere sempre in passivo», aggiunge la psicoterapeuta.
«Vite troppo frenetiche, votate al consumismo, ci hanno impedito di coltivare sogni, fare progetti a lungo termine e di conoscerci a fondo. L’esistenza sembra volata via e non si è lasciata alle spalle niente di sostanziale. Da qui derivano i principali conflitti interiori che oggi ci fanno ammalare di ansia e di depressione».
Questo stato d’animo oggi è più che mai generalizzato. Lo aveva già intuito il grande filosofo Zygmunt Bauman, che ci ha regalato la definizione di “società liquida”, un mix di individualismo sfrenato, assenza di punti di riferimento, fragilità dei rapporti umani, fuga dagli impegni a lungo termine.
È proprio questa umanità che sfila silenziosa nel nuovo romanzo di Chiara Tortorelli, Noi due punto zero (Homo Scrivens). La protagonista è Emma, quarantenne alla ricerca di se stessa e del senso del mondo che la circonda mentre la sua vita scorre dietro un’apparente normalità: un ex marito, una figlia, un lavoro.
«Racconto la sua relazione con un uomo di cui non sa neppure il vero nome, che incontra solo due o tre volte settimana per fare sesso», spiega l’autrice. «Ma dietro questa dimensione intima ci sono l’insoddisfazione della protagonista e il fantasma della società che ha perso qualsiasi riferimento, in cui i rapporti sono considerati alla stregua di un oggetto, che può essere sempre sostituito con uno più nuovo».
Alla ricerca dei valori
Facciamoci caso, oggi tutto deve essere entusiasmante, bello, rapido. «La società dei consumi ci riempie nel qui e ora, ma non ci permette di entrare in contatto con i nostri valori», prosegue la psicoterapeuta. «Non sperimentiamo mai la resistenza, la capacità di impegnarci a lungo e con determinazione. Tutto scorre troppo velocemente».
Talvolta, però, questo vuoto ci costringe ad ascoltarci per riflettere sul nostro malessere. «Il vuoto è sinonimo di mancanza, ma anche di mille possibilità e di tanta energia per aprirsi al nuovo», torna a dire Chiara Tortorelli che nel suo romanzo rispolvera il coro greco, tutto al femminile, che incarna la saggezza e restituisce la direzione da intraprendere.
«Il malessere è illuminante, è un segnale da dentro», concorda la psicoterapeuta. «Non dobbiamo averne paura, ma prenderlo come spunto per capire ciò di cui abbiamo veramente bisogno».
Il libro e la serie
Noi due punto zero di Chiara Tortorelli (Homo Scrivens, 15 €) è un romanzo che indaga la psiche umana e il punto di smarrimento in cui è arrivata, e ci porta a riassaporarne il senso.
Fleabag è una miniserie inglese sulle trentenni di oggi, scritta e interpretata da Phoebe Waller-Bridge. La seconda stagione è in onda su Amazon Prima Video. In dvd, le stagioni 1 e 2 si trovano in lingua originale (40 €, su Amazon).
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Articolo pubblicato nel n° 27 di Starbene in edicola dal 18 giugno 2019