Niente è lapalissiano, in amore. Proprio adesso che ci appare libero di fluire verso qualsiasi sponda, questa emozione è inquinata di dubbi, assillanti e convulsivi, che ci portano diritti nella “discarica” dell’incertezza – oscura e minacciosa – sui tanti modi di volere bene che la modernità ci consente.
Romantiche lo siamo ancora, non si discute, ma anche capaci di separare sesso e innamoramento; siamo tutte autorizzate a vivere i rapporti come e con chi desideriamo, ma questo potere non è puro. Ci chiede, sempre, di scegliere che forma dare alle nostre relazioni, e non è sempre facile capire quale sia il modello migliore cui aspirare.
Nella deriva rincorriamo ancora l’amore ma non vogliamo che invada più di tanto la nostra vita. A chi il responso? A Carolina Bandinelli, che nel suo libro Le postromantiche. Sui nuovi modi d’amare (Laterza) traccia una mappa delle domande che ci pone la passione oggi, attraverso ricerche approfondite, storie personali e conversazioni tra amici e studenti della Z Generation.
«Con questo libro volevo dare una risposta alla domanda che mi ha accompagnato tutta la vita: cos’è l’amore?. Ho voluto rendere teorico un materiale che vivo in prima persona attraverso analisi di sociologia culturale, testimonianze reali e ricerche etnografiche», sono le parole di Carolina Bendinelli. L'abbiamo intervistata.
Amiamo diversamente rispetto al passato, è il prodotto di un’evoluzione sociale?
La nostra vita emozionale non è una terra vergine per la coltivazione di sentimenti incontaminati. Questo per dire che in ogni epoca, in ogni N società, in ogni punto dello spazio e del tempo ci sono sempre degli ideali impliciti a cui mirare in tutti gli aspetti dell’esistenza, amore e sesso compresi. La nostra epoca non fa eccezione a questo condizionamento.
Adesso a che punto siamo?
Nel mio lavoro di ricerca, iniziato nel 2016, ho cercato di individuare gli elementi costituitivi del sentire contemporaneo, che è diverso dal passato. Per due ragioni di base: abbiamo riconosciuto la crudeltà del sesso mercificato e, nel contempo, abbiamo rimesso in discussione il carattere utopico dell’amore romantico. Da una parte, sono stati evidenti i limiti del copione post femminista che imponeva una sessualità libera, scevra da moralismi e spesso ridotta a bene di consumo; dall’altra, si è dissolto il concetto dell’incanto d’amore, quello assoluto, eterno che scompagina per sempre le coordinate dell’Io e lo unisce indissolubilmente a un altro da sé. Però, è impossibile conciliare questi due estremi, è come sovrapporre la narrazione romantica alla banalità modaiola della promiscuità sessuale.
Quindi, è successo che...
Stiamo assistendo a una seconda rivoluzione che prende le mosse dalla consapevolezza, stanca e amareggiata, dell’artificio su cui poggia la coreografia del sesso e dell’amore. Perché sottostare alla messinscena del primo appuntamento, all’ansia di capire se ci sarà un bacio o meno, se gli piacciamo o no, se sia il caso di concedersi oppure meglio tirarsela, e poi spogliarsi e farsi vedere nudi, con le tette troppo grandi, il pene troppo piccolo, le gambe storte, le ginocchia sproporzionate…. e trovarci il giorno dopo ad aspettare un messaggio che, magari, non arriva? Insomma, consideriamo ormai ingenuo e démodé farci abbindolare dalla tempesta di endorfine dell’innamoramento, tanto si sa che ha i giorni contati (massimo tre anni, per la scienza).
La rifondazione ideologica su cosa si basa?
Sulla lettura critica, per lo più accurata, delle patologie delle relazioni come erano concepite nel passato. Non c’è rottura delle regole e provocazione anarchica, come è successo nella sensibilità sessantottina, la struttura del sentire contemporaneo è intenta a regolamentare, a ricostruire un quadro normativo su cui incanalare l’incontro tra due persone. A mutare sono il significato e la concezione del sesso e dell’amore, che si configurano come qualcosa da riparare per mezzo di un lavoro di diagnosi e prevenzione.
Dove porta questo concetto?
A una nuova utopia, perché la vita ha sempre bisogno di ideali a cui aspirare. I codici attuali per interpretare e costruire i sentimenti parlano di un “bene” sano, che non fa male, giusto ed efficiente. Indicano un orizzonte diverso che, anziché minacciare le coordinate dell’Io, sbaragliarne i confini, li rafforzano, li integrano.
Ma è possibile?
No, per il fatto che ogni utopia, ogni orizzonte idealizzato è di per sé irraggiungibile. La cosa più interessante, comunque, è cercare di capire perché si è arrivati a questo “credo”. L’amore in buona salute, così invocato nei nostri tempi, è la cartina tornasole di una società moderna che pretende di togliere il male lasciando intatto il bene. È la sindrome della birra senza alcol, la coca-cola senza zucchero e caffeina. Ecco, ora si vuole l’amore senza il rischio e il sesso senza il potere tra i partner.
Quello che ci interessa, ora, è proteggerci?
Normale in una collettività come la nostra, dove l’imperativo categorico è realizzare il potenziale del sé, e in cui ogni compromesso è visto come una rinuncia, anche i legami sentimental-sessuali diventano parte integrante del successo individuale. Quindi, se la sofferenza in amore è inevitabile, allora è meglio non perdere la testa. Va bene anche declinare la possibilità di incontro fisico, se troppo compromettente. E cosa c’è di più ottimale di un app di dating, che mantiene intatto il nostro Io? In fondo, tramite i match, i messaggi possiamo mettere alla prova la nostra desiderabilità senza esporci al pericolo di un passaggio vis-a-vis.
Siamo rinunciatari, insomma?
Procediamo con il freno a mano tirato. In tempi post romantici, siamo lontanissimi dalla perdizione trascendente del cuore e del corpo; non cerchiamo l’adrenalina di un rischio che ci metta di fronte all’imperfezione delle cose, o un ardore forte che ci faccia provare il capogiro della dissoluzione. Tutt’altro. Si cercano metodi efficienti per conoscenze sicure, chiarezza di intenti e comunicazione trasparente, secondo un’etica che mira a salvaguardare il soggetto da esperienze disagevoli che ne possano minare l’equilibrio emotivo. Il mistero, l’inciampo, il disequilibrio, non solo non interessano, ma fanno paura.
Che facciamo?
Nelle app di incontri, è diffusa la pratica di test da sottoporre a potenziali partner. Il proposito sarebbe quello di filtrare chi sarebbe una “perdita di tempo”, o che non è alla nostra altezza. Parimenti, le sensazioni perturbanti cerchiamo di eliminarle, gli amori tossici li diagnostichiamo con anticipo, non ci “buttiamo a capofitto”, piuttosto esaminiamo, verifichiamo, contrattiamo. Tutto si dovrebbe svolgere nel perimetro segnato dall’assenza di affezioni negative. Anche nell’amplesso, prima di qualsiasi gesto, prevalgono domande esplicite e risposte chiare tra i partner in modo da non mettere a disagio nessuno o urtare la sensibilità dell’altro.
Nella logica difensiva c’è anche l’esplodere di modi d’amare alternativi all’eterosessualità?
Le interpreto come la ricerca di codici nuovi, in fondo nel campo delle relazioni fluide non ci sono sceneggiature già scritte o norme calcificate negli anni, in cui la donna è ritratta come il simbolo del sesso vulnerabile, da tutelare con ineguaglianze e asimmetrie di genere normalizzate dalla società patriarcale.
Soppesare pro e contro a cosa ci porterà?
Ogni pensiero sviluppa giunture normative che occludono alcuni spazi mentre ne rivelano altri. Nel tentativo di eliminare certe storture dalle formule dell’intimità, l’etica post romantica produce il miraggio di un amore che rifiuta il confronto a due per l’ansia della possibile “catastrofe”. Così, però, sottrae quel valore di verità che il dolore sempre comporta; e rischia di collassare l’esistenza – fatta di sorprese, scoperte, attese – su quella diagnostica, solo valutativa. Si smarrisce la distinzione, sottile ma basilare, tra sentimento e trama amorosa: dove il primo è moto dell’animo sovversivo e deviante rispetto a qualsiasi struttura sociale, la seconda rappresenta il suo addomesticamento dentro un certo ordine ideologico. Ma l’amore ha un altro sapore.
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