Vitiligine, le nuove terapie: l’autotrapianto e i jak inibitori

Oltre alle terapie tradizionali contro la vitiligine, c’è una forma di autotrapianto che si esegue in ambulatorio in 30 minuti. Ed è in dirittura d’arrivo una nuova classe di farmaci



39346

Ebbene sì, con la vitiligine si può diventare anche delle top model affermatissime, com’è successo a Chantelle Brown-Young. Ma, sogni americani a parte, nella vita quotidiana questa malattia cronica crea molto disagio e può avere degli impatti psicologici devastanti, rivelati da tutti i sondaggi sull’argomento. Perché non è bello avere la pelle chiazzata di macchie bianco latte o color ghiaccio, che si allargano sempre di più fino a confluire tra loro e a disegnare la classica cute a “carta geografica”.

Ma che cos’è esattamente la vitiligine? «È una dermatosi di origine autoimmune, come la psoriasi, che colpisce circa l’1% della popolazione, soprattutto tra i 20 e i 40 anni. È dovuta alla presenza di anticorpi che attaccano e distruggono i melanociti dello strato basale dell’epidermide, responsabili della produzione di melanina», spiega Mauro Picardo, professore all’UniCamillus International Medical University di Roma e coordinatore della task force europea sulla vitiligine.

«Si formano così delle aree cutanee depigmentate, con macchie chiarissime che compaiono in diverse parti del corpo: volto (soprattutto la zona perilabiale), collo, torace, addome (specie intorno ai capezzoli e all’ombelico), inguine, schiena, mani, gomiti, ginocchia e piedi. Un’estensione non indifferente, insomma, soprattutto in considerazione del fatto che le macchie non sono stabili ma possono espandersi con il passare del tempo».

Le cause? Come per tutte le patologie autoimmuni sono in parte sconosciute. Si sa che la vitiligine ha una forte componente genetica (il 30% dei pazienti ha uno o più casi in famiglia), che è spesso associata ad altri disordini immunologici, come le tiroiditi autoimmuni, e che i fattori scatenanti possono essere traumi psicofisici di varia natura come cadute, incidenti, ustioni, lutti, separazioni o periodi di forte stress.


Vitiligine, le cure tradizionali: creme più fototerapia

Attualmente la vitiligine si cura con la cosiddetta terapia sequenziale: farmaci topici, cioè creme a base di corticosteroidi e di immunomodulatori locali, seguiti da uno o più cicli di fototerapia.

«Le creme, che vanno applicate due volte al giorno sulle aree prive di melanina per almeno 6-12 mesi, sfruttano il potere antinfiammatorio del cortisone e dei suoi derivati, oltre a quello immunomodulante di alcune molecole quali il tacrolimus e il pimecrolimus, che però hanno come indicazione il trattamento della dermatite atopica, non specificatamente della vitiligine», puntualizza il professor Mauro Picardo.

«Dopo un periodo di cure farmacologiche si passa a un ciclo di fototerapia con UVB a banda stretta, che dev’essere programmato in un centro ospedaliero o universitario: si espone la pelle, per un tempo massimo di due minuti, alla luce di questi ultravioletti selezionati che hanno il compito di riattivare i melanociti quiescenti, per stimolarli a fare il loro dovere. I risultati, in termini di ripigmentazione delle lesioni, sono intorno al 60% ma la risposta è molto variabile da persona a persona: nei casi più fortunati il 90% della pelle riacquista un colorito uniforme, in altri solo il 30%. Inoltre, la fototerapia è molto impegnativa per i pazienti, perché richiede sedute ravvicinate (tre volte alla settimana) per cicli di 6-8 mesi». Lo stimolo biologico offerto dalla luce ultravioletta dev’essere, infatti, continuo.


Vitiligine, l'avvento dell’autotrapianto

Pioniere nel campo del trapianto autologo di melanociti, l’Istituto Dermatologico San Gallicano di Roma dieci anni fa ha avviato un’importante sperimentazione clinica aprendo una nuova strada per la cura della vitiligine. Strada che oggi viene praticata con successo da una larga fetta di pazienti che vogliono risolvere il problema in maniera definitiva.

«Si tratta di una procedura ambulatoriale, poco invasiva, che si effettua in 30 minuti grazie a un kit creato ad hoc», rassicura il professor Picardo. «Dopo aver applicato una crema anestetica, con uno speciale strumento chiamato dermotomo si “gratta via” un piccolo campione di epidermide sana. Questo viene messo in una provetta contenente soluzione fisiologica, siero ematico del paziente ed enzimi che separano le cellule. Si ottiene così una sospensione cellulare, composta da cheratinociti e melanociti, che viene applicata sulle zone da colorare tramite semplice sgocciolamento dall’ago di una siringa. Si fasciano, per i primi tempi, le aree trattate e si attende che le cellule trapiantate attecchiscano nelle nuove sedi, per cominciare a sintetizzare la melanina. Fatto che avviene progressivamente, nell’arco di sei mesi, nell’80% dei pazienti, purché subito dopo l’autotrapianto si segua un ciclo di fototerapia UVB a banda stretta, con due sedute settimanali per tre mesi».

Il successo, quindi, è quasi assicurato anche se alcune aree del corpo, come i piedi e le mani, sono più resistenti e rispondono poco all’autotrapianto, seguito dall’esposizione agli ultravioletti. Inoltre, per candidarsi all’innovativo trattamento, occorre che la vitiligine sia limitata come diffusione e sia stabile, cioè non spuntino nuove macchie e non si allarghino quelle esistenti da almeno un anno.


Vitiligine, nuovi farmaci in arrivo

E poiché la ricerca non si ferma mai, è stata recentemente approvata dalla FDA statunitense una nuova classe di farmaci, indicata specificatamente per il trattamento della vitiligine, che agisce secondo un meccanismo diverso dai corticosteroidi e dagli immunomodulatori.

«Si tratta dei cosidetti jak inibitori (abbreviativo di janus chinasi inibitori) che interrompono la catena di reazioni infiammatorie e immunitarie che porta alla distruzione dei melanociti», chiarisce il professor Mauro Picardo.

«Per entrare nel merito, in caso di vitiligine i linfociti (cellule specializzate del sistema immunitario) producono gamma-interferone che si lega al recettore janus chinasi presente sui cheratinociti epidermici. Fatto che comporta la secrezione di altri mediatori dell’infiammazione che conducono alla morte dei melanociti. Bloccando questa via di trasmissione, si interrompe la cascata infiammatoria e si mettono in salvo le cellule produttrici di melanina».

Circa gli jak inibitori, al momento la FDA ha approvato una molecola per uso topico, cioè in forma di crema: si chiama ruxolinitib ed è in corso di valutazione anche da parte dell’Ema, l’agenzia europea per i medicinali. «Applicata quotidianamente sulle lesioni, ha dimostrato di riuscire a indurre la repigmentazione delle macchie in un numero significativo di pazienti», conclude il professor Mauro Picardo.

Anche altre molecole per via sistemica sono oggetto di sperimentazione e si spera che possano presto segnare una svolta nel trattamento della vitiligine.


Fai la tua domanda ai nostri esperti

Leggi anche

Psoriasi e vitiligine: la giusta beauty routine

Psoriasi e vitiligine: i benefici della luce fredda

"Ho curato la psoriasi con i bagni nel bosco"