Articolo pubblicato sul n. 8 di Starbene in edicola dal 09/02/2016
Per molti, ma non per tutti. Sono i test genetici salvavita, importantissimi per identificare chi è a rischio di tumori o di trombosi. Quali sono i più convalidati, usciti dall’area della sperimentazione? E a chi sono consigliati? Lo abbiamo chiesto a due esperti: la dottoressa Alberta Ferrari, chirurgo senologo al Policlinico San Matteo di Pavia, e il professor Francesco Brancati, genetista clinico e docente di genetica medica all’università Gabriele D’Annunzio di Chieti-Pescara.
LA PAROLA ALLA SENOLOGA
>Quanti sono i tumori al seno di origine genetica?
«Rappresentano solo il 5-10% di tutte le forme di carcinoma mammario. Ma è importante identificarli precocemente perché sono aggressivi e colpiscono prevalentemente le donne giovani, sotto i 40 anni. Spesso, invece, accade che vengano diagnosticati quando la donna è già ammalata,anche se aveva una forte probabilità di contrarre questa forma eredito-familiare.
Per questa ragione, insieme a Ornella Campanella (giovane infermiera portatrice della mutazione genetica), ho fondato da un paio di mesi la onlus aBRCAdaBRA che si propone di diffondere una cultura dellaprevenzione, informando e sostenendo tutte le donne che presentano la mutazione genetica BRCA1 e BRCA2 (i due geni implicati nel cancro al seno e all’ovaie). Il rischio di sviluppare un carcinoma mammario, in questo caso, è infatti compreso tra il 70 e il 90%».
>Tutte le donne dovrebbero sottoporsi all’esame?
«No. Profilassi non significa screening di massa. L’accesso a questi test del sangue è regolamentato da criteri precisi. Possono essere prescritti dal senologo quando, a seguito di un’accurata anamnesi familiare, emergono degli elementi che inducono il sospetto di una mutazione genetica. I criteri per identificare le donne ad alto rischio, candidate al test, sono molti.
I più importanti? Avere diversi casi di tumore al seno o all’ovaio in famiglia. Ad esempio, tre parenti stretti (o anche meno se il tumore è comparso sotto i 50 anni). Avere la madre, o la nonna, o una zia o una sorella che ha contratto il tumore in età giovanile (sotto i 37 anni) e che è risultata positiva al test. Altro caso: avere uno o più casi in famiglia di uomini con tumore alla ghiandola mammaria».
>Tumore all’ovaio. Chi deve fare il test?
«Il cancro all’ovaio di origine genetica, che ha in comune le stesse mutazioni che predispongono a quello al seno, ha un’incidenza maggiore. Rappresenta, infatti, il 25% di tutte le neoplasie ovariche. Anche in questo caso esordisce prima del solito (intorno ai 50 anni, invece che dopo i 60). Per questo è importante identificare precocemente le donne portatrici di mutazione genetica, attraverso una capillare indagine sulla storia familiare.
Come per il tumore al seno, viene preso in considerazione il numero di casi di carcinoma mammario o ovarico presenti tra consanguinei. Per esempio, avere parenti con queste forme tumorali comparse a qualsiasi età, risultate positive al test genetico, fa scattare la sua prescrizione».
LA PAROLA AL GENETISTA
>In gravidanza occorre fare il test per la trombofilia familiare?
«Premetto che i recenti episodi di morti per parto non avevano alcun legame con la trombofilia ereditaria. A differenza di quanto è stato detto erroneamente, il test genetico non deve essere prescritto automaticamente a tutte le donne in attesa. Le 5 varianti genetiche che aumentano il rischio di trombosi vanno ricercate esclusivamente alla fine di un percorso diagnostico ben preciso tracciato da ginecologo, ematologo e genetista.
La maggior parte delle volte ci si ferma al primo step perché il ginecologo, raccogliendo l’anamnesi familiare, non ravvisa l’esigenza di fare indagini approfondite. L’ematologo e, in seconda battuta, il genetista entrano in gioco solo se la donna ha parenti di primo e secondo grado che hanno avuto eventi trombotici durante la gravidanza, il parto o il puerperio o nel corso dell’assunzione della
pillola anticoncezionale.
Oppure se c’è familiarità per malattie quali embolia polmonare e trombosi venosa profonda, anche in età giovanile. In questo caso, il ginecologo invierà la donna dall’ematologo, che le prescriverà esami utili a tracciare un profilo ematologico ben preciso. I test del dna sono solo un tassello di questo profilo, e vanno eseguiti dopo il consulto col medico genetista».
>Eppure molte future mamme si fanno prescrivere i test in autonomia…
«È proprio questa tendenza al “fai da te” che va evitata. Purtroppo, oggi spendendo 400-500 euro è possibile fare i test genetici per la trombofilia ereditaria in qualsiasi laboratorio. Ma ciò crea falsi allarmismi o false sicurezze. Risultare positive al test, infatti, non significa incorrere nella trombosi.
È solo uno dei tanti elementi che va valutato e soppesato dall’ematologo e dal genetista, il quale interpreta e commenta i dati con una “lettera di visita genetica”, totalmente assente dai referti di laboratorio. La lettera, di fondamentale importanza, guiderà il ginecologo e l’ematologo nella scelta di eventuali terapie utili a scongiurare il rischio di trombi durante la gravidanza o il parto».
Anche per il tumore al polmone, i test non sono per tutti?
«Sicuramente. Per lo screening del tumore al polmone, negli ultimi anni sono state messe a punto varianti del test genetico tradizionale che, analizzando su un campione di sangue i cosiddetti microRNA, consentono di intercettare la patologia in una fase molto precoce, quando ancora non dà alcun sintomo. Questi test, però, non sono ancora di routine.
Vengono eseguiti nel corso di studi clinici che arruolano, nel caso specifico, forti fumatori sotto i 50 anni o alcune categorie a rischio professionale. Si tratta, quindi, di esami preventivi di nicchia, cui ricorrere in casi ristretti. Solo individuata una mutazione genetica precisa,è possibile estendere il test ad altri soggetti a rischio della stessa famiglia».
Voluttuari, curiosi, un po’ inutili
-Sono i test genetici pronti a svelarti a che anno ti verranno le rughe, se sei a rischio di cellulite o se i tuoi chili di troppo sono imputabili ai geni, piuttosto che a quello che metti nel piatto. E c’è persino il test
teso a sondare la compatibilità di coppia o quello per sapere se hai ereditato il gene del guerriero: carattere combattivo e votato al successo.
-Sono utili? «Sicuramente non sono di vitale importanza», risponde il professor Francesco Brancati, genetista. «Vivere bene, secondo uno stile di vita corretto, serve molto di più che chiedere responsi ai test genetici».
Articolo pubblicato sul n. 8 di Starbene in edicola dal 09/02/2016
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