Niente chemio, ma qualche rimedio senza validità scientifica come l’infuso di ortiche. E inseguendo l’illusione di riuscire in questo modo a guarire, sono morte di recente due giovani donne malate di tumore, ultime di una serie di casi non solo italiani.
Per tutti, il comune denominatore è uno solo: il metodo Hamer, così chiamato dal nome dell’ex medico tedesco che l’ha formulato. In base alle sue teorie, il cancro si sviluppa in seguito a intensi shock emotivi, che aprono la strada alla proliferazione delle cellule oncogene.
La guarigione, sempre secondo questo metodo, è una questione di concentrazione, indispensabile per potenziare le cellule sane del sistema immunitario e indirizzarle nella lotta contro quelle malate. Rifiutare la chemio, dunque, a detta di Hamer è un atto dovuto nei confronti delle proprie cellule per aiutarle nel loro lavoro.
Teorie senza senso, che però trovano terreno fertile nel momento della malattia, quando si è naturalmente più fragili. E che hanno gioco facile ancora di più se consideriamo che a tutt’oggi la chemio continua a incutere timori e resistenze. «Ce ne accorgiamo dalle domande che ci pongono i pazienti durante le visite», riferisce Fortunato Ciardiello, presidente dell’Esmo, la società scientifica che riunisce gli oncologi europei.
«Lo stigma più comune è quello degli effetti collaterali che, nell’idea comune, sono così devastanti da rendere impossibile la vita. Un tempo, certo, la terapia era pesante. Ma in oltre 60 anni le cose si sono evolute, e in meglio». Rispetto alle prime chemio, i cambiamenti sono stati notevoli.
Oggi è decisamente più elevato il numero di principi attivi a disposizione, da combinare tra di loro per aumentarne l’efficacia. E rispetto alle prime chemio, è anche migliorato il controllo degli effetti collaterali.
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