Che cos’è #zittocancro: la storia di Dykadja tra tumore al seno e solidarietà

Combatte da anni contro un tumore al seno metastatico triplo negativo, ma non ha mai perso il sorriso. La storia di Dykadja Izidorio Paes, che ha costruito un progetto di solidarietà al servizio di altre pazienti oncologiche



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Era una moglie felice e la madre innamorata di due bambini piccoli quando, a 28 anni, Dykadja Izidorio Paes – brasiliana di nascita, italiana di adozione – ha scoperto di avere un tumore al seno triplo negativo. Ma la prova più dura è arrivata al termine del ciclo di cure: dopo tanta sofferenza, Dykadja pensava di poter finalmente mettere la parola “fine” al suo percorso oncologico, quando i medici le hanno comunicato la diagnosi di quarto stadio, quello di tumore metastatico.

A quel punto, si è sentita mancare la terra sotto i piedi, eppure si è rialzata in fretta, ha dato la notizia alle amiche e ha deciso di affrontare quel male “mettendolo a tacere”. Nasce così il progetto #zittocancro, che vuole offrire solidarietà, vicinanza e aiuto alle donne che ogni giorno combattono contro un tumore. Oggi, Dykadja è anche uno dei volti dei “Salotti” di Donne in Meta, la campagna – promossa da Gilead Sciences in collaborazione con Europa Donna Italia, patrocinio di Susan G. Komen Italia e, da quest’anno, con la comunità delle oncologhe italiane rappresentata da Women for Oncology – che afferma l’importanza della condivisione come terapia efficace per ridurre il carico fisico ed emotivo imposto dalla malattia.


M come metastatica, ma anche come mamma. Due termini così diversi condividono la loro iniziale. Quanto è difficile affrontare questo percorso da giovane madre?

«I figli sono la mia più grande forza e, al tempo stesso, la mia maggiore debolezza. Forse senza di loro mi sarei lasciata andare. Ma, d’altra parte, non sarei neppure tormentata dal pensiero doloroso di doverli lasciare. Da mamma metastatica ho sentimenti contrastanti: non è facile capire in quale direzione corrono di più. Di certo con i miei bambini ho sempre condiviso quello che mi accadeva, usando un linguaggio adatto alla loro età. Sanno che la mamma ha una malattia al quarto stadio, chiamata cancro, e che un giorno andrà a vivere in cielo. Ma in fondo questa è una naturale evoluzione della vita: purtroppo non resteremo qui per sempre. Ho insegnato ai miei bambini a mettere una mano sul cuore e socchiudere gli occhi quando sono lontana, in modo da sentirmi comunque vicina, dicendo che potranno farlo anche quando un giorno non ci sarò più».

Quanti anni hanno?

«Otto e cinque anni, ma al momento della diagnosi il più grande, Lorenzo, aveva tre anni e il più piccolo, Francesco, solamente quattro mesi. Hanno sempre vissuto la mia malattia e li ho resi partecipi anche delle terapie che dovevo seguire, spiegando che dopo le infusioni non sarei riuscita a prenderli in braccio, a rincorrerli, a giocare come prima. Quando ho cominciato l’attuale chemioterapia, ho detto che mi sarebbero caduti i capelli e il più piccolo non l’ha presa molto bene, forse perché lo ha associato al fatto che stavo male per davvero. Così, con delicatezza, gli ho domandato come potessi aiutarlo e lui mi ha chiesto di mettere la parrucca. Per questo oggi la indosso, anche se il più grande dice che mi preferisce senza, perché sono più naturale».

284592Perché è importante non focalizzarsi solamente sulla propria malattia?

«Uno dei miei motti è: “#zittocancro, perché ho da fare”. Noi pazienti non siamo la nostra malattia, ma molto di più. È inutile piangersi addosso, non serve a nulla. Dobbiamo sempre tenere a mente chi eravamo prima della diagnosi, qual è la nostra vera essenza, quali sono i sogni che culliamo nel cuore. Trasformiamo la malattia in un’opportunità, per esempio quella di avere del tempo in più per conoscerci meglio, per fare qualcosa che prima non avevamo modo di coltivare, per capire quello che ci fa stare bene. Ci piace suonare uno strumento? Dipingere? Sistemare l’orto? Facciamo tutto quello che ci rende felici».

Come si fa scattare la molla per reagire?

«All’inizio è normale stare male, essere tristi, sentire il mondo che crolla addosso all’improvviso. Poco per volta, però, dobbiamo domandarci: “Davvero merito di affrontare questo percorso, che comunque è inevitabile, soffrendo e basta? O forse merito di essere felice?”. Questo non significa che dovremo sempre essere belle, truccate e sorridenti. Ci saranno giorni in cui non avremo la forza e la voglia di esserlo, anche a causa delle terapie, ma in tutti gli altri dobbiamo fare quello che ci regala gioia. La malattia non è una colpa, per cui continuiamo a meritare la felicità. E più cose riusciremo a fare, più saremo orgogliose di noi stesse: guardandoci alle spalle, ci renderemo conto di tutti gli ostacoli che abbiamo superato e troveremo nuova energia».

E se le terapie buttano a terra?

«È normale che sia così, anche per una questione biochimica. La chemioterapia può causare ansia, depressione, disturbi del sonno, stress, ma finché possiamo sottoporci alle cure significa che c’è speranza. Nel mio caso, da paziente metastatica, so perfettamente che non guarirò, ma le terapie mi regalano più tempo da trascorrere con i miei figli, il tesoro più prezioso».

C’è chi non riesce ad avere la tua stessa forza…

«Le malattie oncologiche rappresentano una prova sconvolgente, che riguarda diversi aspetti della vita. È giusto che ciascuno affronti il percorso in modo soggettivo, concedendosi tutto il tempo necessario per trovare la voglia di fare. La sofferenza va sempre rispettata».

Spesso anche per gli amici e i familiari non è facile stare accanto a chi soffre. Quali sono le cose da non dire mai a una paziente oncologica e cosa, al contrario, può aiutare?

«Non esistono cose giuste da dire o non dire in senso assoluto. C’è chi non sopporta la frase “Sei una guerriera” e c’è chi invece la apprezza. C’è chi prova fastidio di fronte a qualsiasi incoraggiamento e c’è chi, al contrario, ha bisogno di sostegno. Ogni persona è diversa, ma credo che la delicatezza stia nel chiedere semplicemente: “Cosa posso fare per te?”. Anche se non lo ammettiamo, soprattutto in alcune giornate più difficili di altre, abbiamo bisogno di aiuto: preparare la cena, accompagnare i figli a scuola, lavare e stirare i panni, sostenere nell’organizzazione quotidiana. Credo che offrire il proprio aiuto sia il dono più importante».

Qualunque malattia fa avvertire una perdita di controllo sul proprio corpo: ritagliare delle aree in cui si ha pieno potere decisionale, come il make-up o il look, può essere importante?

«Continuare a sentirsi belle è fondamentale. Dall’esterno possono sembrare cose futili e invece truccarsi, trovare vestiti che ci calzano a pennello e prenderci cura di noi stesse è davvero importante: le terapie cambiano inevitabilmente il nostro aspetto fisico, per esempio con l’aumento o la riduzione del peso, la perdita dei capelli, il gonfiore. Non è facile guardarsi allo specchio e accettare di non essere più quelle che eravamo. Ecco perché curare la nostra esteriorità fa così bene all’anima».

284593Cos’è il progetto #zittocancro?

«Si tratta di un progetto di solidarietà per aiutare le donne che combattono un tumore. Tutto è iniziato per caso. Terminate le cure per trattare il tumore triplo negativo, ho fatto un controllo di follow-up che sembrava andasse bene. E invece, a distanza di tre mesi da quella che pensavo fosse la fine del mio percorso, ho ricevuto la diagnosi del quarto stadio e ho scoperto di essere metastatica. Quel giorno, mi sono sentita travolgere da qualcosa di più grande e più forte di me. Ero disperata. Dopo aver fatto un bel pianto, però, mi sono rialzata e ho dato la notizia alle mie amiche, dicendo che ero determinata ad affrontare quel male: “Lui vuole gridare più forte di me, ma io lo farò stare zitto!”. Così, mi è venuto spontaneo fare un selfie con l’indice sulla bocca, immaginando di alzare la voce e mettere a tacere il mio ospite indesiderato. Poco dopo, le mie amiche mi hanno mandato degli scatti con i loro figli e mariti, tutti con il mio stesso gesto. È stato commovente, mi sono sentita abbracciata e protetta. Così, ho pensato: perché non trasmettere ad altre persone quello che ho provato? Perché non aiutare altre donne come me a condividere il loro percorso, facendole sentire meno sole? Da lì, è partito un progetto che vuole creare una rete fra le pazienti oncologiche. Oltre alla pagina social Zitto Cancro, dove le donne possono condividere la loro quotidianità e sentirsi non solo delle “pazienti”, organizziamo spesso degli eventi, come sfilate, trekking, giornate dedicate alla bellezza con specialisti in estetica oncologica e il progetto di musicoterapia Zitto Canto. In tutte queste occasioni, si trova la possibilità di scambiare esperienze, confrontarsi e capire come migliorare la propria qualità di vita, fisicamente, emotivamente e psicologicamente. Volersi bene parte da noi e non è mai troppo tardi per fare il primo passo».

Vi rivolgete solo alle donne con tumore al seno?

«No, #zittocancro è per tutti. Per esempio, ci seguono moltissime donne colpite da altri tumori femminili, come quelli all’ovaio o dell’utero, così come persone con diagnosi di melanoma, leucemia, tumore della tiroide, del pancreas o del colon-retto. Ci sono madri di bambini piccolissimi e mariti vedovi molto giovani. Insomma, la nostra associazione è per tutti coloro che hanno voglia di gridare insieme a noi, senza classificazioni».

Sei arrabbiata con il destino?

«Non ho mai provato rabbia, forse perché ho sempre sentito che mi sarei ammalata. Ho perso mia mamma quando aveva solo 39 anni, proprio per un tumore al seno, per cui ero preparata. Non ho mai pensato: “Perché proprio a me?”. Anzi, al contrario, penso spesso: “Perché NON a me? Cos’ho in più rispetto a tanti poveri bambini che stanno già lottando contro questa malattia?”. Credo che ciascuno di noi debba avere una coscienza sociale, quindi non mi sento in diritto di giudicare quello che mi accade. È successo, stop. Ovviamente sono triste e preoccupata per il futuro, soprattutto per quello dei miei figli, ma ogni giorno raccolgo tutte le mie forze per loro, per avere più tempo».

Come si riesce a sorridere anche quando si ha paura?

«Bisogna pensare che “lui”, il cancro, non deve rubarci la gioia di vivere. Quando ero piccola, la mia mamma mi diceva spesso: “Sorridi ogni giorno, perché ci sarà sempre qualcuno che avrà bisogno del tuo sorriso. Potresti cambiargli la vita, l’umore, una giornata storta”. Anche lei, nonostante le lacrime che ha versato, sorrideva sempre. Per me, il suo è stato un grande insegnamento, che voglio portare con me sino alla fine, come un tesoro prezioso da regalare a chi ne ha più bisogno».


(Nelle foto, Dykadja è con Daniela Rapone, una delle cofondatrice di Zittocancro, e con i suoi figli)


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