Terapie digitali: cosa sono e quali malattie curano

Si tratta di veri e propri “farmaci” tecnologici destinati a combattere molte malattie, dalla depressione al diabete, dall’ipertensione al dolore. Frutto di seri studi scientifici, attraverso smartphone, Pc e device indossabili fanno parte delle nuove armi della medicina. Ne parliamo con il massimo esperto italiano



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“Allora, per la sua ipertensione mi apra tre volte al giorno questa app, e dopo pranzo giochi al computer per 20 minuti”. No, il nostro medico di famiglia non è impazzito o vittima di un microchip cerebrale governato dall’intelligenza artificiale: sta solo gestendo la nostra malattia con i nuovi farmaci del futuro, le terapie digitali. Non pensate però alle solite app per misurare la pressione; o, perlomeno, non solo a questo, ma a vere e proprie terapie, validate scientificamente, che utilizzano software, smartphone e altri device per curarci.

Un futuro ormai realtà in molti paesi del mondo e che, finalmente, si sta sviluppando anche da noi. Rappresenta, oggi, una delle svolte tecnologiche più interessanti e promettenti nel campo medico insieme all’intelligenza artificiale. Ne parliamo con il massimo esperto italiano, il dottor Eugenio Santoro, responsabile dell’Unità per la ricerca in sanità digitale e terapie digitali dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri di Milano.


Che cosa sono le terapie digitali?

Sono dei software, dei programmi (in forma di applicazioni, ma anche di tecnologie indossabili o videogiochi) validati scientificamente attraverso sperimentazioni cliniche, esattamente come i farmaci, che vengono utilizzati per curare o gestire una patologia specifica. Il software in questi casi rappresenta l’intervento curativo, quindi non parliamo di strumenti che fanno solo un monitoraggio di certi parametri (per esempio, misurano la qualità del sonno o i battiti cardiaci) o che vegliano sull’aderenza del paziente alla terapia (come i “diari” digitali leggibili online dal medico), ma molto di più.


Quindi il software si comporta come un farmaco?

Esattamente: funziona allo stesso modo di un principio attivo, ma viene “assunto” dal paziente attraverso smartphone, strumenti di intelligenza artificiale o tecnologie indossabili, come un visore per la realtà virtuale o un tutore comandato a distanza. Le terapie digitali sono per il 40% in forma di app, per il 25% sono usufruibili via web e nel 10% vengono realizzate in videogiochi e con la realtà aumentata.


Che altre differenze hanno rispetto alle tante applicazioni del benessere che già usiamo?

Una, ma fondamentale: gli studi clinici che hanno dimostrato l’efficacia terapeutica dello strumento che utilizziamo, validazione ufficiale che le altre applicazioni normali non possiedono. Infatti per l’Aifa, l’Agenzia italiana del farmaco, le terapie digitali sono dispositivi medici di classe elevata per i quali vengono richieste prove di sicurezza ed efficacia, quindi ricerche che dimostrino che fanno bene e sono innocue. Specificando gli eventuali effetti collaterali, come nel foglietto illustrativo dei farmaci tradizionali.


Quali malattie curano?

Questi software sono stati creati innanzitutto per eseguire terapie cognitivo-comportamentali, cioè quel tipo di psicoterapia che aiuta le persone a gestire i pensieri e i comportamenti negativi, ma anche per curare la depressione, oppure aiutare a cambiare quegli stili di vita che hanno portato al disturbo, sempre basandosi su linee guida mediche internazionali. La scelta delle situazioni curabili, così, è vasta: si va dal diabete alle patologie cardiovascolari le quali, con la gestione delle dipendenze (soprattutto quella da fumo), sono fra le opzioni tecnologiche più diffuse e disponibili. Ma esistono anche soluzioni anti obesità, per il dolore cronico e quello lombare. Nulla è inventato di sana pianta ma tutto è sempre scientificamente provato, e poi inserito in un programma digitale.


Facciamo un esempio di app curativa...

Esiste quella che cura l’ipertensione e agisce sui fattori di rischio, inducendo il paziente a intervenire sugli stili di vita attraverso l’attività fisica (vengono suggeriti gli esercizi più efficaci), una dieta specifica, la misurazione del sale ingerito, la gestione dell’ansia (con training mirati) e la qualità del sonno: tutti fattori che incidono sulla pressione sanguigna. È un vero e proprio protocollo medico che va seguito, con delle regole, dei tempi e delle misurazioni precise. Gli studi dimostrano che chi utilizza l’app vede scendere i valori pressori nel tempo.

Come Istituto Mario Negri poi, nel campo cardiovascolare, siamo coinvolti in un grande progetto italiano (chiamato CV-Prevital, coordinato dal Centro Cardiologico Monzino) che vede protagonisti 14 IRCCS afferenti alla Rete Cardiologica, i medici di medicina generale e le farmacie, per costruire una nuova terapia digitale che abbia il primo studio di supporto più vasto al mondo, con il reclutamento di ben 80mila soggetti in prevenzione primaria. L’obiettivo è vedere, grazie all’uso dell’applicazione, se nel giro di un anno si riduce il rischio cardiovascolare e se nei sette anni successivi si riducono gli eventi cardiovascolari avversi.


Chi può prescriverle?

Il medico curante o lo specialista che, dopo la visita, oltre a eventuali esami e medicinali suggerirà una specifica terapia digitale, che va utilizzata secondo indicazioni precise, cioè con lo schema terapeutico approvato dall’ente che vigila sull’uso di questi dispositivi. Le terapie digitali possono anche essere parte integrante di un percorso di telemedicina che sta seguendo il paziente. Purtroppo in Italia manca ancora una regolamentazione ufficiale di questi strumenti, nonostante la qualifica di dispositivi medici: le cure oggi esistenti vengono quindi acquistate direttamente dai malati dietro indicazione del medico ma nell’ambito della Sanità privata, o sono previste da certe assicurazioni sanitarie.

Manca quindi il tema importante del rimborso da parte del SSN e dell’attribuzione di tali cure ai LEA, cioè ai Livelli essenziali di assistenza, che elencano le prestazioni e i servizi che il Sistema sanitario deve fornire a tutti i cittadini, gratuitamente o dietro pagamento di un ticket. In Germania, Francia e Inghilterra sono invece normate nei dettagli, molto diffuse e spesso rimborsate (circa 40 solo in Germania, per esempio). Da noi nella Sanità pubblica vengono utilizzate, per ora, soprattutto negli studi scientifici.


Il costo di una terapia digitale?

Oggi è in genere assimilabile a quello di una cura tradizionale con farmaci, psicoterapia o fisioterapia. Diverse assicurazioni sanitarie contemplano e offrono questa opzione.


Ci possono essere effetti collaterali?

Sì, e devono essere indicati nel foglietto illustrativo, anche se rari o lievi. Per citarne alcuni fra i possibili, si tratta soprattutto di episodi di nausea o cefalea, che poi sono quelli tipici delle esposizioni eccessive ai dispositivi digitali utilizzati da tutti.


Il futuro di queste cure in Italia?

È in costruzione un disegno di legge che ha l’obiettivo di individuare i criteri che una terapia digitale deve avere per essere prescritta e ottenere la rimborsabilità dal SSN, associandola a un LEA e a un percorso terapeutico preciso all’insegna dell’uguaglianza fra pazienti. Il gruppo di espertichiamati a supportare il lavoro dell’Intergruppo Parlamentare sta cercando di migliorare la bozza della legge in modo che possa essere promulgata il prima possibile. Una mano in questo compito arriverà anche dalla nuova regolamentazione europea sulla valutazione dei dispositivi medici, ambito nel quale ricadono le terapie digitali. Si dovrà pensare poi all’integrazione dell’intelligenza artificiale con queste nuove cure.


Il videogioco che fa bene

EndeavorRx è il primo videogioco terapia digitale approvato dalla FDA americana per ridurre il disturbo da deficit di attenzione (ADHD). «Destinato ai bambini fra gli 8 e i 12 anni, è il risultato di diversi studi clinici, condotti su un totale di 600 minori», commenta Eugenio Santoro.

«Gli utenti devono giocare 20 minuti al giorno per 5 giorni alla settimana e raggiungere degli obiettivi, aumentando gradualmente il proprio livello di concentrazione. Prescritto dagli psichiatri americani, è frutto dei concetti basilari delle terapie cognitivo comportamentali e ha dimostrato di migliorare il livello di attenzione dei piccoli pazienti rispetto agli altri bambini che, nel gruppo di controllo delle ricerche, utilizzavano giochi senza basi scientifiche di supporto». Sempre negli Usa è stato recentemente approvato un visore di realtà virtuale che modifica le immagini della tv adattandole a difetti visivi dei più piccoli, come l’ambliopia.


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