Si manifesta con sintomi inequivocabili: secrezione nasale giallo verdastra, mal di testa, più frequente di prima mattina e localizzato sopra la radice del naso, o appena sotto le orbite degli occhi.
E poi quel dolore che si acutizza se premi sulle sopracciglia o le mascelle. È la sinusite, complicanza frequente del raffreddore (anche allergico), che può estendersi dal naso ai seni paranasali. «Sono piccole “cavità” simmetriche scavate all’interno dello scheletro del cranio, in diretta comunicazione con le fosse nasali.
Quando il naso si tappa ed è congestionato non ricevono più aria e si infiammano», spiega Enrico Brenna, specialista in otorinolaringoiatria. «Al loro interno si crea una pressione negativa, una sorta di “vuoto” che provoca dolore, mentre le mucose che le tappezzano iniziano a trasudare un liquido mucoso che non riesce più a defluire dalle narici e che ristagna, creando un terreno ideale per la proliferazione dei germi. A quel punto, al dolore si associano anche malessere generale, brividi e febbre, i segni, appunto, di una sinusite acuta».
Soluzioni saline, suffumigi o spray?
La sinusite, però, si può prevenire. Il segreto per riuscirci? «Quando sei raffreddata, libera subito le narici dal muco che ristagna, utilizzando le soluzioni saline isotoniche, le stesse impiegate per i bebè che, quando hanno il naso chiuso, non riescono a soffiarselo», spiega il professor Fabio Beatrice, direttore della struttura complessa di otorinolaringoiatria dell’Ospedale San Giovanni Bosco di Torino.
«Contengono una quota di sale identico a quello dei liquidi corporei, aumentano l’umidità nelle fosse nasali ed esercitano un’azione di lavaggio che facilita il deflusso del muco. Ne bastano 2-3 spruzzi per narice, da ripetere 2-3 volte al giorno, sinché il raffreddore non si risolve.
No, invece, ai tradizionali suffumigi: dilatano i piccoli vasi che irrorano il naso e fanno aumentare la congestione». «Se il naso rimane tappato, si possono utilizzare anche spray nasali a base di vasocostrittori che decongestionano i piccoli vasi sanguigni delle fosse nasali, favorendo la normale respirazione», aggiunge il dottor Brenna.
«Non vanno però usati per più di 5 giorni: se si esagera, per un effetto boomerang, aumentano la congestione e il naso si tappa ancora di più».
Acqua, tè e tisane "obbligatorie”
Per liberare il naso, quando si è raffreddati è anche importante bere di più. «I liquidi (almeno 2 litri tra acqua, tè o tisane al giorno) rendono il muco più fluido, evitando che ristagni nelle fosse nasali», raccomanda il professor Beatrice.
«La sera, invece, ok ad un brodino di pollo: è ricco di cisteina, un aminoacido che fluidifica le secrezioni nasali, mentre prima di andare a letto è benefico un bagno caldo, che facilita l’idratazione del muco e aiuta a stappare il naso.
Attenzione, però, a farlo bene, creando una sorta di bagno turco: occorre far scorrere l’acqua nella vasca in modo da riempire la stanza di vapore (deve appannare specchi e vetri) e fissare sotto il getto un sacchettino di garza con una grossa manciata di erbe balsamiche (gemme di pino, eucalipto). Poi, basta immergersi per 10-15 minuti, inalando i vapori balsamici che esalano dall’acqua».
Quando servono i farmaci
Se la prevenzione non basta e la sinusite prende ugualmente il via, è necessario affrontarla subito con i farmaci giusti: «Cortisonici che riducono l’infiammazione e antibiotici che annientano i germi responsabili dell’infezione dei seni», raccomanda il dottor Brenna.
«Vanno prescritti dal medico e assunti, a seconda dell’entità dell’infezione, sotto forma di spray, per bocca o per via iniettiva. In genere l’infezione si risolve nel giro di una decinadi giorni di cura».
In un 10% di casi, però, la sinusite acuta può diventare cronica: le mucose dei seni diventano ipertrofiche, stentano a sgonfiarsi, impedendo all’aria di circolare e al muco di defluire verso l’esterno.
«Anche in questo caso occorrono cortisonici e antibiotici, da utilizzare però per periodi più prolungati», spiega il professor Beatrice. «Vanno associati anche a lavaggi nasali con soluzioni ipertoniche che, a differenza di quelle isotoniche, hanno un alto contenuto di sale marino: richiamano acqua dalle mucose ipertrofiche, decongestionandole.
Le dosi: 3 spruzzi per narice, mattina e sera, per almeno 30 giorni di seguito. Utili anche cicli di cure termali, della durata di 10 giorni l’uno, in centri con acque sulfuree o salsobromoiodiche che hanno un’azione disinfettante e decongestionante. È però importante orientarsi su trattamenti “umidi” come inalazioni, humage e vaporizzazioni: agiscono in modo dolce, senza
irritare le mucose dei seni».
Quando rimane solo la chirurgia
«Se la forma di sinusite cronica è resistente a tutte le cure può essere necessario ricorrere alla chirurgia, ma il bisturi va programmato solo dopo aver effettuato una tac craniosinusale senza mezzo di contrasto, esame radiologico in grado di identificare con certezza estensione e gravità dell’infezione», spiega Beatrice.
«Oggi, l’intervento per tornare a far “respirare” i seni è mininvasivo e prevede un decorso post operatorio breve e poco doloroso. La tecnica utilizzata è la Fess, viene effettuata nei centri d’eccellenza di otorinolaringoiatria (te li può segnalare l’otorino o il medico curante) e dura un’ora.
Dopo l’anestesia generale, il chirurgo introduce nelle fosse nasali uno strumento a fibre ottiche (l’endoscopio) che, oltre a visualizzare il campo operatorio, fa da via d’entrata a ministrumenti chirurgici con i quali apre e rimodella i canali di comunicazione dei seni paranasali con le fosse nasali, ed elimina eventuali polipi.
Poi, introduce dei piccoli tamponi che vengono rimossi dopo 24 ore. Il dolore postoperatorio è controllabile con gli antidolorifici e, dopo 1-2 notti di degenza, si può tornare a casa (alle normali attività dopo una settimana). L’indice di successo è alto ma le forme polipose in un 20% dei casi tendono a recidivare».
E se fosse colpa dei denti?
Sinusite cronica e denti: un rapporto tutt’altro che improbabile, perché esiste un tipo di sinusite, detta mascellare odontogena che è legata proprio a un’infezione di uno dei premolari o del primo molare dell’arcata dentale superiore, provocata per esempio da un’estrazione, una devitalizzazione o l’installazione di un impianto.
Le radici di questi denti sono molto vicine ai seni mascellari e un’infezione può propagarsi sino alla zona in questione. Proprio per questo, soprattutto quando il dolore interessa solo una metà del viso, oltre a una visita otorinolaringoiatrica è sempre bene mettere in nota una panoramica dentale, in grado di identificare eventuali focolai infettivi.
Fai la tua domanda ai nostri esperti
Articolo pubblicato sul n. 42 di Starbene in edicola dal 03/10/2017