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Rischio cardiovascolare residuo: che cos’è e cosa fare

Nonostante l’assunzione delle terapie standard, nelle persone con ipertensione arteriosa, glicemia alta e ipercolesterolemia persiste un rischio cardiovascolare, detto residuo, da tenere sotto controllo

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Spesso, chi soffre di ipertensione arteriosa, glicemia alta e ipercolesterolemia vive con una “spada di Damocle” sulla testa, che può cadere addosso all’improvviso: si tratta del cosiddetto rischio cardiovascolare residuo, che interessa circa il 7-8 per cento della popolazione generale, alle prese con la possibilità di andare incontro a complicazioni ed eventi cardiovascolari gravi (come infarto miocardico e ictus non fatale) nonostante le terapie assunte.

«In sostanza, è un rischio che persiste nelle persone che presentano una propensione alla patologia aterosclerotica», descrive il professor Giuseppe Ambrosio, direttore del reparto di Cardiologia e Fisiopatologia cardiovascolare presso l’Azienda ospedaliera di Perugia. «Sicuramente i trattamenti standard che vengono usati per tenere sotto controllo ipertensione, colesterolo e glicemia sono fondamentali per prevenire il rischio cardiovascolare, ma quest’ultimo non si azzera mai del tutto».


Cos’è il rischio cardiovascolare residuo

Anche negli studi clinici controllati, dove ai partecipanti viene somministrata una terapia ottimale non soltanto in termini di principio attivo e di dosaggio, ma anche di aderenza da parte dei pazienti (che seguono alla lettera le raccomandazioni riguardo tempi, dosi e frequenza di assunzione), esiste sempre un rischio cardiovascolare residuo.

In altre parole, c’è la possibilità che la cura non basti per evitare problemi, anche quando il trattamento rispetta tutti i requisiti previsti dalle linee guida internazionali. «Nella realtà, poi, si sommano ulteriori fattori che concorrono ad aumentare questo rischio, come l’utilizzo di farmaci non particolarmente potenti, la scelta di dosi non sufficientemente elevate, un scarsa aderenza da parte del paziente e, non da ultimo, la presenza di altre patologie collaterali», descrive il professor Ambrosio.


Quali sono le cause del rischio cardiovascolare residuo

In generale, a determinare il rischio residuo nei pazienti cardiovascolari sono diversi fattori, tra cui molti non modificabili (come età, sesso e predisposizione genetica) e altri modificabili (quali sedentarietà, fumo di sigaretta, alimentazione sbilanciata, ipertensione arteriosa, diabete, ipercolesterolemia e trigliceridi alti).

A giocare un ruolo importante sono soprattutto le dislipidemie, ovvero le alterazioni delle quantità di grassi circolanti nel sangue, in particolare trigliceridi e colesterolo: sia il colesterolo LDL (volgarmente noto come “cattivo”) sia i trigliceridi contribuiscono, infatti, a infiammare le pareti delle arterie, favorendo la formazione di quelle placche aterosclerotiche che, nel tempo, provocano un restringimento dei vasi sanguigni e limitano l’afflusso di sangue. «Si è notato che l’impiego delle statine per ridurre il colesterolo ha un effetto piuttosto modesto sui livelli di trigliceridi, per il cui il rischio comportato da questi ultimi permane», avverte il professor Ambrosio.


Come si calcola

Purtroppo, non esiste un calcolo scientifico che possa tradurre il proprio rischio cardiovascolare residuo in un punteggio, un valore preciso. «Sono troppi i fattori che possono incidere sul risultato, quindi un confronto con la popolazione generale è pressoché impossibile», ammette Ambrosio.

Gli unici numeri noti sono quelli di alcune percentuali: sappiamo, per esempio, che in Italia le malattie cardiovascolari sono ancora responsabili del 44 per cento di tutti i decessi e che nei pazienti con un precedente evento cardiovascolare la probabilità di avere una recidiva è del 50 per cento al primo anno, mentre in caso di evento ricorrente aumenta al 75 per cento nell’arco dei tre anni successivi.


Come si gestisce

Di fronte all’incertezza di questo rischio personale, come gestirlo? «Per prima cosa, è fondamentale praticare una regolare attività fisica e curare l’alimentazione, limitando carboidrati semplici, salumi, latticini e prodotti grassi.

Mentre il colesterolo non è così influenzato dalla dieta come possiamo pensare, infatti, i trigliceridi lo sono eccome», avverte il professor Ambrosio. Se nonostante tutto, dopo un paio di controlli, i livelli di trigliceridi continuano a essere elevati (superiori a 150 mg/dL), è bene correre ai ripari. «In tal senso, all’orizzonte, c’è una novità. Accanto alle attuali misure terapeutiche usate per tenere sotto controllo il rischio lipidico, tra cui le statine, ezetimibe e i farmaci biologici, arriverà a breve sul mercato una nuova terapia che va ad agire nello specifico sui trigliceridi». Si tratta dell’icosapent etile, un prodotto puro a base di grassi buoni Omega 3, principalmente acido eicosapentaenoico, che – nell’ambito dello studio REDUCE-IT, pubblicato sul New England Journal of Medicine – ha mostrato di migliorare sostanzialmente la prognosi clinica nei pazienti con rischio cardiovascolare molto elevato e alti livelli di trigliceridi.


L’importanza degli Omega 3

Da anni, sappiamo che nelle popolazioni abituate a seguire una dieta particolarmente ricca di pesce, quindi con concentrazioni molto elevate di Omega3, i livelli di trigliceridi sono più bassi rispetto alla popolazione generale, così come il rischio cardiovascolare. «Detto ciò, non tutti i farmaci a base di Omega 3 già in uso hanno dimostrato un effetto positivo, come invece è stato chiaramente osservato per l’icosapent etile», rivela il professor Ambrosio. «Questa formulazione, che dovrebbe arrivare in primavera 2023, si differenzia dalle altre miscele esistenti per il tipo di lavorazione, per la quantità di grassi buoni e per la purezza della preparazione chimica. È l’unico farmaco all’orizzonte ad aver dimostrato di poter ridurre gli eventi cardiovascolari in aggiunta alle statine, ma la sua prescrivibilità dovrà soddisfare i requisiti citati, tra cui il fatto che il colesterolo totale sia sotto controllo con le statine, ma che i trigliceridi persistano comunque ad alti livelli».


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