«Mi sono accorta quasi subito che Irene era una bambina problematica”: esordisce così Stefania Gambini, 50 anni, ricordando quel gennaio del 2008, quando la piccola è nata (nella foto qui sopra insieme alla figlia). Irene non dorme più di un paio d’ore per notte e poi, occhi sbarrati e in preda al pianto, rimane sveglia sino all’alba. Di giorno è poco attiva, ma “forse è solo un piccolo gufo che ha scambiato il giorno per la notte”, pensa la mamma.
Con il tempo, invece, i dubbi aumentano: Stefania è un medico e lavora all’ospedale di Melegnano (Milano), ma a farle drizzare le antenne non è la sua professione. Sono i confronti con Valeria, la figlia più grande: le due bambine hanno solo 15 mesi di differenza.
«A due anni la piccola non parlava, era impermeabile a qualsiasi messaggio verbale, come fosse sorda», ricorda. «E poi, si concentrava per ore sullo stesso gioco e si dondolava, estranea a quel che succedeva intorno». Pochi controlli dimostrano che Irene ci sente. Nessun problema anche al nido che frequenta da quando ha 8 mesi: “Ogni bimbo ha i suoi tempi ”, la rassicurano le maestre. Stefania non si convince e fissa una visita al reparto di neuropsichiatria infantile all’Istituto Carlo Besta di Milano.
Un anno di ritardo nello sviluppo
Risonanza magnetica, elettroencefalogramma e test genetici non evidenziano problemi organici. Ma i test psicologici dimostrano che in termini di movimento, interazione, gioco e linguaggio Irene è indietro rispetto alla sua età: 1 anno di ritardo che, sottolinea la psicologa “non sarà mai colmato. Un’incognita anche prevedere se sarà destinato o meno ad aumentare”.
E poi, la diagnosi: la piccola ha un disturbo dello spettro autistico, “imparentato” con l’autismo di cui il 2 aprile si celebra la giornata mondiale per sensibilizzare l’opinione pubblica su un problema che riguarda una quota sempre maggiore di bambini. Solo in Italia, 1 su 100, numeri allarmanti soprattutto se letti nella loro progressione: in 5 anni hanno avuto un incremento del 78% e in 40 anni sono decuplicati.
Stefania è sconcertata: «Nel mio immaginario, i bimbi autistici erano quelli che rifiutavano ogni contatto fisico e che non agganciavano lo sguardo. Irene, anche se chiusa in un mondo tutto suo, non era così». Di fatto, quando la piccola ha 6 anni, il suo problema ha finalmente un nome: sindrome di Asperger, disturbo dello sviluppo che ha punti in comune con l’autismo perché trasforma in uno scoglio ogni relazione sociale. Non provoca però ritardi mentali e Irene, come capita a volte ai bimbi Asperger, è un piccolo genio: a 4 anni ha già imparato a leggere da sola e ha una memoria eccezionale.
La difficoltà di chiedere
Il suo percorso di crescita viene subito sostenuto con sedute di logopedia e psicomotricità. Non sono terapie specifiche, ma possono “smuovere” Irene e aiutarla a uscire dal suo guscio. A far da turbo ci sono anche Alessandro, il papà, molto accudente, e Valeria, che dimostra di avere la stoffa della terapeuta: coinvolge la sorellina nei giochi, condivide con lei le amichette, impedendo che Irene si chiuda in quell’isolamento tipico degli Asperger e che, se non riconosciuto, li imprigiona in una gabbia di frustrazione, rabbia e depressione.
Irene si apre progressivamente e quando arriva in prima elementare parla correttamente e ha un rendimento scolastico al top. Non ha però ancora imparato a chiedere, anche solo di andare in bagno e di qualcosa di cui ha bisogno. L’educatore che l’assiste in classe le fornisce pian piano una sorta di manuale di istruzioni per come destreggiarsi e lei, come ogni bimbo Asperger, apprende per imitazione. Dall’inizio di quest’anno, comincia a seguire anche sedute di psicoterapia cognitivo comportamentale insieme a due coetanei con lo stesso disturbo.
I progressi non tardano: «Ha imparato ad agganciare bambini che non conosce, introdursi nelle conversazioni, saper ascoltare anche discussioni che non la interessano», spiega Stefania. «Insomma, a usare mappe per muoversi nella socialità, per limitare le sue risposte senza “filtri”, i drastici no, o il puntare i piedi davanti a situazioni per lei difficili». Un grosso aiuto lo fornisce anche Gulliver, il cane maltese che due mesi fa è entrato a far parte della famiglia: «È Irene a occuparsene, portandolo anche fuori per le passeggiatine, assieme alle amiche», spiega Stefania.
Tante amiche e le Lol pets
Già, perché oggi, che ha 11 anni, Irene ha un bel gruppo di amiche, comprese quelle della squadra di pallavolo con cui gioca da due anni. Non solo: lei che fa fatica a chiedere, un mese fa a scuola si è offerta di andare alla lavagna e a fine anno parteciperà alla recita con un ruolo da protagonista. Ogni tanto ha però ancora bisogno della sua isola di solitudine, che la ritempra (per un bimbo Asperger socializzare è come far le scale invece di camminare in piano) e dei piccoli riti che le danno sicurezza (mette le sue Lol pets tutte in fila davanti a sé sulla scrivania, quando fa i compiti).
«Per il resto è una bambina che, vista da fuori, non è molto diversa dalle altre: un po’ più timida, emotivamente più fragile, ma serena», commenta Stefania. Il segreto di questo cambiamento? «La diagnosi precoce, potenziata dal lavoro di rete tra famiglia, scuola, psicologi e psicoterapeuti che hanno permesso a Irene di affrontare le piccole sfide di ogni giorno. Ma soprattutto, la consapevolezza che l’Asperger non è una malattia, ma solo un diverso modo di essere e di sentire.
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Articolo pubblicato sul n. 15 di Starbene, in edicola dal 26 marzo 2019