Riabilitazione cognitiva a distanza, cos’è e quando serve

È fondamentale per chi ha subito lesioni cerebrali traumatiche, ictus o altri danni dovuti a patologie neurologiche. Oggi è possibile farla anche a distanza



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Dopo un ictus o una lesione cerebrale traumatica, ma anche in caso di malattie come il Parkinson, l’Alzheimer o la sclerosi multipla, seguire un percorso di riabilitazione cognitiva è fondamentale per incrementare le abilità residue del cervello e per apprendere strategie compensatorie che aiutino a garantirsi un’autonomia personale e il pieno rientro in società.


Che cos’è la riabilitazione cognitiva

«Si tratta di allenare le cosiddette funzioni cognitive superiori, come memoria, attenzione, concentrazione, capacità di calcolo, gestione dello spazio circostante ed elaborazione di un programma motorio, ovvero l’esecuzione di una serie di gesti necessari per arrivare a un preciso obiettivo, come preparare un caffè», spiega la dottoressa Irene Giovanna Aprile, responsabile del Dipartimento di Riabilitazione Neuromotoria dell’IRCCS Fondazione Don Carlo Gnocchi e Responsabile Medico del Centro S. Maria della Provvidenza di Roma. «Queste abilità cognitive possono essere compromesse da molte malattie neurologiche di natura traumatica, infettiva o degenerativa e, per le patologie acute, la riabilitazione inizia in una struttura ospedaliera, dove di solito ci si occupa contemporaneamente anche del recupero motorio».


Come funziona la riabilitazione a distanza

Dopo la degenza, una volta rientrati a casa, è fondamentale proseguire il percorso di riabilitazione per rallentare il peggioramento dei sintomi (come nel caso di Parkinson o sclerosi multipla) o per recuperare alcune abilità (nel caso dell’ictus). «Oggigiorno sono disponibili dei dispositivi medici tecnologicamente avanzati che permettono di trattare il paziente da remoto», evidenzia la dottoressa Aprile. «In sostanza, c’è una piattaforma digitale che consente al medico di assistere a distanza all’esecuzione degli esercizi e che registra i progressi, mentre la persona effettua il percorso in autonomia o con l’aiuto di un caregiver. Di solito viene utilizzato lo schermo della TV o del tablet, su cui vengono proiettati degli esercizi che richiedono un impegno cognitivo, come ricordare e identificare un certo numero di oggetti che compaiono». Tra l’altro, grazie all’uso di elementi mutuati dai giochi (gamification), questi strumenti digitali trasformano gli esercizi di riabilitazione cognitiva in attività divertenti, incentivando gli utenti a partecipare attivamente al proprio recupero.


Quali sono i vantaggi della riabilitazione cognitiva

Per il paziente, il principale vantaggio della riabilitazione cognitiva a distanza è quello di non doversi spostare dal proprio domicilio, superando le difficoltà dovute alla ridotta mobilità, alla lontananza dall’istituto e agli impegni personali o dei caregiver. «Ipotizziamo che questi percorsi risulteranno sempre più utili in futuro, visto l’aumento vertiginoso delle patologie croniche», riflette l’esperta. «Tra l’altro, si è osservato che l’aspetto cognitivo è spesso coinvolto anche in malattie dove originariamente si pensava che il sistema nervoso fosse interessato solo nella sua porzione più distale, come muscoli o nervi periferici. Dunque, il bisogno di riabilitazione sarà sempre maggiore».


Adatta anche per i bambini

La riabilitazione cognitiva a distanza è adatta anche per i bambini affetti da patologie neurologiche, neuropsicologiche e psichiatriche che comportino disfunzioni motorie (paralisi cerebrali infantili, esito di danno cerebrale acquisito), disabilità cognitive (sindromi genetiche, esito di danno cerebrale precoce), disturbi specifici di apprendimento (dislessia evolutiva, disortografia, disgrafia, discalculia), disturbi comunicativo-linguistici (ritardo dello sviluppo del linguaggio, disturbi specifici del linguaggio, disprassia verbale), disturbi dello spettro autistico o disturbi da tic. «La pandemia da Covid-19 ha fatto da catalizzatore alla transizione verso l’erogazione di questi servizi di cura, in cui la distanza era un fattore critico», conclude la dottoressa Aprile. «Per non interrompere i trattamenti ai bambini, è stato sperimentato il coinvolgimento dei familiari nell’utilizzo di piattaforme che sono state via via affinate. Così si è capito che, pur non sostituendo il contatto diretto con i medici, che periodicamente vanno comunque consultati, la riabilitazione a distanza può dare continuità alle cure e addirittura implementarle, grazie a programmi di esercizi che possono essere eseguiti una o più volte al giorno a casa in presenza del caregiver».


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