Acidità di stomaco: cos’è, cause, sintomi, soluzioni

Il senso di acidità e bruciore che possiamo avvertire dopo un pasto abbondante oppure la notte, da sdraiati, potrebbe nascondere un problema cronico da trattare precocemente per evitarne una progressione severa



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“Che acidità di stomaco!”. Dirlo può sembrare un ossimoro, visto che lo stomaco è un ambiente naturalmente acido, eppure tutti abbiamo provato quella fastidiosa sensazione almeno una volta nella vita. «Spesso l’acidità di stomaco si associa al bruciore, che noi medici definiamo pirosi», racconta il dottor Fulvio Cappelletti, responsabile di Gastroenterologia, endoscopia digestiva e dietologia all’ospedale Koelliker di Torino.

«In realtà, questi due sintomi non sono davvero percepiti a livello di stomaco, che possiede speciali meccanismi di protezione contro l’acido che vi è contenuto. Il problema sorge quando i succhi gastrici o i loro vapori risalgono nell’esofago: questa porzione del canale alimentare, infatti, non è protetta come lo stomaco, quindi percepisce la permanenza di sostanze acide al suo interno e subisce un’irritazione».

Quali sono le cause dell'acidità di stomaco

Il meccanismo alla base del reflusso è un malfunzionamento dello sfintere esofageo inferiore, una sorta di valvola presente tra esofago e stomaco che impedisce al cibo e all’acido gastrico di risalire verso l’alto. Il cattivo funzionamento può coinvolgere anche lo sfintere esofageo superiore, posto tra la faringe e l’inizio dell’esofago: questo partecipa alla deglutizione aprendosi per permettere al cibo di entrare nell’esofago e poi procedere verso il basso.

«Se il malfunzionamento riguarda solo quello inferiore, i liquidi acidi e i loro vapori risalgono solamente nell’esofago; se invece viene coinvolto anche quello superiore, i rigurgiti possono raggiungere la faringe, la bocca e le cavità nasali con diverse conseguenze», descrive il dottor Cappelletti.

Acidità di stomaco, a volte è passeggera

L’incontinenza di queste valvole, in particolare di quella inferiore, può semplicemente essere dovuta al fatto che gli sfinteri, essendo strutture muscolari, si possono indebolire o possono non chiudersi correttamente, consentendo al contenuto gastrico di refluire nell’esofago.

Oppure, in alternativa, può esserci un’ernia iatale: «In questo caso, è come se un pezzetto di stomaco risalisse sopra il diaframma, finendo per sollevare anche lo sfintere esofageo inferiore, che “fuori sede” non riesce più a funzionare in maniera ottimale», evidenzia l’esperto. Talvolta i disturbi sono passeggeri, dovuti magari a qualche stravizio alimentare (o qualche bevuta di troppo), altre volte invece diventano cronici.


Quali sono le conseguenze dell'acidità di stomaco

Una piccola risalita di contenuto gastrico è assolutamente fisiologica: chi non ha mai sentito “tornare su” il cibo dopo un pasto più abbondante o più pesante del solito? Di solito il problema è meno evidente durante il giorno, quando la stazione eretta permette all’eventuale reflusso acido di scendere nuovamente verso il basso per effetto della gravità, mentre di notte – in posizione orizzontale – il refluito può sostare in esofago molto più a lungo.

«Se il problema si presenta con una certa regolarità, i sintomi percepiti possono anche essere diversi», avverte il dottor Cappelletti. Mal d’orecchio, sclerofonia (alterazione della voce, che risulta più aspra), raclage (quel fastidio alla gola a cui reagiamo schiarendo la voce), tosse stizzosa al mattino, erosione dentale, fastidio alle gengive, sinusite, dolore retrosternale (spesso scambiato per il sintomo di un infarto), extra-sistole (battito irregolare del cuore), russamento notturno: sono tanti i sintomi insospettabili dell’acidità di stomaco, in base al distretto che viene raggiunto dal reflusso gastroesofageo.

«Ma l’eventualità più temuta è che, anno dopo anno, questa continua condizione finisca per modificare la mucosa locale: si tratta del cosiddetto esofago di Barrett, dove il tessuto che riveste l’esofago viene sostituito con una nuova mucosa di tipo intestinale, generata dall’esofago stesso». È una condizione che, percentualmente, può evolvere in un carcinoma con un’incidenza (numero di casi ogni 100.000 persone/per anno) maggiore rispetto a un esofago con mucosa normale.


Acidità di stomaco, come si arriva alla diagnosi

A seconda dell’età del paziente e della durata della sintomatologia, il medico può prescrivere diversi esami per arrivare a una diagnosi certa.

«Per esempio, nei soggetti più giovani non si ricorre quasi mai a esami invasivi, ma si prescrive un trattamento per un certo periodo, osservando la risposta», spiega il dottor Cappelletti. «Se poi la terapia non risolve la sintomatologia, se questa si ripresenta dopo l’interruzione dei farmaci, ma anche nei pazienti con insorgenza dei sintomi oltre una certa età o, ancora, nei casi con sintomi di allarme, si prescrive la gastroscopia per osservare la continenza, cioè la capacità di tenuta, degli sfinteri e la presenza di infiammazione a livello dell’esofago».

Attenzione, però: non esiste una corrispondenza fra la gravità dei sintomi e l’entità del danno che viene riscontrato nel corso dell’esame. Ci sono persone che manifestano un fastidio persistente e importante eppure presentano un danno lieve, mentre altri soggetti non sono così tanto tormentati dal senso di bruciore e acidità, mentre hanno sviluppato un’infiammazione severa a carico dell’esofago, se non addirittura delle ulcere.

«Tutto dipende da una sensibilità locale al danno e questo complica la storia della malattia nei pazienti paucisintomatici, cioè con sintomi lievi, perché mancano i campanelli di allarme che fanno correre precocemente ai ripari», spiega il dottor Cappelletti.

«Nei casi dubbi o complessi, si può ricorrere alla ph-impedenzometria esofagea 24 ore, che prevede l’introduzione di un sondino del diametro di pochi millimetri attraverso il naso e il suo posizionamento a cavallo dello sfintere esofageo inferiore. Il sondino resta in questa sede per 24 ore consecutive, collegato a un apparecchio registratore portatile, mentre il paziente può seguire il suo ritmo di vita abituale per indagare meglio cosa scatena la sintomatologia lamentata».


Come si tratta il reflusso gastroesofageo

Normalmente, il reflusso gastroesofageo viene trattato con farmaci antiacidi (chiamati anche “tamponanti”), a base per esempio di bicarbonato di sodio, carbonato di calcio o idrossidi di magnesio e alluminio, che agiscono neutralizzando gli acidi prodotti all’interno dello stomaco.

Purtroppo si tratta di rimedi efficaci ma temporanei, perché lo stomaco tende a riportare velocemente il suo pH al livello originario, per cui questi farmaci vanno assunti più volte al giorno. Al contrario, a cambiare la storia del reflusso gastroesofageo sono stati i cosiddetti inibitori della pompa protonica (omeprazolo, esomeprazolo, lansoprazolo, rabeprazolo, pantoprazolo), farmaci largamente impiegati nella terapia di svariate condizioni legate all’iperacidità gastrica e talvolta usati come “gastroprotettori” in pazienti che assumono antinfiammatori per altre patologie.

Il problema è che il loro uso protratto nel tempo rischia di avere ripercussioni sul benessere generale, causando soprattutto il malassorbimento di alcuni nutrienti (come vitamina B12, ferro, calcio e altri minerali), una possibile riduzione della funzionalità renale, un ridotto effetto sterilizzante dell’acido cloridrico e possibili sovrapproduzioni batteriche intestinali. «Ecco perché il primo consiglio fornito ai pazienti è quello di agire sullo stile di vita», tiene a precisare il dottor Cappelletti. Questo significa, per esempio:

  • mangiare lentamente. Una corretta masticazione agevola la digestione e riduce i tempi di permanenza del cibo nello stomaco. I pasti vanno consumati da seduti e con calma, lasciandosi alle spalle nervosismo e preoccupazioni;
  • evitare pasti abbondanti. Meglio ripartire le calorie complessive nell’intero arco della giornata, mantenendo orari regolari senza mai saltare un pasto o ritardarlo eccessivamente e inserendo due spuntini (uno a metà mattina e l’altro nel pomeriggio) per tamponare l’acidità di stomaco;
  • occhio ai cibi. Vanno predilette le preparazioni semplici, poco condite e cucinate al vapore, ai ferri, alla griglia, alla piastra, al forno o al cartoccio. Non bisogna invece esagerare con caffè, spezie, insaccati, formaggi piccanti e fermentati, evitando invece le bevande zuccherate;
  • curare la salute generale. Bisogna evitare il fumo di sigaretta e il sovrappeso, non mettersi a letto subito dopo i pasti, non indossare gli abiti troppo stretti che premono sullo stomaco, sollevare di qualche centimetro la testiera del letto, non abusare delle bevande gassate che distendono le pareti gastriche.

 

Il consiglio

Soprattutto la cena dovrebbe essere un pasto frugale, leggero e possibilmente “asciutto”, non liquido. Il menù ideale? Un piatto di riso bollito, condito con olio extravergine di oliva e una spolverata di parmigiano.


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