Proteina C-reattiva (PCR): cos’è, valori normali, quando preoccuparsi

È una proteina prodotta dal fegato, il cui aumento nel sangue è sintomo di un’infiammazione in corso nell’organismo. Attenzione, però: questo esame non offre indizi sulla natura, sull’origine o sulla localizzazione del problema e va quindi interpretato dagli esperti



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Si abbrevia PCR, si legge proteina C-reattiva ed è uno dei parametri utili per verificare se nel nostro organismo è in corso un’infiammazione.

«Questa molecola viene prodotta dal fegato e rientra fra le cosiddette proteine di fase acuta, la cui concentrazione nel sangue aumenta in risposta a uno stimolo di natura infiammatoria o infettiva», spiega il dottor Fabrizio Papa, presidente della Società italiana di Patologia clinica e Medicina di laboratorio. «Non si tratta di un biomarcatore specifico, nel senso che non offre indizi su natura, origine o localizzazione del problema: una volta riscontrato un eventuale rialzo, dunque, sono necessarie ulteriori indagini per accertare la causa sottostante».

Cos’è la proteina C-reattiva

Nel gergo della biologia, la PCR è una opsonina, cioè una particella in grado di “legarsi” a cellule morte o morenti, ma anche a diverse specie batteriche, come una sorta di bandierina rossa: a quel punto, il sistema immunitario riconosce i bersagli verso i quali deve intervenire.

«In tal senso la proteina C-reattiva svolge un ruolo di sentinella nel corpo per indicare la presenza di potenziali minacce e può essere attivata anche da condizioni infiammatorie non legate a microrganismi esterni, come nel caso delle malattie reumatologiche o dei tumori», tiene a precisare il dottor Papa.

«Si può misurare con un semplice esame del sangue e il risultato non risente troppo dei fattori esterni o interni al paziente, come il fatto che sia a digiuno o meno, che sia giovane o anziano, che sia uomo o donna. Un elemento invece che potrebbe influenzare l’esito è l’assunzione di alcuni farmaci, come antinfiammatori e statine: in questo caso, il valore della PCR può risultare più basso rispetto al valore reale e dare un falso negativo».

Quando può essere utile il test della PCR

Solitamente, il dosaggio della proteina C-reattiva viene prescritto insieme alla velocità di eritrosedimentazione (VES), un altro marcatore dell’infiammazione, di uso diffuso.

«Tuttavia la PCR è più sensibile e specifica, perché tende ad aumentare prima che compaiano sintomi evidenti, come dolore o febbre, e iniziano a diminuire quando il paziente sta migliorando», descrive l’esperto. «L’incremento e il decremento precoci la rendono estremamente utile sia nel monitoraggio delle patologie acute sia nel valutare l’efficacia di una terapia, mentre la VES è più lenta a salire e scendere».

Detto ciò, il confronto fra questi due biomarcatori è utile perché alcune patologie si manifestano con un innalzamento maggiore dell’uno rispetto all’altro: per esempio, nelle malattie reumatologiche come l’artrite reumatoide attiva, la vasculite sistemica o la polimialgia reumatica, le linee guida indicano che il test di elezione per seguire la patologia è quello della VES sia in fase diagnostica che nel monitoraggio».

Quali sono i valori normali della PCR

Mediamente i valori “normali” della PCR devono essere inferiori a 5-10 mg/l con il metodo standard oppure a 0,5-1,0 mg/dl se si utilizza il metodo definito ad alta sensibilità.

La PCR ad alta sensibilità denota solo il processo di analisi utilizzato, consentendo il rilevamento di livelli inferiori di PCR, e non una diagnosi differenziale diversa o più specifica. «Va comunque verificato l’intervallo di riferimento indicato nel singolo referto, perché esiste una certa variabilità tra laboratori diversi dovuta alle differenti metodiche, ai reagenti utilizzati e alle strumentazioni: di conseguenza, per molti test di laboratorio, non esistono intervalli di riferimento universalmente applicabili», considera il dottor Papa.

Quali sono le cause del rialzo della PCR

Una proteina C-reattiva superiore al range indicato può suggerire una serie di condizioni: per esempio, se il rialzo è moderato, potrebbe trattarsi di un processo infiammatorio lieve (obesità, diabete), di un’infezione virale (compreso il comune raffreddore o l’influenza stagionale), di un infarto o di una neoplasia, mentre livelli molto elevati di PCR – superiori a 50 mg/dl – sono associati a infezioni batteriche in circa il 90 per cento dei casi. Ma ovviamente dentro il capitolo “infiammazione” rientra di tutto un po’: artrite reumatoide o altre patologie infiammatorie autoimmuni, malattie infiammatorie intestinali, lupus eritematoso sistemico, convalescenza di ustioni o ferite chirurgiche e così via.

«Anche l’obesità, in particolare quella viscerale, può alterare i valori della proteina C-reattiva, perché è caratterizzata da uno stato di infiammazione cronica di basso grado, un processo silente e asintomatico che alla lunga ha importanti ripercussioni sull’intero organismo», commenta il dottor Papa.

PCR: qual è il legame con il cuore

«Utilizzando la PCR ad alta sensibilità è possibile stimare anche il rischio cardiovascolare», evidenzia il dottor Papa. «Questo perché lo sviluppo dell’aterosclerosi, cioè la deposizione del colesterolo all’interno delle pareti dei vasi sanguigni, è associato all’infiammazione delle pareti dei vasi. Infatti i livelli nel sangue di PCR sono più elevati nei pazienti con aterosclerosi rispetto a quelli senza aterosclerosi».

Alcuni studi, dunque, hanno dimostrato che misurare la PCR ultrasensibile può essere di supporto per identificare il rischio di sviluppare eventi cardiovascolari in persone apparentemente sane. Viste le concentrazioni molto basse di questo esame, infatti, valori un po’ rialzati possono predire il rischio futuro di andare incontro a infarto, ictus, morte cardiaca improvvisa e patologie delle arterie periferiche.

«Il problema sta nell’interpretazione del referto: siccome l’aumento della PCR è associato a una pluralità di cause, come si fa a stabilire che quel rialzo rappresenta un segnale precoce ed esclusivo di rischio cardiologico?», precisa il dottor Papa. «Bisogna controllare altri elementi nel sangue, come i trigliceridi o il colesterolo, facendo una valutazione individuale che tenga conto della familiarità per alcune patologie, dello stile di vita, degli eventuali fattori di rischio, dei sintomi manifestati, delle co-morbilità e dei farmaci assunti. In conclusione, sarà il curante o lo specialista che ha richiesto o suggerito il test a fare la sintesi, esaminando l’insieme di tutte le informazioni a disposizione».

Cosa fare quando la PCR è alta

La proteina C-reattiva è una sorta di grandangolo dell’infiammazione: rileva che c’è un problema da qualche parte nel corpo, a prescindere dalla causa.

Innanzitutto, può essere utile ripetere il dosaggio a distanza di qualche giorno o settimana, a seconda dell’indicazione medica. «L’emivita ematica di questa proteina, ossia il tempo in cui la quantità in circolo si dimezza in assenza di una nuova produzione, è di circa 19 ore», chiarisce il dottor Papa. «Se nei controlli ravvicinati la PCR tende a diminuire, è presumibile che una patologia acuta si stia risolvendo, magari grazie al percorso terapeutico intrapreso nel frattempo. Se invece è stabilmente alta, significa che qualcosa non va».

A quel punto, è necessario fare uno “zoom” per scendere nel dettaglio di organi e tessuti, in modo da arrivare a una diagnosi differenziale. «Per fare questo, sono necessari esami del sangue con biomarcatori più selettivi oppure test strumentali che vengono indicati dal medico sulla base di un’anamnesi approfondita. Eventuali sintomi lamentati dal pazienti, eventuali zone dolorabili o masse anomale nel corpo, il racconto di recenti malesseri e così via possono indirizzare lo specialista verso un certo iter di approfondimenti, tagliato e cucito sulla singola persona», commenta il dottor Papa.

Come si abbassa la PCR                     

Non esiste una procedura standard per abbassare il valore della proteina C-reattiva, perché è necessario curare l’infezione o l’infiammazione sottostanti attraverso le cure necessarie per la specifica patologia, per esempio con antibiotici o cortisone.

Talvolta sono utili anche degli aggiustamenti allo stile di vita, come nel caso dell’obesità: perdendo peso e diminuendo l’infiammazione cronica di basso grado, riusciremo ad agire anche sulla PCR. «Talvolta, invece, la sforbiciata è pressoché impossibile: per esempio, nelle malattie croniche che comportano un valore modico ma stabilmente elevato di proteina C-reattiva, difficilmente riusciremo ad abbassare questo parametro oltre un certo livello, ma potremo monitorarlo nel tempo», conclude l’esperto.


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