Prevenire l’osteoporosi: le cure (naturali e non) per avere ossa forti

L’età avanza e si avvicina il rischio osteoporosi. Un destino ineluttabile? No, se sai come assicurare lunga vita al tuo capitale osseo. Un pool di esperti ti indica le cure (naturali e non) per mantenerti robusta “dentro”



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Sono due termini che scandiscono il calendario della vita: osteopenia e osteoporosi, il primo anticamera dell’altro. Un problema silente, riguardante soprattutto le donne in post-menopausa che non possono più contare sulla complicità degli estrogeni, gli ormoni che “cementano" la nostra impalcatura interna. La rarefazione del tessuto osseo, infatti, comincia a manifestarsi già prima dei 50 anni, specie in presenza di fattori favorenti quali fumo, sedentarietà, obesità, uso di farmaci cortisonici e scarsa esposizione alla luce solare che, com’è noto, favorisce la sintesi cutanea della vitamina D.

La bella notizia? Oggi è possibile rallentare il fisiologico processo di invecchiamento dell’apparato muscolo-scheletrico e riuscire ad arrivare a 70 anni e oltre con una buona qualità dell’osso: denso, elastico, resistente. In una parola ossa giovani, senza quella scritta “fragile” che ci proietta subito in uno scenario di fratture, la più temuta delle quali resta quella del femore. Perché molte sono le cose che puoi fare per migliorare il turnover cellulare, l’eterna lotta tra gli osteoblasti (le cellule operaie che “filano” il tessuto osseo) e gli osteoclasti (quelle demolitrici). Infatti, anche se lo scheletro viene percepito come rigido e statico, in realtà è un tessuto vivo in continuo movimento, dotato di grande plasticità perché frutto di una costante opera di rimodellamento. Lungi dal rassegnarti al tempo che passa, hai quindi molte frecce al tuo arco per stimolare il rimaneggiamento osseo.

Non ci credi? Dalle prime forme di osteopenia all’osteoporosi più severa, ecco le strategie vincenti per mantenere una buona massa ossea e avere ossa forti.


Le vitamine per giocare d’anticipo

Iniziamo a sfatare il luogo comune che in post-menopausa occorre mangiare più latticini, ricchi di calcio, o assumere quest’ultimo come integratore. «Il calcio è un minerale ubiquitario, che si trova in molti alimenti. Non solo latte e derivati ma anche frutta secca, legumi (soprattutto lenticchie, piselli e ceci), ortaggi (agretti, cicoria catalogna, cavoli, broccoli, cime di rapa) e pesciolini molto piccoli, i cosiddetti latterini, che vengono mangiati interi con la lisca. Senza contare il contributo delle acque minerali calciche, che occhieggiano dagli scaffali del super», spiega il dottor Paolo Giordo, esperto in fitoterapia a Firenze e Grosseto, autore del libro Osteoporosi senza medicine (ed. Terra Nuova, 14 €).

«Perciò è molto difficile avere un deficit di calcio e non c’è bisogno di integrarlo. Quella da assumere è invece la vitamina D, che scarseggia negli alimenti. Abbonda, infatti, nel fegato mentre la quantità presente in latte di mucca, salmone, sgombro e sardine è insufficiente a soddisfare i bisogni degli over 50. Anche il mito dell’esposizione agli ultravioletti va ridimensionato: è vero che chi abita nel Sud Italia, baciato dal sole diversi mesi all’anno, è più favorito rispetto a chi vive al Nord. Ma occorre sapere che la pelle di un sessantenne non sintetizza la vitamina D come quella di un adolescente. Con l’avanzare dell’età subentra un meccanismo imperfetto che ridimensiona il ruolo dello stimolo solare».

Ci vuole sempre una supplementazione, dunque. Quanta vitamina D prendere al giorno? Dipende dalla situazione di partenza. Quando gli esami del sangue rivelano un deficit vitaminico (20-30 ng/ml) è bene assumere anche 5000 UI al dì. Se invece il valore di base è più alto, possono bastare 3000-4000 UI. «Attenzione ad associare sempre la vitamina D con la K2: la prima favorisce l’assorbimento del calcio a livello intestinale, la seconda lo fissa nelle ossa», avverte il dottor Giordo. «Senza il complemento della K2, il calcio si va a fissare dove non dovrebbe: nelle pareti delle arterie, insieme ai depositi di colesterolo, o all’interno di legamenti e tendini, formando le temute calcificazioni (come quelle della cuffia dei rotatori, nella spalla). È proprio la vitamina K2 ad imprimere al calcio la direzione giusta, indirizzandolo verso le ossa per renderle più forti». Il dosaggio ideale? 200-300 mcg al giorno.


Balla che ti passa

Per avere ossa sane, però, la dieta non basta. Anzi, serve a poco se non è accompagnata da un’attività fisica regolare, di tipo aerobico: jogging o passeggiate a passo svelto, bicicletta, tennis, padel o anche ping-pong. Chi frequenta una palestra dovrebbe seguire corsi che prevedono saltelli come step, zumba, aerobica o, fra le attività cardio, il classico tapis roulant: le sollecitazioni meccaniche della superficie e le contrazioni dei muscoli a diretto contatto con l’osso (detti scheletrici) stimolano l’attività degli osteoblasti, che fabbricano nuovo tessuto, a discapito degli osteoclasti. «Chi non ama i centri fitness può comunque tenersi in allenamento con il ballo, un’ottima ginnastica “salvaossa”», prosegue Paolo Giordo.

«Dalla danza moderna all’hiphop, passando per il tango e gli intramontabili balli latino-americani, ogni donna può trovare uno spazio per coniugare salute, energia, movimento e divertimento». Meno efficaci, in tal senso, sono le attività in piscina (dal nuoto all’aquagym): svolte in assenza di gravità, non beneficiano delle sollecitazioni che derivano dall’impatto con il suolo.


Quando subentra l’osteopenia

Ma cosa succede quando la MOC (Mineralometria Ossea Computerizzata), l’esame diagnostico per eccellenza, mostra un T-score, cioè un punteggio, compreso tra -1 e -2,5? Significa che si è instaurato un quadro di osteopenia. Niente panico: ricordati che anche le ossa invecchiano. «È possibile arginare la situazione puntando, oltre che sulle vitamine D e K2, su fitoterapici in grado di migliorare la densità ossea o, quanto meno, evitare che diventi sempre più bassa», rassicura il dottor Paolo Giordo.

«Consiglio di prendere, due volte al giorno, 30 gocce di tintura madre di equiseto, una pianta preziosa per il benessere di ossa, unghie e capelli. È infatti molto ricca di silicio, minerale che favorisce la ricostruzione della matrice ossea. Va associato all’estratto secco titolato di ortica dioica, le cui foglie apportano tutti i minerali che partecipano al metabolismo osseo: calcio, fosforo, magnesio, rame, zinco, silicio e boro. Senza dimenticare di assumere almeno un grammo al giorno di vitamina C: favorisce la formazione delle fibre di collagene tessute all’interno dell’osso, insieme a quelle della nostra pelle». Grazie a questa azione, la trabecolatura diventa più elastica e flessibile, in grado di assorbire eventuali colpi o cadute che potrebbero causare una frattura.


Farmaci sempre più innovativi

Tutti conoscono il ruolo dei bifosfonati, farmaci usati da oltre vent'anni per evitare il riassorbimento osseo. Funzionano? «Sicuramente sì», risponde la professoressa Maria Luisa Brandi, ordinario di endocrinologia e malattie del metabolismo all’Università di Firenze, presidente FIRMO (Fondazione Italiana Ricerca sulle Malattie dell’Osso). «Vanno prescritti dallo specialista e la risposta monitorata con controlli periodici. Inoltre occorre avvisare sempre il dentista della terapia in corso con bifosfonati perché, in una piccola percentuale di casi, bloccare il riassorbimento osseo potrebbe portare all’osteonecrosi dell’osso mascellare, rendendo più complicati interventi quali gli impianti dentali. Si tratta, però, di un rischio minimo e a breve dovremo rivedere le linee guida con la Società Italiana di Implantologia, per minimizzare i timori, spesso infondati, che aleggiano su questa classe di farmaci».

Un’altra molecola antiriassorbitiva è denosumab, farmaco biologico già in uso da anni per il trattamento dell’osteoporosi che agisce in modo simile ai bifosfonati, tramite un’iniezione sottocutanea nella coscia e nell’addome, da praticare ogni sei mesi. C’è poi lo scottante tema dell’anziano che ha già subìto una frattura e corre un rischio 5 volte superiore di andare incontro a un’altra. Un problema molto sentito, dal momento che nel 2019 in Italia sono state registrate 568 mila fratture da fragilità ossea.

La grande novità? «È arrivato da pochi mesi un nuovo anticorpo monoclonale, romosozumab, che ha un duplice effetto, sia antiriassorbitivo, come i precedenti farmaci, sia ossoformativo, poiché stimola la formazione di nuovo tessuto osseo nell’arco di sei mesi», prosegue la professoressa Brandi. «Va prescritto dallo specialista (geriatra, ortopedico, fisiatra o endocrinologo), solo in pazienti selezionati che presentano un’osteporosi severa e un alto rischio di fratture. Questi, perché ne hanno già riportata una o poiché assumono abitualmente cortisonici, hanno un’andatura instabile, una predisposizione genetica e una MOC che rivela un osso molto rarefatto, a rischio imminente di rottura». Romosozumab viene somministrato con due iniezioni sottocutanee al mese eseguite in successione, tramite siringhe preriempite. La terapia va proseguita per un anno, quindi si rivaluta. Spetta allo specialista, in base alla risposta, decidere se continuare poi con i bifosfonati o denosumab».


Curati alle terme con il Servizio sanitario

Pagando un ticket di 55 €, con impegnativa del medico di base, hai diritto a 12 sedute all’anno di fangoterapia e altrettante di balneoterapia, un trattamento completo per contrastare l’osteoporosi. «I fanghi maturati con l’acqua salsobromoiodica ipertermale di Abano e Montegrotto Terme, ai piedi dei Colli Euganei (Padova), sono gli unici che nel 2005 hanno ottenuto una certificazione terapeutica, con brevetto rilasciato dalla Comunità Scientifica Europea (brevetto ETS05, Euganean Thermal Spring)», spiega il dottor Guglielmo di Blasio, direttore sanitario delle Terme di Relilax a Montegrotto.

«L’applicazione del fango a 40 °C, che può essere fatta total body o sulle aree più a rischio di osteoporosi come bacino, femore e colonna vertebrale, ha effetti riconosciuti dall’Università di Padova. Innanzitutto, la pelle assorbe per osmosi i minerali presenti nel fango termale (calcio, silicio, zinco, rame, magnesio, manganese, bromo, iodio e altri), che vanno a fissarsi nei tessuti duri. Inoltre, lo stesso calore ceduto dal fango stimola il metabolismo osseo, grazie a un miglior afflusso di sangue, ossigeno e sostanze nutritive». Terzo vantaggio: nel fango si trova la bioglea, un’alga ricca di cianobatteri dalla potente azione antinfiammatoria. Tra questi, il Phormidium ETS-05: calma le infiammazioni articolari aiutando a combattere anche l’artrosi.


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