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Alluci rigidi: cause, sintomi e come curare

L’articolazione del primo dito del piede può diventare dolente, rigida e limitata dal punto di vista funzionale. Ma a seconda del livello di gravità, esiste la giusta soluzione per curare gli alluci rigidi

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La terminologia, alluce rigido, descrive il principale sintomo di questa patologia, ovvero la rigidità – e di conseguenza la limitazione funzionale – del primo dito del piede. «Si tratta di una patologia degenerativa, esattamente come l’artrosi del ginocchio o dell’anca, che interessa l’articolazione metatarso-falangea dell’alluce, con la conseguente compromissione del movimento di flessione ed estensione del dito», descrive il dottor Michele Risi, specialista in Ortopedia e Traumatologia al Primus Forlì Medical Center.

«In termini di frequenza, l’alluce rigido rappresenta la seconda condizione patologica dell’articolazione metatarso-falangea dopo l’alluce valgo e colpisce circa il 2,5 per cento della popolazione di età superiore ai 50 anni, in prevalenza di sesso femminile con un rapporto di 2 a 1 rispetto ai soggetti maschi». Può talvolta, ma non frequentemente, associarsi ad altri disturbi del piede, come le dita a martello, o più spesso a metatarsalgia, ovvero il dolore localizzato nella regione plantare del piede in corrispondenza delle teste metatarsali poste alla base delle dita: «Quest’ultima condizione deriva da un’alterazione biomeccanica dovuta alla rigidità dell’alluce, che porta a un sovraccarico delle articolazioni metatarso-falangee delle altre dita del piede».


Come si riconosce l'alluce rigido

Il dolore e la progressiva limitazione dei movimenti dell’alluce sono i principali disturbi della malattia. Si assiste spesso a un lento peggioramento del quadro clinico con la comparsa di difficoltà nell’affrontare gesti e abitudini quotidiane, come infilarsi le scarpe, camminare, sollevarsi sulla punta del piede o indossare calzature con i tacchi. In corrispondenza della parte dorsale del primo dito, inoltre, si osserva spesso una tumefazione dura, dovuta alla comparsa di osteofiti, piccole escrescenze ossee che originano dalle ossa dell’articolazione a seguito di un processo degenerativo. «In genere, la problematica compare gradualmente: nelle fasi iniziali il paziente avverte un fastidio occasionale solo quando utilizza scarpe a punta stretta, ma con il passare del tempo il dolore diventa sempre più frequente e persistente, al punto da costringere a rinunciare a qualsiasi tipo di scarpa chiusa, optando per calzature morbide a pianta larga oppure a sandali e ciabatte», riferisce il dottor Risi.


Quali sono le cause

La reale causa dell’insorgenza dell’alluce rigido è tuttora sconosciuta, ma si tratta comunque di un fenomeno degenerativo che interessa la cartilagine, accompagnato da un progressivo irrigidimento articolare. «Talvolta sono presenti fattori predisponenti, come un trauma distorsivo o fratturativo del primo dito oppure una serie di microtraumi ripetuti nel tempo, come accade per esempio a chi pratica alcuni sport, quali calcio, danza classica o arrampicate. Nella maggior parte dei casi, però, non c’è nulla di tutto questo alla base», tiene a precisare il dottor Risi.

 

Come si arriva alla diagnosi

Di solito, il medico specialista effettua un attento esame clinico per formulare la diagnosi. «Questo primo step aiuta anche nella diagnosi differenziale, perché l’alluce rigido non va confuso per esempio con l’alluce valgo», chiarisce il dottor Risi. «La differenza è molto evidente, perché l’alluce rigido conserva l’integrità del normale asse anatomico e non appare deviato lateralmente verso le altre dita, come avviene invece nell’alluce valgo, che tra l’altro non presenta quasi mai rigidità o limitazione del movimento di flesso-estensione».

Spesso, i pazienti sospettano di essere affetti da gotta, una malattia infiammatoria causata da livelli elevati di acido urico nel sangue: «In realtà, gli attacchi di gotta sono episodici, mentre l’alluce rigido è una condizione permanente e stabile, pur essendo accompagnato da fenomeni di riacutizzazione». All’esame clinico è necessario far seguire le radiografie del piede per valutare la reale entità del danno e “stadiare” la malattia, ovvero differenziarne il livello di gravità per stabilire con precisione il tipo di trattamento.

 

Come si cura l'alluce rigido

A seconda dello stadio di degenerazione, ma anche in base ad alcune caratteristiche del paziente (come età, struttura fisica, stile di vita, abitudini e aspettative), potrà essere adottato un diverso tipo di trattamento. Nelle fasi iniziali è consigliabile una terapia conservativa, che prevede l’uso di scarpe a suola rigida e tomaia in materiale morbido e/o di plantari personalizzati per permettere lo svolgimento del passo, sedute di fisioterapia oppure infiltrazioni locali con cortisone o acido ialuronico.

«Negli stadi più avanzati, invece, viene proposto un intervento chirurgico. In tal caso, nelle situazioni meno gravi di primo o secondo grado, si utilizzano tecniche come la cheilectomia, che prevede la semplice rimozione delle parti ossee esuberanti, mentre nei casi più complessi e con una maggiore compromissione articolare bisogna ricorrere a metodiche note come artroplastiche, che consistono nell’impianto di una protesi articolare in silicone», spiega il dottor Risi. «Anche in questi casi, comunque, è possibile una ripresa relativamente precoce della deambulazione già nei primi giorni dopo l’intervento mediante l’uso di un’apposita calzatura, mentre nell’arco di un mese si può tornare a indossare una scarpa sportiva, tipo sneakers. Infine, dopo circa tre mesi, si può riprendere a praticare alcuni tipi di sport, con qualche iniziale accorgimento».

 

I nuovi approcci

Negli ultimi anni, si è rivelato utile – nelle fasi meno avanzate della malattia – associare alla cheilectomia il trapianto di cellule staminali mesenchimali, che vengono prelevate dal midollo osseo o dal tessuto adiposo del paziente e poi iniettate nell’articolazione con una semplice infiltrazione, dopo essere state “processate” con una particolare procedura. «Anche se non ancora completamente valorizzata, questa tecnica che rientra nell’ambito della cosiddetta medicina rigenerativa appare molto promettente nel favorire i processi biologici riparativi dei tessuti danneggiati, come avviene nei primi stadi della malattia nell’alluce rigido», conclude l’esperto.


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