Presto la cosiddetta “batteria” di esami del sangue, ovvero l’elenco di accertamenti che ci prescrive il medico non potrà non comprendere un esame genetico. Perché il check up del futuro, insieme allo studio del DNA, la nostra impronta digitale unica e irripetibile, integra perfettamente la nuova medicina predittiva e di precisione, in quanto “matematica genetica” applicata alla prevenzione di molte malattie. Un campo affascinante, in pieno sviluppo e che può cambiarci la vita in termini di salute, ma anche poco conosciuto ai più. Ecco perché abbiamo interpellato la dottoressa Federica Invernizzi, epatologa ma soprattutto coordinatrice clinica del progetto Genos, dell’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano, uno dei Centri d’eccellenza dove la medicina del futuro è già una realtà. A lei il compito di svelarci tutti i dubbi e le curiosità.
Che cos’è un test genetico?
È l’analisi, su un campione biologico (es. sangue, saliva, ecc.) del DNA, dell’RNA, dei cromosomi, dei metaboliti e di altri prodotti genici. Il primo è una molecola biologica, lunga e a doppia elica composta da unità strutturali chiamate nucleotidi, che contiene le informazioni genetiche fondamentali per lo sviluppo, il funzionamento e la riproduzione di tutti gli esseri umani. L’RNA invece, è coinvolto nella sintesi delle proteine e nella trasmissione delle informazioni genetiche. Il patrimonio genetico di ogni essere umano è unico, diverso da qualsiasi altra persona: è come l’impronta digitale.
A che cosa serve?
I test genetici realizzano, in molti casi, quella che i medici chiamano prevenzione primaria. È la branca della medicina che si occupa della diagnosi precoce nell’ambito delle malattie genetiche ed ereditarie. Non posso ancora intervenire sulla genetica modificando i geni alterati, ma posso farlo, prima che la malattia insorga, agendo sul mio stile di vita o sui controlli periodici, che possono diventare più precoci, serrati o specifici a seconda dei casi. Per esempio, se ho il rischio aumentato di tumore alla mammella farò delle mammografie più ravvicinate; certe donne, anche famose, su questi presupposti hanno deciso persino per l’asportazione del seno.
Cambia anche la strategia dei medici curanti: per questo parliamo anche di medicina di precisione, perché l’approfondimento genetico ci permette di creare un abito su misura di prevenzione su “quel paziente”, in base al test ma anche alle sue condizioni personali, al lavoro che svolge, dove vive e come vive. E cosa c’è di più preciso del DNA? È poi medicina della longevità, se si interviene precocemente, e di genere, perché la grande differenza la fa, come per i farmaci e le cure che si adotteranno, se sei uomo o donna: basta pensare alla grande boa della menopausa e come cambi la prospettiva, per esempio cardiologica, nelle pazienti. Anche i rischi diventano di genere. Per questo è importante partire dal test genetico e rivolgersi a un Centro specializzato e qualificato.
Chi può richiederlo?
Oltre al genetista, cioè a un medico specializzato nello studio della genetica, può farlo uno specialista (dal medico internista al pediatra), che può richiederlo riguardo al suo settore specifico di competenza. Il medico di famiglia infine, se lo ritiene necessario in base alla conoscenza che ha del suo assistito e dei suoi consanguinei, può prescrivere una visita dal genetista, il quale poi deciderà se e quale test effettuare.
Facciamo degli esempi dallo specialista...
Io che sono epatologo posso richiedere, per esempio, di accertare se una persona è a rischio o portatrice di emocromatosi, una malattia genetica ereditaria caratterizzata da un accumulo eccessivo di ferro nel corpo che può danneggiare vari organi e tessuti, portando a una serie di problemi di salute. L’emocromatosi, infatti, è causata da mutazioni genetiche che influenzano il modo in cui il corpo regola l’assorbimento e l’accumulo di ferro dai cibi. Normalmente, il corpo umano è in grado di regolare l’assorbimento di ferro nell’intestino tenue. Tuttavia, nelle persone affette da questa patologia, il meccanismo di regolazione è compromesso, il che porta all’accumulo progressivo di ferro nel fegato, nel pancreas, nel cuore, nel sistema nervoso centrale e in altri organi. I parenti di primo grado di una persona affetta dalla malattia, come fratelli e figli, possono essere a rischio di sviluppare la malattia, accertabili appunto con il test genetico. Allora, l’identificazione precoce e la conseguente gestione medica possono aiutare a prevenire o ridurre le complicazioni legate all’accumulo di ferro.
E in altri casi cosa si indaga?
In ginecologia e senologia c’è il test più conosciuto da tutti, quello del BRCA1 e 2 (Breast Cancer Gene), legato al tumore del seno e dell’ovaio, noto anche come “gene del cancro al seno”, che è stato identificato come uno di quelli coinvolti nell’aumento del rischio di sviluppare il cancro al seno e il cancro ovarico ereditari. Ma i geni la cui alterazione può predisporre allo sviluppo dei tumori sono stati identificati per diversi tipi di malattie: colon, stomaco, rene, tiroide, pancreas, solo per citare i principali e più diffusi. E poi c’è il grande capitolo dei test prenatali e delle malattie autoimmuni. I test genetici, infine, danno dati importanti persino sulla reazione della persona a certi tipi di cure.
Quali informazioni si possono ottenere? E che valore hanno?
I test genetici, in campo medico, hanno un valore predittivo. Si può partire da un sintomo sospetto, e allora l’analisi serve a collegarlo a una specifica malattia, oppure è già noto che esiste una certa patologia in famiglia e l’indagine sarà tesa ad accertare se coinvolge anche chi richiede la ricerca, nonostante non ci siano sintomi o la persona non abbia ancora sviluppato la malattia in questione. Insomma, questo tipo di medicina ha la capacità di predire se ho il rischio di sviluppare un tipo di affezione e di che entità. Ricordo però che rischio non vuol dire certezza di avere la malattia, soprattutto se si mettono in atto tutta una serie di comportamenti medici precocemente.
Che tipi di test sono disponibili?
Due tipi. Quello mirato, per avere una indicazione precisa, se si sospetta dai sintomi una certa malattia o si sa che c’è una familiarità, o i cosiddetti screening a tappeto all’interno di un check up, che sono tesi a una ricerca a 360 gradi di eventuali anomalie genetiche.
Cosa si può fare una volta accertato che si ha un rischio più elevato di sviluppare una malattia?
Tante cose. Il bello è che molte dipendono da noi, sono nelle nostre mani, sotto la guida del medico curante. Si può cambiare l’alimentazione in meglio. Si può dimagrire. O smettere per una buona volta di fumare. Non bere più tanto alcol. Fare più controlli, più spesso e più mirati, quelli giusti per noi. Cambia anche la mentalità nei confronti dell’approccio alla propria salute, e in positivo, se chi ci segue ci spiega tutto bene e ci motiva adeguatamente, tramutando l’eventuale ansia in proattività salutare. Se poi si accerta il rischio precocemente, cioè da giovani, la genetica diventa anche medicina della longevità. La persona, così, è davvero protagonista della sua salute.
Questi test vanno rifatti nel tempo o periodicamente?
In linea di massima no, perché il nostro patrimonio genetico non cambia. Però le tecnologie sono in continua evoluzione e miglioramento, quindi è possibile che il genetista o il medico curante, sulla base delle nuove conoscenze, apparecchiature e possibilità, decida di fare una nuova verifica negli anni.
Perché si deve firmare il consenso informato?
Lo prescrive la legge ma è anche una questione etica. Una ricerca, per esempio, di una malattia ereditaria, può riscontrare altre anomalie genetiche, cioè avere quelle che noi chiamiamo “diagnosi incidentali”: quindi il paziente deve essere conscio di questa eventualità e deve dare al medico, per iscritto, il suo consenso alla comunicazione di tutte queste informazioni importanti e delicate, anche quelle che non si aspettava e che non erano previste. Sono notizie, poi, che possono impattare sulla linea familiare, in quanto certe malattie sono trasmissibili ai figli o sono state trasmesse da consanguinei.
Gli esami genetici sono dispensati dal SSN?
Se il paziente è ritenuto idoneo a fare quel tipo di test dallo specialista e questi opera in una struttura pubblica o convenzionata, può essere chiesto tramite SSN. Il regime di rimborsabilità varia da Regione a Regione ed è legato a parametri quali l’età e la diagnosi. In genere, infatti, si tratta di analisi costose, soprattutto se si opta per uno screening a tappeto, dove si cerca “tutto” quello che si può trovare nel nostro corredo genetico (un esame questo che di solito è escluso dalla copertura del SSN). Questo succede però oggi, ma sono convinta che la diffusione di queste metodiche abbatterà anche i costi, come è sempre stato nella storia della medicina, soprattutto se ne vale la pena per il loro valore di salute pubblica e prevenzione.
Uno dei test più diffusi, quello per la celiachia
Durante un check up genetico si può scoprire di avere il gene associato alla celiachia, l’HLADQ2 o l’HLA-DQ8, pur non avendo ancora sviluppato la malattia, perché non sono presenti nel sangue gli anticorpi specifici per questa patologia. La celiachia è una malattia immunomediata scatenata dall’assunzione di glutine, una proteina presente nel grano e in altri alimenti da parte di individui geneticamente predisposti. Per sviluppare la patologia, bisogna ereditare uno di questi geni da uno o entrambi i genitori. Tuttavia, non tutte le persone con i geni HLA-DQ2 o HLA-DQ8 svilupperanno la malattia. La presenza di uno di questi aumenta la suscettibilità a questa condizione, ma è necessaria anche l’esposizione al glutine per scatenare la malattia: quindi, se si inizia a non consumarlo o a controllarlo nella dieta, si potrà evitare di ammalarsi. E oggi lo si può decidere in base a un test precoce.
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