Omicidio Varani: bravi ragazzi o assassini?

Il delitto di Roma invita a riflettere sul rapporto tra genitori e figli. Ecco il parere gli esperti



di Marta Erba

Sul delitto di Roma, che in questi giorni riempie le cronache dei giornali, è stato detto di tutto e di più. Difficile comprendere che cosa abbia attraversato la mente di Manuel Foffo e Marco Prato, due giovani di buona famiglia e senza precedenti penali, quando - sotto l’effetto di alte dosi di cocaina - hanno torturato e ucciso Luca Varani, scelto a caso tra vari conoscenti. 


Una vicenda estrema, che ha colto di sorpresa i genitori dei diretti interessati, come è emerso dalle interviste rilasciate. E che, al di là delle singole responsabilità, apre uno squarcio su un mondo in cui padri e figli sembrano non conoscersi e non comprendersi. Quindi, è ovvio che oggi molti padri e madri siano preoccupati e si chiedano come intercettare i disagi per tempo.


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Ci sono segnali, nel comportamento dei figli, che dovrebbero mettere in allarme?


«Un avvertimento importante è quando una relazione diretta e aperta con un figlio a un certo punto si interrompe: può voler dire che il ragazzo non riesce a vedere i genitori come interlocutori cui manifestare i propri disagi, spesso dettati dall’assenza di prospettive o da un senso di fallimento», avverte lo psicologo
Lancini. «Decide così di gestire da solo le difficoltà e, non riuscendoci, può cedere a comportamenti autodistruttivi, come l’abuso di droghe, o ad azioni sconsiderate, che percepisce come vitalizzanti».

Che ruolo può giocare l’abuso di droga?


Il ricorso alla droga è molto frequente in questa fase della vita per almeno due ragioni. «Tipici dell’adolescenza sono l’ottimismo irrealistico, che fa sottostimare i pericoli, e la ricerca di sensazioni intense», spiega lo psichiatra Ruggiero. Solo che alcune droghe, come la cocaina, possono aumentare l’aggressività e favorire atteggiamenti violenti e irresponsabili. Ma è fuorviante etichettarele azioni criminali come conseguenze della droga. Chi ne fa uso ne conosce gli effetti disinibenti e iperattivanti e la cerca proprio per quello: perché aiuta a liberare impulsi già presenti e da tempo in attesa di esprimersi.


«Un tempo gli stupefacenti avevano un valore trasgressivo, oggi hanno un valore anestetico: servono a non sentire la sofferenza, la vergogna, il senso di vuoto», aggiunge Lancini. «E molti giovani ne fanno un uso quotidiano, senza considerarne le possibili conseguenze perché tendono a vivere in un eterno presente, privo di una visione del futuro». Va aggiunto che l’uso cronico di cocaina favorisce pensieri negativi e paranoici, che spingono a percepire il mondo come ostile e a vedere negli altri nemici da attaccare e da combattere.

Che cosa dovrebbero fare i genitori per mantenere un filo diretto con i figli?


I ragazzi spesso decidono di non confidarsi con i genitori perché li percepiscono fragili e hanno paura di farli stare male. È quindi fondamentale far passare il messaggio che la sofferenza è normale, che le difficoltà e le frustrazioni fanno parte della crescita ed è possibile chiedere aiuto. I genitori devono cioè mostrare di essere in grado di tollerare i disagi e i fallimenti dei figli e di mettersi in ascolto anche delle cose più brutte.


«Quando un ragazzo si confida, è importante non reagire in modo scomposto: per esempio, se un figlio rivela di essere vittima di bullismo, fare una sceneggiata contro gli insegnanti potrebbe indurlo a non confidarsi più», osserva Lancini. Al contempo i genitori dovrebbero continuare a fare i genitori, dando ai ragazzi regole chiare e richiamandoli alle loro responsabilità, cosa che oggi troppo spesso è disattesa.


Infine, è importante che entrino nel loro mondo, che oggi ha a che vedere sempre di più con internet e con i social network: «Troppo spesso, invece, i genitori se ne tirano fuori, come se la vita vera fosse altrove. Invece la vita vera oggi è soprattutto lì», avverte il dottor Lancini.

«Non vedevo la verità»


>IL 20 APRILE 1999 due studenti di 17 anni del liceo Columbine di Littleton, Stati Uniti, sparano all’interno della scuola, uccidendo 12 studenti e un insegnante. Dopo la strage, entrambi si suicidano. Sue Klebold, la madre di uno dei due assassini, ora racconta la sua esperienza in un libro (che in Italia uscirà il 19 aprile per Sperling & Kupfer con il titolo Mio figlio). Il ritratto che fa del figlio Dylan è quello di un adolescente, affettuoso e tranquillo, soltanto un po’ riservato. Nulla le faceva pensare che covasse propositi omicidi e suicidi.


>Solo dopo scoprì alcune videoregistrazioni di Dylan, accorgendosi quanto in realtà i suoi ultimi due anni fossero pieni di rabbia e depressione. Oggi la Klebold riconosce il suo rifiuto di vedere la verità. “Qualsiasi cosa possa fare per aiutare i genitori a capire i loro figli, farà sì che la tragedia sia servita a qualcosa”, scrive la donna nel libro, i cui proventi saranno devoluti a organizzazioni per la salute mentale e la prevenzione del suicidio.

Articolo pubblicato sul n.14 di Starbene in edicola dal 22/03/2016

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