Dalla nebbia cerebrale alla stanchezza, ecco l’eredità del Covid

Va dalla nebbia cerebrale alla stanchezza che non passa. Colpa della malattia, non del vaccino, dicono gli esperti che lavorano nei Centri che guariscono dai lunghi effetti collaterali del virus



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di Laura Della Pasqua e Alessandro Pellizzari

La pandemia nella fase acuta è alle spalle. Anche se continuano a svilupparsi nuove varianti, il pericolo per la nostra salute si può dire archiviato, come dicono gli esperti dell’Oms, l’Organizzazione mondiale della sanità. Ma quello che è stato continua a produrre i suoi effetti nel presente. Un’eredità contro la quale la medicina ha affinato le sue armi, ma che continua a rendere difficile la vita ai pazienti. Inoltre, attorno al Covid, ai farmaci e ai vaccini, si è aperto un dibattito, spesso dai toni accesi, relativo all’impatto che questi possono avere nell’organismo. Il mondo della scienza si è spaccato, e Starbene ha deciso di fare chiarezza, lasciando parlare coloro che sono stati impegnati in prima linea nella lotta contro questo virus.


Che cos’è il Long Covid

Cominciamo da quello che viene definito Long Covid, ovvero dagli strascichi che permangono su chi è stato contagiato. Sono sintomi che interessano sia chi ha avuto l’infezione in forma grave, sia chi l’ha avuta in modo lieve, e non risparmia bambini e ragazzi.

«Solo il 20% dei pazienti a una distanza di 3 mesi dalla fase acuta di malattia ha una guarigione completa, non lamentando più alcun sintomo», spiega Matteo Tosato, responsabile Unità operativa Day Hospital Post-Covid della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli Irccs. Questo Day Hospital multidisciplinare è stato attivato a distanza di due mesi dall’esordio della pandemia e, a oggi, ha oltre 3mila i pazienti da tutta Italia (più di 2500 adulti e oltre 500 pediatrici).

«Alcuni effetti sono invalidanti come la stanchezza cronica molto marcata, che rende faticose le attività del vivere quotidiano, la dispnea (cioè la mancanza di fiato), la nebbia mentale (che si manifesta con difficoltà della memoria e di concentrazione) e le palpitazioni non giustificate da un’attività impegnativa (vedi tutti gli effetti nella tabella a pagina 9)».

La domanda più ricorrente è se anche con le varianti di Omicron, con impatto meno pesante, si possa parlare di Long Covid. La risposta di Tosato è affermativa. «Non dipende dalla severità del quadro acuto della malattia, ma il Long Covid, pur riguardando anche persone vaccinate, colpisce quest’ultime con minor frequenza e intensità».


Si previene e guarisce a casa

La fascia anagrafica più colpita è tra i 30 e i 60 anni. Per fortuna di Long Covid si può guarire, ma lo si può prendere anche in contropiede. «L’ultima arma è un antivirale che contiene due molecole, nirmatrelvir e ritonavir, che sta cambiando in meglio la situazione», spiega il dottor Andrea Mangiagalli, medico di medicina generale a Milano, presidente della Libera Associazione di Medicina Generale, in trincea contro il Covid dall’inizio della pandemia, e oggi anche sul fronte del Long Covid.

«Somministrato con delle semplici compresse anche nella fase iniziale dell’infezione (entro 5 giorni dall’esordio dei sintomi), nei pazienti correttamente selezionati dal medico interrompe l’evoluzione della malattia e la replicazione del virus, abbassa la sua carica aggressiva e consente così al sistema immunitario di fermare la malattia in fase precoce, prima che si scateni la tempesta citochinica, cioè la reazione infiammatoria sistemica che fa i danni più gravi e a lungo termine nell’organismo. Nei pazienti ad alto rischio (cardiopatici, diabetici, obesi, chi ha avuto un ictus, per esempio) viene prescritto con una semplice ricetta del medico da presentare in farmacia (sono compresse) dopo aver valutato possibili interazioni con altri farmaci che già il paziente prende».

Dal Long Covid ormai in atto si guarisce invece con terapie domiciliari, ma i tempi sono individuali, non c’è un trattamento univoco. Alcuni nutrienti hanno effetti benefici su determinati sintomi: una ricerca tutta italiana condotta dalla Fondazione Policlinico Gemelli ha rivelato l’efficacia dell’azione sinergica di arginina e vitamina C, per ridurre la stanchezza prolungata e invalidante della sindrome post Covid. Secondo gli studiosi, la fatigue cronica, spesso associata a insonnia e tachicardia, che caratterizza i pazienti colpiti dagli strascichi del virus, è dovuta a un’alterazione nel metabolismo dell’arginina, un aminoacido prodotto dal nostro organismo. Ripristinarne i livelli rappresenterebbe una cura efficace. Gli effetti dell’infezione non risparmiano nemmeno i più piccoli, al punto che necessitano di ricoveri e lunghe convalescenze.

«Il virus può provocare disordini immunitari e per farli sparire servono mesi. Questa è una conseguenza dell’infezione da SARS-CoV-2 che non sorprende, visto che anche altri virus possono dare conseguenze simili, come il morbillo. Nel Covid, però, sono più frequenti. Si manifestano con miocarditi, disturbi cerebrali, renali, gastrointestinali, e possono colpire qualsiasi parte del corpo», afferma Carlo Federico Perno, direttore di Microbiologia dell’ospedale Bambino Gesù di Roma.


I dubbi sulla vaccinazione

Il dibattito sugli effetti della vaccinazione è sempre acceso. Per esempio molti si chiedono, anche per evitare le conseguenze del Long Covid, se basta aver fatto tre vaccinazioni o bisogna farne quattro, anche se si è stati contagiati dall’ultima variante Omicron.

«Essersi ammalati dopo la terza dose con queste nuove sottovarianti del virus a basso impatto, con sintomatologia leggera, rappresenta comunque uno stimolo immunitario importante», spiega il dottor Mangiagalli. «Il vaccino in tre dosi ha già fatto il suo lavoro principale, proteggendoci dalle forme più gravi: esssersi ammalati dopo rappresenta, dunque, una difesa sufficiente contro i nuovi attacchi del virus nelle persone sane e che non appartengono alle categorie dei malati cronici e fragili. In quelle molto anziane o nei malati cronici sofferenti per certe malattie vale invece la pena fare la quarta dose con il vaccino bivalente, che contiene i due ceppi del virus».

Chi ha un atteggiamento critico nei confronti dei vaccini sostiene poi che intossicano l’organismo, generando per esempio le miocarditi, e che sono dannosi soprattutto nell’infanzia. «Le vaccinazioni hanno però avuto un effetto straordinario nel ridurre i malati gravi e i morti, funzionando bene. Come tutti i farmaci possono avere effetti collaterali, ma va precisato però che le miocarditi da Covid sono 10 volte più frequenti e gravi di quelle generate dal vaccino». Il professor Perno va poi diritto al punto: «I vantaggi sono dunque largamente superiori agli svantaggi. La vaccinazione andrebbe fermata solo se i rischi fossero superiori ai benefici, ma così non è. Infatti, gli effetti collaterali sono di gran lunga inferiori rispetto al rischio di prendersi la malattia in forma grave».


Il nodo dei più piccoli

Per quanto riguarda i bambini, siccome sono colpiti dal virus solitamente in modo meno duro rispetto agli adulti, si discute ancora se sia necessario e pericoloso vaccinarli. Anche su questo punto, Perno è molto chiaro: «I rischi della vaccinazione sono molto bassi: le vaccinazioni in questa fascia di età determinano effetti collaterali ancor minori che negli adulti. Ci possono essere effetti collaterali che sono locali, come un indurimento nella zona di iniezione e una febbricola che dura pochi giorni. La miocardite compare in casi rarissimi, e comunque in forme molto blande».

L’oncologo e farmacologo Silvio Garattini, fondatore dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri, invita a non abbassare a guardia. «Occorre ancora prudenza soprattutto quando si è in ambienti affollati. Mascherine e regole igieniche sono ancora utili». Non condivide la tesi, cavalcata da alcuni scienziati, che la vaccinazione non faccia altro che stimolare le varianti.

«Dobbiamo vaccinare tutto il mondo perché si possono sviluppare varianti che, data la globalizzazione, possono essere insensibili ai vaccini che abbiamo utilizzato». Smonta pure la gravità delle miocarditi: «In generale sono benigne e di durata breve. Avere la malattia sarebbe peggio». Nessun rischio nemmeno che il farmaco resti in circolazione nell’organismo. «Con il tempo il vaccino viene metabolizzato. Rimangono gli effetti indotti sul sistema immunitario che riguardano la formazione di anticorpi e l’attivazione di cellule T e macrofagi».



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