Guardare il cielo azzurro e vederlo punteggiato da una o più mosche volanti è la strana condizione che caratterizza un disturbo dell’occhio piuttosto frequente, noto come miodesopsie (dal greco òpsis, visione, e myōdes, simile a mosche), dove sagome curiose, dette mosche volanti, sembrano muoversi insieme ai nostri occhi.
«In circa il 95 per cento dei casi questi corpi mobili non sono associati a una patologia, ma dipendono da una modificazione fisiologica dell’umor vitreo, una sostanza gelatinosa presente nella parte posteriore dell’occhio», spiega il professor Michele Reibaldi, direttore della Clinica Oculistica della Città della Salute e della Scienza di Torino.
Anche se possono comparire in tutte le fasce anagrafiche, i due picchi più frequenti si concentrano tra i 20 anni e i 30 anni, per poi saltare tra i 50 e i 60 anni.
Cosa sono le miodesopsie
Quando nasciamo e per la prima fase della nostra vita, l’umor vitreo è del tutto trasparente per via della sua architettura, formata per la maggior parte da acqua, insieme a fibre di collagene e alcune proteine. «Questa struttura è fatta in modo da poter essere attraversata completamente dalla luce, che può andare così a stimolare la retina per permettere la visione», descrive il professor Reibaldi. «Nel corso degli anni, però, la componente gelatinosa si fluidifica e modifica la sua struttura, andando a formare degli addensamenti che bloccano almeno in parte i raggi luminosi».
Da quel momento in poi, quando passa in quei punti specifici, la luce non riesce più a stimolare la retina, ma piuttosto proietta quelle immagini sotto forma di ombre, che possono assumere la forma di piccole mosche volanti, appunto, ma anche di capelli, ragnatele e macchie di varie dimensioni, più o meno fitte, che si spostano insieme allo sguardo».
Miodesopsie, quali sono le cause
Abbiamo detto che, di solito, le miodesopsie sono dovute a un invecchiamento naturale dell’umor vitreo, ma ad accelerarne la comparsa possono essere anche tutte quelle condizioni che conducono a una disidratazione acuta. «Un esempio è l’abbondante sudorazione che accompagna gli allenamenti sportivi, se non viene opportunamente reintegrata con la giusta assunzione di liquidi», spiega il professor Reibaldi.
«Solo in una piccola percentuale di casi, invece, le miodesopsie sono il sintomo iniziale di un distacco di retina oppure di un’emorragia all’interno dell’occhio, soprattutto nei pazienti diabetici».
Quando sono pericolose le miodesopsie
In generale, le miodesopsie sono completamente benigne e non creano particolari problemi, ma quando si collocano sull’asse visivo centrale, cioè davanti alla macula, possono impattare pesantemente sulla qualità di vita, al punto – nei casi più gravi – da provocare notevoli difficoltà nel leggere, guidare o svolgere le normali attività quotidiane.
«Attenzione, soprattutto, quando le miodesopsie si accompagnano ad altri sintomi, in particolare a intensi stimoli luminosi, simili a flash, principalmente nella porzione periferica dell’occhio: questi lampi, chiamati fotopsie, possono indicare una trazione che il vitreo esercita sulla retina, mettendo le basi per un suo possibile distacco», avverte il professor Reibaldi. «Ad accendere un campanello d’allarme deve essere anche un cambiamento ingravescente del fenomeno: di solito le miodesopsie non cambiano da un giorno all’altro. Se invece si osserva un loro rapido peggioramento oppure un aumento repentino delle macchie, potrebbe trattarsi di un’emorragia oculare o, comunque, di una condizione patologica da trattare con tempestività».
Come si diagnosticano le miodesopsie
Basta un esame del fondo oculare, a pupilla dilatata, per confermare la presenza di miodesopsie. «Questo esame consente non soltanto di visualizzare e caratterizzare questi corpi mobili, ma anche di escludere le possibili patologie ad esse associate», riferisce l’esperto.
Come si trattano le miodesopsie
Al momento, non esiste una terapia farmacologica in grado di risolvere il problema. «Gli unici rimedi validi sono una corretta idratazione per non far peggiorare il problema e dare spazio alla capacità di adattamento del cervello, evitando di concentrarsi ossessivamente sul corpo mobile», suggerisce l’esperto.
Nelle situazioni più gravi e impattanti, invece, si possono valutare speciali trattamenti: «La vitreolisi “disintegra” questi corpi mobili con il laser, rompendoli in aggregati più piccoli oppure spostandoli dall’area visiva centrale, in modo che non disturbino la visione. Esiste poi un approccio più radicale, la vitrectomia, che prevede l’asportazione parziale o totale dell’umor vitreo e la sua sostituzione con una soluzione salina. Si tratta, però, di interventi complessi e non privi di rischi, da riservare solo a casi eccezionali e di effettiva necessità», conclude il professor Reibaldi.
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