«Questo è l’intestino: volete vedere anche il polmone?». Spiazzati dall’insolita domanda, continuiamo a sfregarci gli occhi per cercare di vedere meglio attraverso l’oculare del microscopio.
Nella luce appare un’ombra scura, un agglomerato di bollicine grigiastre. Sono cellule, cellule tumorali del colon di un paziente, che continuano a vivere immortali anche fuori dal suo corpo, crescendo all’infinito nella piastra di coltura.
«Le cellule sane invece non fanno così: si moltiplicano fino a un certo punto e poi si fermano, ma basta disgregare l’ammasso di tanto in tanto per farle ripartire. Lo facciamo regolarmente, un po’ come quando si rinfresca la pasta madre per fare il pane!». Lo dice ridendo, Massimiliano Pagani, docente di biologia molecolare dell’Università Statale di Milano.
Da pochi giorni è a capo del nuovo Centro di ricerca coordinata sulla biologia degli organoidi (Human organoid models integrative center, Homic) che l’ateneo ha inaugurato presso l’Istituto nazionale di genetica molecolare (Ingm) “Romeo ed Enrica Invernizzi”, nel campus dell’Ospedale Maggiore Policlinico di Milano.
È lui a guidarci in questa “fabbrica” di mini organi umani in provetta, una delle prime in Italia. Qui si producono e si studiano microscopici avatar di fegati, mammelle, ovaie, polmoni, pancreas, stomaci e cervelli, prodotti partendo dalle cellule staminali dei singoli pazienti: coltivati su apposite impalcature tridimensionali, riproducono l’architettura dei tessuti umani permettendo di studiare i meccanismi delle malattie e la loro reazione ai farmaci.
Una tecnologia che promette di mettere il turbo alla medicina di precisione, per realizzare terapie sempre più personalizzate in base al profilo molecolare del paziente.
Un impegno europeo
Un approccio così promettente che perfino l’Europa ha deciso di investirci un milione di euro nel 2019 attraverso il progetto LifeTime, che riunisce 67 istituti di ricerca di 18 Paesi e che vede come partner italiano proprio l’Università di Milano.
«Il nostro obiettivo è far crescere Homic per farlo diventare il pilastro italiano del progetto europeo», sottolinea Pagani.
«Questi laboratori sono solo la punta dell’iceberg di un centro di medicina traslazionale che unisce le competenze e i “cervelli” di quattro dipartimenti universitari, molto competitivo grazie all’incontro tra accademia, filantropia e imprese», aggiunge Sergio Abrignani, direttore scientifico dell’Ingm e professore di patologia generale alla Statale.
Dai tumoroidi ai nuovi farmaci
Il “tesoretto” del centro è conservato a meno 195°, nella biobanca che conta già 80 linee diverse di organoidi prodotti partendo da tumori di altrettanti tessuti umani. Li chiamano tumoroidi.
«Vogliamo capire se esiste un filo rosso che accomuna i diversi tipi di tumore nella loro architettura epigenetica, cioè nelle modificazioni chimiche “scritte” sopra il Dna da stile di vita e ambiente», spiega Pagani.
Preziosi come modello di studio, i tumoroidi saranno anche il banco di prova per testare nuovi farmaci e individuare i più efficaci nei singoli pazienti. «L’obiettivo è rendere la pratica sempre meno costosa e facilmente riproducibile, quindi accessibile a un numero crescente di pazienti».
Si tratterebbe di un’importante accelerazione anche per la medicina rigenerativa: «Diversi studi ci dicono che gli organoidi possono essere utilizzati anche per veicolare le staminali nell’organismo fino al punto dove bisogna riparare i tessuti danneggiati: nei modelli animali questa strategia ha permesso di riparare l’intestino e la retina, ma si potrebbe fare lo stesso con ogni tessuto, anche con il cuore infartuato», dice il biologo.
Stampanti con “inchiostri viventi”
«La vera sfida», aggiunge «sarà produrre organoidi complessi, composti da più tipi cellulari e nutriti da vasi sanguigni o sistemi artificiali che ne imitino la funzione».
Per questo i ricercatori scommettono sull’impiego di stampanti 3D caricate con “inchiostri viventi”, differenti per il tipo di cellule che contengono: depositandole strato dopo strato in modo controllato, si potrebbe riprodurre la diversità cellulare che si forma naturalmente durante lo sviluppo degli organi.
Dunque, tasto di accensione, scelta di inchiostro a base di staminali ed ecco che dagli ugelli di stampa potrebbe prendere forma un fegato o un pancreas umano.
I “gemelli digitali”
Gli organoidi non sono l’unico strumento per studiare il corpo fuori dal corpo. Biologi, medici e informatici stanno mettendo a punto i “gemelli digitali”, avatar virtuali delle persone che dovrebbero riprodurne la complessità al computer per simulare e prevedere le malattie.
«Le funzioni biologiche e le caratteristiche fisiche di organi e tessuti, sia sani sia malati, potranno essere tradotti nel linguaggio informatico, diventando una sequenza di lettere computabile, archiviabile e comparabile», spiega Giuseppe Testa, professore ordinario di biologia molecolare all’Università Statale di Milano e direttore del Laboratorio di epigenetica delle cellule staminali all’Istituto europeo di oncologia (Ieo).
«Queste simulazioni si baseranno sull’integrazione di dati raccolti attraverso tecnologie indossabili, che misurano per esempio pressione e battito cardiaco, e attraverso esami di laboratorio basati sulle scienze omiche, che studiano i meccanismi di funzionamento delle singole cellule. L’approccio sarà molto utile a timori, malattie cardiometaboliche e neuropsichiatriche, perché ci permetterà di capire quando il “treno” sta per deragliare prima che compaiano i sintomi».
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Articolo pubblicato sul n. 30 di Starbene in edicola dall'8 luglio 2019