Con l’incontinenza urinaria lotta ogni giorno il 20-25 per cento delle donne in età adulta. Un disturbo che crea imbarazzo, ansia e sconforto. «La cosiddetta incontinenza leggera corrisponde alla perdita di piccole quantità di urina, anche se non esiste una standardizzazione quantitativa che consenta di classificare le pazienti in questa precisa categoria», spiega la dottoressa Antonella Biroli, direttore della Struttura Complessa Recupero e Rieducazione Funzionale Ospedaliera dell’Azienda Sanitaria Locale “Città di Torino” e presidente del comitato scientifico della Fondazione Italiana Continenza. «A grandi linee, nell’immaginario collettivo, si definisce leggera un’incontinenza dove c’è la perdita di qualche goccia o di un piccolo spruzzo di urina con una frequenza non troppo elevata».
Che cos’è l’incontinenza leggera
Per stabilirne la gravità, la perdita involontaria di urina va sempre valutata in base a due parametri: l’entità della singola perdita (gocce, spruzzo, svuotamento quasi completo della vescica, perdita non percepita ma presente) e la frequenza con cui avvengono gli episodi (più volte al giorno, qualche volta al giorno, sporadicamente). Nell’incontinenza leggera, entrambi questi parametri non sono mai eccessivi.
«Altrettanto importante è valutare il momento in cui si verificano le perdite, perché l’incontinenza può presentarsi in tre forme: da sforzo, da urgenza oppure mista», descrive la dottoressa Biroli. «La prima avviene quando aumenta la pressione addominale e, dunque, quando si compie uno sforzo anche di lieve o media entità: un colpo di tosse, uno starnuto, una risata, una corsa, un cambio di posizione, un salto, un esercizio in palestra, il sollevamento di un peso, una brutta litigata che fa alzare la voce. Si tratta della forma che rientra più spesso nella definizione di incontinenza leggera e che, nella maggior parte dei casi, riguarda donne adulte, ma non anziane, che manifestano questo problema in palestra, durante una malattia da raffreddamento oppure a seguito di uno sforzo domestico oppure compiuto sul lavoro».
Perché urinare diventa “urgente”
Diverso è il caso dell’incontinenza da urgenza, che si manifesta con uno stimolo improvviso, impellente e improcrastinabile: «Non è il classico stimolo forte che tutti abbiamo provato qualche volta nella vita, quando stiamo cercando il bagno da un po’, ma qualcosa che ci fa abbandonare all’improvviso qualsiasi cosa stiamo facendo e senza avere la possibilità di rimandare», evidenzia l’esperta.
«C’è poi chi riesce a resistere qualche secondo e chi qualche minuto, per cui anche l’urgenza può essere più o meno grave». Per assurdo, la paura di non riuscire a controllare la vescica è ancora più invalidante rispetto all’incontinenza da sforzo, perché non esistono situazioni “prevedibili” in cui può presentarsi e, per questo, chi ne soffre vive in un perenne stato di tensione, che porta a limitare gli spostamenti e isolarsi. «Ma ci sono anche le incontinenze di tipo misto, dove coesistono le altre due forme», tiene a sottolineare la dottoressa Biroli.
Quali sono le cause
Nell’incontinenza urinaria da sforzo, la causa fisiopatologica sta nella riduzione delle resistenze uretrali: in parole semplici, le perdite sono dovute al fatto che lo sfintere urinario – coadiuvato dal pavimento pelvico – non riesce più a fare fronte all’incremento di pressione addominale. Nella forma da urgenza, invece, c’è un’iperattività del muscolo detrusore vescicale, quello responsabile della fuoriuscita dell’urina durante la minzione, che si contrae in maniera eccessiva e con frequenti spasmi, innescando lo stimolo anche quando il livello di riempimento della vescica non è elevato.
Ma quali sono i fattori predisponenti? L’obesità, il parto vaginale, l’invecchiamento dei tessuti muscolari e nervosi (dai 50 anni in poi) oppure la chirurgia pelvica, subita ad esempio per trattare una patologia oncologica. «Nell’area urogenitale, poi, sono presenti numerosi recettori per gli estrogeni, dunque il trofismo dei tessuti dipende anche dagli ormoni. È chiaro, dunque, che il calo degli estrogeni, tipico della menopausa, impoverisce quel distretto del corpo e predispone all’incontinenza urinaria. Detto ciò, è provato scientificamente che la terapia ormonale sostitutiva non rappresenta un trattamento per la cura della incontinenza, mentre un trattamento ormonale locale può essere di aiuto nella sindrome genito-urinaria della menopausa, se indicato dallo specialista», precisa l’esperta.
Come si tratta l'incontinenza urinaria
Sin dai primi episodi, è importante rivolgersi a un medico per individuare rapidamente la strategia terapeutica più adatta a evitare (o ridurre) questo disturbo. I percorsi sono tanti e devono sempre tenere conto del singolo paziente: «Possono basarsi innanzitutto su alcuni cambiamenti delle abitudini nella vita quotidiana, come il calo ponderale in caso di obesità, la pratica regolare di una moderata attività fisica e la rinuncia a eccessive quantità di caffeina», suggerisce la dottoressa Biroli.
«Sia nell’incontinenza da sforzo sia in quella da urgenza, si sono rivelate molto utili le tecniche di riabilitazione che puntano a rafforzare il pavimento pelvico, l’insieme di muscoli e legamenti che chiudono il bacino nella parte inferiore e servono a mantenere nella posizione corretta gli organi pelvici. In questo caso, occorre una partecipazione attiva della paziente, che deve svolgere particolari esercizi per aumentare non soltanto la forza di quei muscoli, ma anche per imparare a contrarli al bisogno oppure in determinati schemi di movimento».
La riabilitazione va effettuata presso centri specialistici che possono essere richiesti al proprio medico, ma nell’attesa si può iniziare con alcuni semplici esercizi che si possono trovare sul sito della Fondazione Italiana Continenza.
I farmaci utili e la chirurgia
Esistono poi alcune classi di farmaci utili, diversi a seconda della forma di incontinenza da trattare, ma vanno scelti, dosati e rivalutati dal medico di riferimento. Qualora si renda opportuna, infine, si può ricorrere anche alla chirurgia, sempre più mininvasiva e molto valida soprattutto nell’incontinenza da sforzo.
«La scelta della soluzione migliore va fatta a seguito di una diagnosi di incontinenza non complicata, cioè priva di altre cause patologiche: se non ci sono elementi di sospetto, infatti, non è necessario sottoporre il paziente a un esame urodinamico, un’indagine che studia la funzionalità del basso tratto urinario sia nella fase di riempimento che di svuotamento», descrive l’esperta. «Questa indagine va riservata alle pazienti con elementi di sospetto oppure, se necessario, in previsione dell’intervento chirurgico».
Quando servono "pannolini e pannoloni"
Non curano invece l’incontinenza, ma aiutano a rendere il problema il più tollerabile possibile i cosiddetti ausili, come i prodotti assorbenti (spesso chiamati impropriamente “pannolini” o “pannoloni”, a seconda delle dimensioni), che forniscono una risposta semplice, rapida e pratica per riacquisire autonomia nella vita quotidiana. «Tuttavia, meglio evitare di considerarli la soluzione del problema quando l’incontinenza con opportuni trattamenti possa venire curata», conclude la dottoressa Biroli. «Questi prodotti vanno scelti delle giuste dimensioni e dalla capacità assorbente più idonea al proprio disturbo, imparando a riservarne l’utilizzo alle occasioni in cui sono davvero necessari».
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