di Ida Macchi
Articolo pubblicato sul n.48 di Starbene in edicola dal 15/11/2016
di Ida Macchi
Secondo gli ultimi dati Censis nel 2015 ben 11 milioni di italiani (uno e mezzo in più rispetto all’anno precedente) hanno rinunciato a farsi curare a causa dei tempi troppi lunghi, oppure per l’impossibilità di permettersi una visita privata o in intramoenia (le visite a pagamento in ospedale). Già, perché spesso la scelta obbligata per accorciare le code rimane quella di pagarsi di tasca propria esami e accertamenti.
Nel giro di due anni, la spesa sanitaria annuale sostenuta direttamente dai pazienti ha avuto un incremento del 3,2%, arrivando a toccare nel 2015 quota 34,5 miliardi, pari a 500 € a persona.
Insomma, chi può mettere mano al portafoglio riesce a farsi curare prima e meglio. Ma qualcosa si può fare. Scopri cosa stabilisce la legge e in che modo ottenere tempi di attesa “ragionevoli”.
LE NORME SUI “CODICI”
I tempi d’attesa massimi per le prestazioni devono essere garantiti grazie al sistema di priorità, reso obbligatorio dal Ministero della Salute: «Il medico di famiglia indica sulla ricetta per una visita specialistica o un esame, il bollino verde (prescrizione urgente da evadere in 72 ore) e la lettera B (in non più di 10 giorni), per i casi in cui ci sono forti sospetti diagnostici; oppure la D (30 giorni per le prime visite e 60 per gli esami diagnostici di primo accesso, garantiti a tutti) o la P per le prestazioni non urgenti, di solito di controllo, per cui non è stabilito un tempo massimo», spiega il dottor Carlo Gargiulo, medico di famiglia a Roma.
«Ma, stando alle segnalazioni che arrivano al Tribunale per i diritti del malato, di fatto, non sempre è facile ottenere un codice d’urgenza e spesso le 72 ore o i 10 giorni vengono concessi con il contagocce», sottolinea Tonino Aceti, coordinatore nazionale del Tribunale per i diritti del malato Cittadinanzattiva.
«Cattive gestioni, inefficienza di molte aziende sanitarie e tagli ai bilanci fanno sì che anche i tempi standard (i fatidici 30 e 60 giorni) siano una mera chimera, rischiando così di compromettere il senso stesso della prevenzione e della diagnosi tempestiva», continua Aceti.
DOVE È PIÙ FACILE PRENOTARE
Le regioni che hanno centri di prenotazione unici, come Lombardia, Toscana, Lazio o Friuli Venezia Giulia, sono quelle che riescono a evadere in tempi accettabili le richieste: «Con la ricetta del proprio medico, si telefona al Cup (in molte città è un numero verde) o ci si collega in rete (anche attraverso le farmacie che fungono da canali d’accesso al centro prenotazione) per fissare l’appuntamento», spiega il dottor Gargiulo.
«Vagliando le agende di tutte le strutture di pertinenza, il Cup indica il primo posto libero, anche fuori città, nel rispetto dello standard d’attesa previsto dalla legge». Inoltre, è possibile accedere direttamente al sito della propria azienda sanitaria territoriale o di residenza, oppure ai portali degli ospedali, e verificare direttamente i giorni d’attesa previsti per ogni singola prestazione.
Chi ha una preferenza per una clinica o un ambulatorio, però, rischia di perdere il diritto al tempo massimo garantito, soprattutto se si tratta di un policlinico: questo tipo di struttura lavora anche per pazienti interni, quindi dovrà mettersi in coda, accettando il primo appuntamento disponibile.
Ma esiste un’ulteriore possibilità: «Fissare visite o esami in una regione diversa da quella di residenza », spiega il dottor Silvestro Scotti, vicesegretari della Federazione italiana medici di medicina generale.
«La ricetta per le prestazioni specialistiche o diagnostiche è valida su tutto il territorio nazionale. Quindi, si può chiamare il Cup della regione dove si desidera effettuare la visita e fissare l’appuntamento», specifica l’esperto.
COME DIFENDERSI
I dati nazionali diffusi dall’ultimo Pit Salute 2015, realizzato dal Tribunale per i diritti del malato, parlano però di tempi medi ben lontani da quelli previsti dal piano del Ministero della Salute: per una mammografia o una Tac si aspettano sino a 12 mesi. Per una visita oculistica 270 giorni e per una ortopedica 180.
Che fare se l’esame richiesto sfora i tempi? «Si può inviare una lettera raccomandata alla direzione generale della propria Asl in cui segnalare il disservizio e chiedere che la visita venga stabilita in tempi congrui o che, se non ci sono disponibilità, il controllo sia fissato in regime di libera professione intramoenia a spese dell’Azienda Sanitaria e con il solo pagamento del ticket, come previsto dal decreto legislativo n°124 del 1998», spiega Tonino Aceti.
«Inoltre, è possibile rivalersi anche quando ci si sente dire che le liste d’attesa sono chiuse e che non è possibile prendere appuntamenti, perché è una pratica vietata dalla legge. Perciò, si deve segnalare l’illecito all’Assessorato della sanità della regione, alla direzione generale della Asl e al Ministero della Salute: è prevista una sanzione per i direttori generali delle aziende sanitarie locali che chiudono impropriamente le liste», assicura l’esperto.
LA RESPONSABILITÀ È PURE DEI PAZIENTI
«Qualche colpa per i ritardi va anche ai pazienti», ammette il dottor Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe. «Alcuni sono troppo solerti nel richiedere esami, atteggiamento che porta a un sovrautilizzo di prestazioni, senza sapere che l’estrema sensibilità di alcune tecniche di imaging (Tac, risonanza magnetica) li espone a rischio di sovradiagnosi e sovratrattamento.
In pratica: si scoprono “anomalie” senza potenziali conseguenze per la salute che però vengono sottoposte a ulteriori approfondimenti e accertamenti non necessari, che aumentano il rischio di effetti collaterali», mette in guardia l’esperto.
«Altri invece, scoraggiati da tempi d’attesa troppo lunghi oppure preoccupati per la forte pressione psicologica dovuta a un sospetto diagnostico, si rivolgono al privato per avere esiti più rapidi, senza cancellare l’eventuale prenotazione già fatta nel pubblico», sottolinea il dottor Scotti.
Per questo in alcune regioni, come il Veneto, viene tenuto in conto il tasso d’abbandono e vengono elaborate liste in overbooking. In altre, come
la Lombardia, c’è un servizio di promemoria o disdetta attraverso l’invio di un sms ai cellulari, o di recall telefonico sui numeri fissi.
«In Emilia Romagna, invece, c’è la possibilità di annullare la prestazione anche con la app Er salute e chi non lo fa, dal 4 aprile 2016 è tenuto comunque al pagamento del ticket: chi non si presenta toglie un diritto ad un altro cittadino», spiega il dottor Cartabellotta.
PER USCIRE DALL'EMPASSE
«Perché le cose funzionino è necessario un monitoraggio migliore e l’approvazione di una norma nazionale che preveda l’obbligo di sospensione automatica dell’attività intramoenia, da parte di regioni e Asl, quando i suoi tempi di attesa sono inferiori a quelli del canale istituzionale
», suggerisce Aceti.
«Inoltre, è importante sollecitare l’approvazione del nuovo Piano nazionale di governo delle liste di attesa, poiché quello attualmente in vigore è scaduto nel 2012. Così, l’intramoenia può riprendere il suo giusto ruolo: non una scorciatoia, ma una via scelta dal cittadino quando vuole affidarsi a un preciso professionista. Un’opzione che non sempre è possibile con il servizio sanitario», conclude l’esperto.
GLI ESEMPI CHE FANNO SPERARE
Anche se la situazione non è rosea, i casi virtuosi non mancano: nel dipartimento di medicina nucleare dell’Istituto nazionale dei tumori Regina Elena di Roma sono riusciti ad abbattere le liste d’attesa per la Pet, un esame fondamentale per la diagnosi del cancro, a soli 2 giorni.
Sempre nella capitale, l’Istituto nazionale per la promozione della salute delle popolazioni migranti e per il contrasto delle malattie della povertà (inmp.it), ha aperto degli ambulatori per offrire assistenza alle categorie più fragili (anziani con pensione minima, senza dimora, immigrati) dove si ricevono cure (visite, anche specialistiche, esami del sangue e strumentali), gratuite, senza liste di attesa e necessità di prenotazione.
In Emilia Romagna, invece, il 97,7% delle prestazioni viene erogato nei tempi richiesti dalle priorità. Il segreto di questo risultato: più investimenti, 150 nuovi medici assunti e l’aver unificato i sistemi informativi delle aziende, ma non solo.
I direttori generali vengono valutati in base all’andamento delle liste, in caso di sforamento dei tempi massimi in quelle istituzionali è previsto un blocco dell’attività intramoenia e, nei momenti di critiità, sono disposte aperture serali e durante il weekend.
Articolo pubblicato sul n.48 di Starbene in edicola dal 15/11/2016
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