Le distrofie retiniche ereditarie sono malattie genetiche della retina che possono manifestarsi nell’infanzia o nell’adolescenza. Comprendono molte forme, fra cui la Amaurosi Congenita di Leber e la Retinite Pigmentosa. «La prima forma è particolarmente grave, la seconda più gestibile. Ma in ogni caso, se non diagnosticate precocemente, queste malattie portano a grave ipovisione o cecità», spiega Francesca Simonelli, professore ordinario di oftalmologia e direttrice della Clinica Oculistica dell’Università della Campania Luigi Vanvitelli.
I sintomi
«I neonati affetti dalla forma più grave di malattia, l’Amaurosi Congenita di Leber, presentano già alla nascita o nei primi mesi di vita movimenti a scosse degli occhi (nistagmo), fissazione costante di fonti luminose e frequente pressione degli occhi con le mani. Quando le distrofie retiniche sono meno severe, il primo sintomo consiste nell’avere difficoltà a vedere e a muoversi in condizioni di scarsa luce, per esempio di notte o all’imbrunire», spiega l’esperta. Oggi esiste solo una terapia genica approvata, indicata per le forme legate alle mutazioni del gene RPE65.
La diagnosi precoce
La diagnosi precoce delle distrofie retiniche ereditarie è complessa (dagli studi emerge che un bambino riceve in media 8/9 differenti visite oculistiche prima di avere la giusta diagnosi) ed è molto importante, sia per indirizzare i piccoli pazienti alla riabilitazione visiva, sia per sottoporli all’esame genetico, lo step fondamentale per le cure future. «La prima figura di riferimento per le famiglie è il pediatra che dev’essere formato, in modo da poter inviare i piccoli pazienti in centri specializzati per la cura e la diagnostica di queste malattie», sottolinea l’esperta.