Dalla pietra filosofale alla fonte dell’eterna giovinezza, dal Santo Graal all’elisir di lunga vita, la storia dell’umanità è costellata di miti e leggende con un unico obiettivo: conquistare l’immortalità. Non a caso, questa antica aspirazione ha finito per coinvolgere anche la scienza, impegnata da anni a studiare se e come sia possibile bloccare l’accumulo progressivo di problematiche cellulari che diminuiscono l’efficienza di corpo e mente.
Se la genetica gioca un ruolo rilevante nel determinare la nostra maggiore o minore longevità, questa non è predeterminata senza possibilità di appello: negli ultimi decenni, la ricerca scientifica ha dimostrato quanto sia importante anche l’ambiente, inteso come tutto ciò che dall’esterno interagisce con il nostro organismo.
Ne abbiamo parlato con il professor Camillo Ricordi (nella foto qui a fianco), direttore emerito del Diabetes Research Institute dell’Università di Miami, in Florida, che di recente è intervenuto sull’importanza della prevenzione per una longevità sana a La Milanesiana, grande festival itinerante che promuove il dialogo tra le arti.
Professor Ricordi, tutti ci auguriamo una vita longeva. Ma pochi parlano di longevità sana. Perché durata e qualità della vita devono andare di pari passo?
La longevità malata rappresenta la principale pandemia di questo secolo e costituisce una sfida di primaria importanza per i sistemi sanitari mondiali, gravati da costi crescenti e sempre più insostenibili. Negli Stati Uniti, il 90% delle persone sopra i 65 anni soffre di malattie croniche degenerative. Ma il numero di malati è tragicamente destinato ad aumentare: secondo il World Social Report 2023 delle Nazioni Unite, infatti, entro il 2050 il numero di individui sopra i 65 anni raddoppierà, superando i due miliardi di persone.
Di conseguenza, aumenterà anche la spesa sanitaria…
Certamente. Oggigiorno, negli Usa, il 90% di quella spesa è destinato proprio all’assistenza dei pazienti sopra i 65 anni e ha già raggiunto il 20% del PIL. Immaginiamo cosa succederà quando il numero dei malati raddoppierà: la situazione diventerà insostenibile. Nonostante queste spese, gli Stati Uniti sono scivolati al 69° posto nelle graduatorie di longevità sana, in netto peggioramento dal 2010, mentre l’Italia si colloca al 10° posto. E pensare che la maggior parte delle malattie croniche degenerative è prevenibile.
Quale peso ha la genetica sulla nostra aspettativa di vita?
Eccetto in rari casi, come nella malattia di Hutchinson-Gilford (o progeria) caratterizzata da un invecchiamento accelerato acuto o in altre malattie rare come la distrofia muscolare, sappiamo che la genetica può generalmente contribuire per circa il 15-20% al rischio di sviluppare una malattia, con il relativo potenziale impatto su longevità sana e aspettativa di vita. Per esempio, fra i pazienti che sviluppano il diabete di tipo 1 esiste un profilo genetico che porta alla malattia solo in una persona su trecento (più spesso se c’è familiarità). Ma se conosciamo i fattori di rischio genetici o quelli legati alla nutrizione e allo stile di vita scorretti, possiamo cercare di neutralizzarli e sconfiggerli, prima che progrediscano verso la patologia conclamata.
Di quali fattori di rischio parliamo?
Alcuni sono chiaramente riconoscibili, come obesità, esercizio fisico insufficiente o nutrizione scorretta, mentre altri sono invisibili, come infiammazione silente e insulino-resistenza, per cui è necessario individuarli e correggerli prima che diventino un problema. L’80-85% del rischio dipende dall’epigenetica, ovvero dal ruolo fondamentale e dall’impatto che i pilastri della longevità sana (come ambiente, nutrizione, stile di vita e molecole protettive) possono avere nell’impedire che le persone diventino pazienti, prolungando la vita in salute, sia fisica che mentale.
In effetti, si parla sempre più spesso di epigenetica, cioè dell’impatto che l’ambiente ha sul nostro patrimonio genetico. Il cibo che mangiamo, l’aria che respiriamo, la quantità di movimento che facciamo, le infezioni e le malattie che sviluppiamo, l’esposizione a elementi dannosi come fumo o alcol possono far “durare” più o meno la nostra vita?
Sì, è come se il nostro stile di vita inserisse dei segnalibri in punti specifici del Dna, suggerendo alle cellule di “leggere” certe istruzioni a scapito di altre. Per esempio, può dire loro di approfondire i capitoli che parlano di rinnovamento e restauro, tralasciando invece quelli in cui si racconta come attivare tutti quei processi energetici che inducono stress.
Ci sono esami del sangue a cui possiamo sottoporci per sapere se stiamo andando nella direzione corretta?
In questo caso parliamo di diagnosi predittiva. A differenza della più nota diagnosi precoce, che consiste nell’individuare una patologia nelle sue prime fasi per intervenire tempestivamente, quella predittiva identifica un rischio probabilistico: in sostanza, identifica dei fattori di rischio invisibili che possono condurre alle principali malattie croniche degenerative nell’arco di qualche anno. Parliamo in particolare di insulino-resistenza, di variabilità glicemica (cioè le oscillazioni della glicemia nell’arco della stessa giornata) e dell’infiammazione cronica di basso grado. Per misurarli, possiamo sottoporsi al dosaggio della glicemia a digiuno, alla valutazione dell’Indice Homa (che considera le concentrazioni sieriche di glucosio e insulina a digiuno per valutare l’insulino-resistenza) e al rapporto tra acido arachidonico e acido eicosapentaenoico (AA/EPA). Anche i livelli di vitamina D sono importanti.
E la dieta?
Oltre al “cosa”, conta il “quanto” mangiamo: i ricercatori parlano spesso di restrizione calorica, cioè di una restrizione moderata dell’apporto calorico senza malnutrizione, cioè con vitamine e oligoelementi necessari per restare in salute. Purtroppo, dagli anni Sessanta a oggi, le porzioni sono quadruplicate e i prodotti che arrivano in tavola sono sempre più processati, infiammatori e ad alto contenuto di zuccheri semplici, quelli a cosiddetto alto indice glicemico, che possono provocare sbalzi della glicemia anche in soggetti non diabetici. Bisogna dare una sforbiciata alle calorie e ai cibi grassi, confezionati e trasformati.
Ci sono cibi migliori di altri?
In effetti, la qualità del cibo che consumiamo non dipende solo dalle calorie e dall’indice glicemico, ma bisogna anche cercare di seguire una dieta anti-infiammatoria, evitando per esempio un eccesso di Omega-6 e acido arachidonico a favore di Omega-3, polifenoli e attivatori delle sirtuine, come discutiamo ampiamente nel libro Il Codice Della Longevità Sana (Mondadori).
Quanto contano anche le relazioni sociali, cioè il fatto di partecipare alla vita di comunità, avere hobby e interessi gratificanti, mantenere e continuare ad alimentare una propria progettualità di vita verso il futuro?
Il cosiddetto active aging (invecchiamento attivo) è fondamentale nell’ottica di una longevità sana. Le nostre abilità intellettive, come memoria, attenzione, pianificazione e ragionamento, assumono un peso rilevante nel corso di tutta la vita, perché determinano la nostra capacità di svilupparci, apprendere, autodeterminarci e rispondere alle richieste del mondo esterno. È quindi fondamentale preoccuparci anche di questi aspetti per poter stare sempre bene, indipendentemente dall’età, combattendo una visione dell’invecchiamento che vede questa fase della vita come l’età del riposo e del declino.
Lei è considerato fra i massimi esperti nel trapianto di isole pancreatiche, al punto che il cosiddetto “metodo Ricordi” è attualmente utilizzato nei principali centri medici e nei laboratori che si occupano di cura del diabete e trapianto di insulae. Come mai questo interesse per la longevità?
Se la cura del diabete rimane centrale nei miei sforzi professionali, sta emergendo sempre di più la consapevolezza che non c’è cura senza prevenzione. Identificare i fattori di rischio modificabili è importante non solo per evitare la progressione verso malattie associate a un invecchiamento accelerato, ma anche per impedire la ricorrenza di una malattia dopo un intervento terapeutico che ha avuto inizialmente successo. Pochi sanno che il diabete è associato a invecchiamento accelerato. Infatti, la diagnosi di diabete di tipo 1 prima degli 11 anni influisce negativamente non solo sulla qualità di vita, ma anche sulla sua durata, con differenze molto preoccupanti a seconda dell’accesso a tecnologie avanzate e alle condizioni economiche della famiglia o del paese in cui si vive. Si tratta di differenze enormi e preoccupanti, che vanno da un accorciamento di longevità di un decennio fino a oltre 45 anni nei paesi a basso reddito. Per eradicare il diabete e altre patologie croniche, occorre concentrarsi non solo sulla cura dei casi più gravi, ma anche sui pilastri della longevità sana.
A suo parere, un giorno arriverà la pillola dell’eterna giovinezza?
Non credo che possa bastare un unico “proiettile intelligente” o un magico rimedio per raggiungere questo falso obiettivo. Non è certo l’eterna giovinezza a cui dobbiamo puntare, ma piuttosto dobbiamo perseguire la longevità sana, minimizzando la fase di declino che spesso caratterizza le ultime decadi di vita. Di certo, verranno identificati sempre più pilastri di vita sana da prefiggersi, ma si tratta di un ecosistema composto da diversi punti chiave. Non penso che esista o che esisterà mai una pillola miracolosa in questa direzione: tra l’altro, anche se ci sono già dei supplementi che potrebbero aiutare, se poi mangiamo male vanifichiamo qualsiasi effetto positivo di un integratore che magari potrebbe aiutare.
È un po’ quello che lei promuove nel libro Il Codice Della Longevità Sana e con il programma Fit4Healthspan...
Non si tratta di prescrizioni mediche, né rappresentano il consenso di medici esperti. Sarà sempre importante consultare il proprio medico curante, soprattutto se informato e aggiornato, cosa che è sempre più alla portata dei professionisti che abbiano accesso a programmi di intelligenza artificiale. Saranno comunque necessari anni di rigorosi studi randomizzati controllati per determinare se le mie ipotesi sono corrette, ma credo che la diagnosi predittiva, un’alimentazione appropriata, sostanze protettive selezionate, l’esercizio fisico, l’attività sociale e la ginnastica mentale rappresentino alcuni dei pilastri della longevità sana che potrebbero aiutarci a preparare il nostro corpo a resistere meglio alle malattie, impedendoci di diventare “pazienti” e consentendoci di restare in salute, continuando a realizzare tutti i nostri sogni.
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