“Sto andando in iperventilazione”. È una frase che si dice spesso scherzando, indicando una forte emozione. In realtà, nelle situazioni di panico e ansia, può accadere sul serio di respirare in maniera più veloce e più profonda del solito. «Come la frequenza cardiaca, anche quella respiratoria rappresenta un parametro vitale e indica il numero degli atti respiratori compiuti nell’arco di un minuto», spiega la dottoressa Cristina Colantuono, psicologa e psicoterapeuta a Roma.
«Il range di normalità cambia nel corso del tempo: nei neonati si attesta fra 30 e 80 atti respiratori al minuto, nei bambini diminuisce a 20-40, mentre nell’adulto arriva a 14-20».
Al di sopra di quei valori si parla di tachipnea, un aumento del ritmo respiratorio che è assolutamente normale durante lo sforzo fisico, mentre a riposo può essere il sintomo di malattie come sepsi, embolia, infarto o acidosi metabolica. «Una volta escluse queste eventualità con gli opportuni accertamenti, possiamo ipotizzare che l’iperventilazione derivi da una condizione psicologica, visto che mente e corpo sono strettamente correlati», specifica Colantuono.
Cos’è l’iperventilazione
Alle giuste dosi, l’ansia è un meccanismo utile: di fronte a una situazione stressante o minacciosa, questa condizione fisiologica attiva nell’organismo una sorta di “sistema di allarme”, al fine di proteggerci con una reazione di attacco o di fuga.
«Ovviamente, se per i nostri antenati il pericolo poteva essere un orso da cui era meglio tenersi alla larga, oggi capita di andare in ansia per situazioni che non hanno un’effettiva gravità, come impegni di lavoro, sociali o famigliari», ammette la dottoressa Colantuono. «A quel punto, il nostro corpo attiva una respirazione veloce e toracica: in sostanza, inspiriamo rapidamente con il torace, alzando le spalle, e non con il diaframma».
Respirando di più, incameriamo maggiori quantità di ossigeno ma espelliamo anche più anidride carbonica: «Quest’ultima diminuisce nel sangue, dove una sua frazione è necessaria per consentire alle cellule di “prendere” l’ossigeno dall’emoglobina», illustra l’esperta. «Paradossalmente, quindi, più la nostra respirazione si fa veloce e profonda, meno ossigeno potrà essere consegnato ai vari distretti del corpo, con una serie di conseguenze».
Quali sono i sintomi dell'iperventilazione
Se il cervello è poco ossigenato, l’iperventilazione si accompagna a sintomi come vertigini, confusione mentale, sensazione di “testa leggera”, difficoltà di concentrazione, deficit di memoria, capogiri e, nei casi più gravi, perdita di coscienza.
«La buona notizia è che, se abbiamo l’impressione di perdere il controllo, questo non accade mai davvero; anzi, dopo il primo attacco di panico, diventiamo più forti e capaci di gestirlo», assicura la dottoressa Colantuono.
Come affrontare l'iperventilazione
L’iperventilazione (e il relativo attacco di panico a cui è collegata) si può affrontare con varie tecniche. «La prima consiste nel tenere un diario, in cui annotare i propri sentimenti di ansia e paura ogni volta che ci attanagliano», suggerisce la psicologa. «Nell’arte della guerra è noto che la conoscenza del nemico sia la prima regola per sconfiggerlo.
Ecco perché dobbiamo scrivere tutto ciò che riguarda la nostra iperventilazione: quando succede, dove siamo, chi abbiamo intorno, cosa abbiamo appena fatto, cosa stiamo per fare. Come qualunque emozione, l’ansia non arriva mai all’improvviso, ma rappresenta sempre la reazione a un certo stimolo. Dobbiamo imparare a riconoscere il fattore scatenante, in modo da prepararci ai futuri eventi “a rischio” con una serie di trucchi efficaci».
Rallentiamo il respiro
Come si riconosce l’iperventilazione? «Basta mettere una mano all’altezza del petto e l’altra sulla pancia: se la prima si muove più velocemente della seconda, significa che la nostra frequenza respiratoria è troppo rapida rispetto alla norma», descrive l’esperta. A quel punto, non lasciamo che sia il respiro a dominarci, ma riprendiamone il pieno controllo. «Contiamo fino a 6 tra la fase di espirazione e quella di inspirazione, fino a quando la mano sulla pancia si muove di più rispetto a quella appoggiata sul petto».
Può anche essere utile respirare per qualche minuto dentro un sacchetto di carta (come spesso vediamo nei film) oppure tappando una narice del naso: «Serve a ridurre l’inalazione di ossigeno dall’esterno e, contemporaneamente, a introdurre un po’ di anidride carbonica, necessaria per rilassare la muscolatura e invertire gli effetti dell’iperventilazione».
Esercizio del 5-4-3-2-1
Un’altra tecnica molto potente consiste nello spostare l’attenzione dal respiro a quello che i nostri cinque sensi possono regalarci. Con la vista, identifichiamo 5 cose attorno a noi e concentriamoci sulle loro caratteristiche: per esempio, adocchiamo un libro e notiamo il colore della copertina, lo spessore, la grandezza e così via. Poi, con il tatto, passiamo a identificare 4 cose che possiamo toccare: un tessuto che indossiamo, lo schienale di una sedia, il tronco di un albero o altro che sia presente nei paraggi.
Ora con l’udito proviamo a riconoscere 3 suoni nell’aria, anche in lontananza: per esempio una persona che parla, un bambino che piange, il clacson di un’automobile. Passiamo a 2 cose da annusare grazie al nostro olfatto e, infine, a 1 cosa che possiamo assaporare con il gusto (anche solamente una mentina che abbiamo in borsa).
«Prendiamoci del tempo per fare questo esercizio: non deve essere una rincorsa pensando già alla fase successiva, perché dobbiamo soffermarci con calma sui singoli elementi che notiamo», tiene a precisare la dottoressa Colantuono. «Questa sequenza è un ottimo modo per spostare l’attenzione dai sintomi corporei a quello che abbiamo intorno, riequilibrando la nostra concentrazione».
Altre strategie contro l’iperventilazione
Anche contare lentamente fino a 10, ad alta voce, e poi tornare indietro fino allo 0 può aiutare. Così come è utile un intervento più “profondo”, che consiste nell’aumentare l’autostima, spesso alla base degli attacchi di panico, soprattutto quando pensiamo di non essere in grado di fare o gestire qualcosa.
«L’autostima è come un muro e i suoi mattoni sono costituiti da tutte quelle esperienze che possono darci conferma delle competenze che abbiamo: i traguardi raggiunti, i feedback ricevuti dalle altre persone, gli obiettivi perseguiti», elenca la psicologa. «Per rinsaldare il nostro muro personale, può servire un percorso di psicoterapia che aiuti a capire perché quell’autostima non è sufficientemente forte da consentirci di affrontare senza ansia le esperienze della vita».
Ma altrettanto importante è imparare a riconoscere i piccoli o grandi successi che abbiamo ogni giorno: scegliamo una parete di casa e incolliamo dei post-it su cui annotare le cose fatte e per cui meriteremmo una pacca sulla spalla. Ci renderemo presto conto di quanto siamo bravi, spesso senza saperlo.
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