Una delle conseguenze più temute dell’intervento per eliminare un tumore della prostata è la disfunzione erettile. Pochi sanno però che esiste una tecnica mininvasiva, capace di ridurre al minimo il rischio impotenza intervenendo sulla ghiandola senza coinvolgere organi vicini come la vescica e il retto.
«Si chiama brachiterapia, ed è una forma di radioterapia che prevede l’impianto permanente (o temporaneo, meno utilizzato) di piccole sorgenti radioattive all’interno della prostata», spiega Vittorio Vavassori, responsabile dell’Unità operativa di radioterapia dell’Ospedale Humanitas Gavazzeni di Bergamo.
«Nel primo caso si tratta di piccole capsule metalliche, grandi come semi di riso, che rilasciano gradualmente la radioattività finché questa non si esaurisce nell’arco di qualche mese. Una volta divenuti inattivi, i semi possono restare senza problemi. Nel caso di impianto temporaneo vengono inseriti dei fili che vengono lasciati in sede il tempo necessario e quindi rimossi».
Quando è indicata
La brachiterapia, però, è indicata in casi selezionati: «Quando il tumore della prostata ha minime possibilità di diffondersi», precisa l’esperto. «Inoltre, il paziente non deve avere una prostata voluminosa e problemi di ostruzione urinaria. Infine, non deve essersi sottoposto a un’operazione di chirurgia disostruttiva per ipertrofia prostatica benigna».
La brachiterapia viene effettuata in genere in anestesia epidurale e richiede un ricovero di alcuni giorni, in cui il paziente è isolato in apposite stanze schermate per le radiazioni. Una volta a casa, va seguita una terapia a base di farmaci alfalitici per alcuni mesi.
«Servono a ridurre i sintomi provocati dall’infiammazione acuta dell’uretra come dolore, bruciore durante la minzione, desiderio di urinare più frequentemente e maggiore difficoltà a trattenere lo stimolo», osserva l’esperto.
Una ghiandola trascurata
Avreste mai immaginato che più di un quarto degli uomini italiani ignora l’esistenza del tumore della prostata? Sono dati della Società italiana di urologia, secondo i quali quello alla prostata è il primo cancro per importanza negli uomini, dato che colpisce 36mila italiani ogni anno e provoca 7000 morti.
Ma non basta: oltre a essere poco informati (il 54% addirittura non sa di avere la prostata, il 22% non sa dov’è), gli uomini non fanno prevenzione: meno di uno su due va dal medico per esempio in caso di sangue nelle urine, e uno su quattro rimanda l’appuntamento nonostante il frequente desiderio di andare in bagno.
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Articolo pubblicato nel n° 28 di Starbene in edicola dal 25 giugno 2019