Identikit dell’insonnia: chi ne soffre, conseguenze e soluzioni
Disturbo molto diffuso e dal forte impatto sociale ed economico, l’insonnia riguarda soprattutto donne e anziani. Nella forma cronica, colpisce quasi il 13% degli italiani: quanto l’intera popolazione del Lazio! Ne parliamo con un grande esperto
Sono sempre di più gli italiani che soffrono di insonnia. Un problema, perché un buon riposo è indispensabile per la nostra salute. Il sonno contribuisce al recupero fisico, psichico e intellettivo, e svolge un ruolo di prevenzione a lungo termine.
Di insonnia, disturbo molto diffuso e dal forte impatto sociale ed economico, abbiamo parlato con Luigi De Gennaro, professore ordinario presso il Dipartimento di Psicologia, "Sapienza" Università di Roma e segretario dell'Accademia Italiana Medicina del Sonno (AIMS).
Professor De Gennaro, quanti italiani soffrono d'insonnia?
«Prima di “dare i numeri” è doveroso distinguere tra la forma acuta o a breve termine, e quella cronica. Il confine tra una e l’altra è posto dalle linee guida internazionali a tre mesi. Nella forma “occasionale”, che prevede dunque qualche sporadico episodio d’insonnia, i numeri si aggirano addirittura intorno al 30% della popolazione.
Ma la patologia vera e propria è quella cronica che dunque si manifesta con una certa continuità dopo i tre mesi e colpisce una fetta di popolazione tra il 10 e il 13%. Per farci un’idea è come se l’intera popolazione del Lazio soffrisse d’insonnia cronica!».
Quali conseguenze ha sulla quotidianità una cattiva qualità del sonno?
«Ci sono diversi impatti sulla funzionalità diurna. In alcuni casi, l’insonnia porta alla diminuita efficienza lavorativa e prestazionale, con episodi di sonnolenza durante il giorno. Ma anche un significativo impatto sull’incidentistica stradale.
Gli economisti di diversi Paesi hanno provato a calcolare l’impatto economico e si è arrivati a quantificare i costi diretti e indiretti dell’insonnia in una forchetta tra l’1 e il 2% del Pil. È come dire che i costi delle prestazioni sanitarie, della diminuita efficienza lavorativa e scolastica e degli incidenti stradali corrispondono a una “piccola finanziaria”».
C’è un’incidenza maggiore sulle donne?
«È un dato consolidato ovunque nel mondo: l’insonnia è donna e riguarda anche gli anziani. Nelle nostre indagini osserviamo come le alterazioni del sonno nelle donne abbiano un’incidenza del 40-50% in più rispetto agli uomini. E, indipendentemente dal genere, col progredire dell’età progredisce anche l’insonnia. Quindi, le due categorie più fragili ed esposte all’insonnia sono il genere femminile e l’anziano.
Le motivazioni? Con l’avanzamento dell’età si ha una diminuita efficienza nella secrezione del cosiddetto ormone del buio prodotto spontaneamente, la melatonina. Più in generale, gli anziani anche quando non soffrono di insonnia e non presentano alcun disturbo, hanno un sonno più superficiale e più frammentato. Sull’incidenza maggiore nel sesso femminile non abbiamo invece risposte univoche. Certamente c’è un picco nell’insonnia con la menopausa, tanto che se si guardano le statistiche, fino a 50 anni circa i due sessi vanno più o meno di pari passo. La forbice si allarga dopo».
Quali sono gli strumenti terapeutici?
«Le linee guida internazionali dicono che la forma acuta (entro i 3 mesi) vede come prima linea di trattamento i farmaci (i comuni sonniferi). Mentre nella patologia cronica viene indicato come trattamento la terapia cognitivo-comportamentale. Tuttavia, una percentuale molto piccola di insonni sceglie la strada della terapia, più lunga e costosa, in favore dei farmaci.
Ma se noi leggiamo qualsiasi bugiardino dei sonniferi tradizionali si consiglia di non superare un mese. La conseguenza è che si sviluppino forme di dipendenza. C’è però da sottolineare come da alcuni anni la farmacologia stia cambiando con l’introduzione di una classe di farmaci prescrivibili senza dare dipendenza, anche se hanno un costo elevato».
A livello preventivo possono aiutare attività olistiche che favoriscono il relax?
«Seppur non esista un’evidenza scientifica, tra le metodiche che permettono un cambio di abitudini ci sono anche le pratiche di rilassamento, come ad esempio il training autogeno o la mindfulness. Certamente non rappresentano un trattamento quando c’è il disturbo, ma in ottica “preventiva” sono consigliabili anche se non risolutive.
Per quanto riguarda, invece, l’attività sportiva, quando praticata dopo cena diventa un fattore inibente il sonno e dunque andrebbe bandita nelle ore post cena, mentre ha un’azione benefica sul sonno se praticata in altre fasce orarie».
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