Un martdì mattina di 7 anni fa, un martedì mattina che sembrava uguale a tanti altri, la vita di Julia Buckley ha cambiato direzione. Julia, che oggi ha 38 anni ed è una giornalista specializzata in viaggi, era nel suo ufficio di Londra, dove vive e lavora. Il braccio destro le faceva male, ma non ci fece caso. Scrisse di getto un articolo, poi si allungò per afferrare una tazza di caffè.
E fu a quel punto che una sensazione, mai provata prima, le fece intuire che stava accadendo qualcosa di assolutamente anomalo. «Il braccio era come avvolto da fiamme che lo percorrevano a ondate, una dopo l’altra, rimbalzando senza sosta tra la clavicola e la punta delle dita. Un altro focolaio si era acceso sotto la scapola destra, e un coltello mi si era conficcato nell’ascella. Come se non bastasse, sembrava che il collo fosse appena stato schiacciato da un camion», spiega.
Mille diagnosi senza risposte
«Tutti pensano di sapere cosa sia il dolore. Ma quello cronico è diverso», ci racconta Julia. «Non è soltanto un dolore che persiste, domina. Ti avvolge nella sua oscurità, ti mette a forza i paraocchi, e alla fine tutto ciò che vedi, tutto ciò che provi, viene filtrato dalla sofferenza».
Per un anno, la giornalista inglese ha cercato di individuare la causa di questo “nemico” seguendo le strade battute della medicina tradizionale. Medici generici, neurologi, fisioterapisti, reumatologi, gastroenterologi e psicologi hanno tentato di sconfiggerlo, fallendo. Né risonanze magnetiche né scintigrafie cerebrali sono state in grado di individuare l’origine del problema.
E le diagnosi si sono sommate: sindrome dolorosa regionale complessa, sindrome di Yentl, tensione muscolare, sindrome da tachicardia posturale ortostatica, fibromialgia, encefalomielite mialgica, ansia, vertigine parossistica posizionale benigna, fatica cronica e, persino, intolleranza al glutine.
Non ero più in grado di fare nulla
Il dolore non le dava tregua. Scrive nel libro Avrò cura di te (Sonzogno, 17,59 euro): «Non potevo lavorare, non potevo scrivere, non potevo prendere i mezzi pubblici, non potevo indossare vestiti che avessero dei bottoni, non potevo affettare le verdure, non potevo lavare i piatti. Non potevo neanche lavarmi i capelli».
Le soluzioni farmacologiche, poi, avevano effetti collaterali ben più devastanti. E l’unica soluzione sembrava quella di arrendersi alle terapie palliative (e non curative) proposte dal team di gestione del dolore del sistema sanitario inglese.
Ma Julia non si è arresa. «Ho provato di tutto», ammette. «Mindfulness, reiki, agopuntura, massaggi di ogni tipo, spray alla cannabis...». Si è anche rivolta a Dio, cercando nella fede i segnali per la sua guarigione, a terapeuti new age, a sciamane, spostandosi da Bali ad Haiti, da Johannesburg alla Puglia di Padre Pio, fino a Lourdes, ottenendo in cambio solo rarissimi miglioramenti temporanei.
Il viaggio di Julia termina ad Abadiânia, in Brasile, nel villaggio di un noto guaritore: John of God. «Secondo i suoi seguaci, quest’uomo era in grado di curare qualsiasi malattia attraverso la “chirurgia spirituale”. Per me era poco più di un ciarlatano. Comunque, ero indebitata, esausta e depressa. E lui era la mia ultima spiaggia», racconta. «Potrà sembrare incredibile ma è stato proprio dopo l’incontro con John of God che ho ritrovato la vita che avevo perduto».
Miracolo o suggestione?
Tra meditazioni, erbe e cristalli, Julia un giorno sente che il dolore è sparito. Ma non è mai riuscita a spiegarsi come questo sia potuto accadere. «Quell’uomo mi ha guarita in modo misterioso. E io facevo fatica ad accettarlo. Ma poi ho dovuto arrendermi».
Nessuno specialista ha saputo spiegare a Julia che cosa fosse successo esattamente. «A volte accade e basta», è stata la risposta di un medico. La scienza però, come racconta la giornalista nel suo libro (che è anche un’inchiesta sui ciarlatani della salute), ha capito qualcosa di importante: più a lungo si convive con il dolore, minori diventano le chance di liberarsene. Attraverso un processo chiamato neuroplasticità, il sistema nervoso comincia a resettarsi: i percorsi del dolore si rafforzano mentre quelli normali si atrofizzano. Un processo che può anche funzionare al contrario, dice Julia pensando alla sua esperienza.
«Non voglio credere che sia stato John of God a guarirmi. Non mi è mai piaciuto e il mese scorso è stato addirittura arrestato per reati sessuali», racconta. «Però allo stesso tempo, devo ammettere che sono guarita lì, improvvisamente. Forse è successo qualcosa che ha provocato un cambiamento nel mio cervello. O forse è stato il potere della suggestione. O un intervento angelico? Non lo so».
Julia oggi sta bene, e ha riconquistato una vita normale, ha ripreso a lavorare, ma non passa giorno in cui non pensi alla sua avventura, a quello che il dolore le ha insegnato. Nel bene e nel male. E così conclude: «Ho tratto insegnamento da tutte le esperienze fatte, ho capito le connessioni tra psiche e corpo, ho rafforzato la mia fiducia nella scienza e al tempo stesso ho scoperto che le medicine delle altre culture ci possono insegnare molto. A partire dalla fondamentale relazione medico-paziente».
I farmaci e le nuove frontiere
Per dolore cronico si intende un male debilitante che dura più di 3 mesi. Le cause: un trauma, un intervento chirurgico o altre patologie, come il mal di schiena. A soffrirne sono 16 milioni di italiani, soprattutto donne tra i 35 e i 50 anni.
Nel 29% il dolore viene sopportato, sottovalutato o trattato con antidolorifici non specifici (23%). Dopo le prime cure un quarto dei pazienti non riesce più a far fronte alla sofferenza perché i trattamenti non sono più efficaci. Questi sono i dati allarmanti diffusi nel corso del recente International Theras Day sul dolore.
«Si calcola che in Italia 4 milioni di persone soffrano di dolore cronico non adeguatamente trattato», spiega Giuliano De Carolis, presidente di Federdolore e responsabile della terapia del dolore Aou di Pisa. «Eppure, negli ultimi anni, l’approccio è cambiato. Oggi una legge dello Stato, la 38 del 2010, ha sancito il diritto alla cura del dolore cronico. Abbiamo i Centri di terapia del dolore ai quali ci si può rivolgere con una richiesta del medico di base».
La soluzione farmacologica, poi, non è più l’unica. «La nuova frontiera è la neurostimolazione», dice l’esperto. «Si tratta di tecniche che impiegano particolari correnti elettriche applicate esternamente o impiantabili sottocute vicino al nervo che scatena il dolore. Gli impulsi lo calmano e interrompono i segnali di dolore al cervello». La neurostimolazione percutanea (Pens) è in grado di alleviare il dolore già dalla prima applicazione mentre, per dolori più complessi, si interviene a livello midollare con un intervento chirurgico che impianta un piccolo dispositivo che rilascia in sicurezza lievi impulsi elettrici.
«Queste soluzioni sono prive di effetti collaterali e molto indicate per chi non può assumere certi farmaci», dice De Carolis. Sul sito di Federdolore (federdolore-sicd.it), l’elenco dei centri.
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Articolo pubblicato nel n° 9 di Starbene in edicola dal 12 febbraio 2019