È un organo un po’ dimenticato, sul quale raramente si concentra la nostra attenzione, a differenza dell’intestino, il “vicino di casa” sempre sotto i riflettori. Eppure il fegato è importantissimo, un laboratorio di biochimica che lavora anche durante il riposo notturno: anzi, il picco della sua attività metabolica è tra l’una e le tre di notte, mentre siamo immersi nel mondo dei sogni. Discreto e silenzioso, non dà sintomi e ci accorgiamo di soffrire di steatosi epatica (nota anche con il nome di “fegato grasso”) casualmente, durante un’ecografia “addome completo” prescritta per altre ragioni, come la ricerca di renella o di calcoli, o suggerita dal medico di base quando gli esami del sangue mostrano i valori della funzionalità epatica leggermente alti.
Allora, scopri con disappunto che non solo sei in sovrappeso ma anche il tuo fegato sta ingrassando. Quando gli adipociti (le cellule di grasso) sono in eccesso, infatti, arrivano a infarcire anche organi e tessuti interni, e il fegato è il primo a risentirne. Il messaggio positivo? La steatosi epatica non è una condizione irreversibile, ma può regredire con la dieta e uno stile di vita attivo.
Metabolismo: quando un disordine “tira l’altro”
La forma più frequente di steatosi epatica è quella non alcolica (detta metabolica), cioè non causata da un abuso di bevande alcoliche, che interessa il 25% della popolazione, una persona su 4.
«Un tempo si riscontrava prevalentemente negli “over 50”, oggi anche nei ragazzi e nei 30 enni», avverte il professor Luca Valenti, docente di medicina interna all’Università di Milano, Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Policlinico di Milano. «Perché con la sedentarietà e l’alimentazione moderna, troppo ricca di grassi e zuccheri, sono aumentati tutti i fattori di rischio metabolico che favoriscono l’insorgenza del fegato grasso: essere in forte sovrappeso e affetti da obesità addominale, con un girovita superiore agli 88 cm nelle donne e ai 102 cm nell’uomo; soffrire di ipertensione arteriosa; avere la glicemia alta a digiuno, i trigliceridi sopra i 150 mg/dl e un colesterolo HDL (la sua frazione “buona”) sotto i 55 mg/dl. Sono questi i principali fattori di rischio per lo sviluppo della steatosi epatica, ai quali si aggiunge l’innegabile ruolo svolto dalla predisposizione ereditaria».
Insomma, quella che oggi viene riassunta con il termine di “sindrome metabolica”, e che comprende i fattori testé elencati, è l’anticamera di un fegato minacciato da troppi grassi. Anche se è difficile quantificarli con precisione: si dice che quando la loro presenza supera il 5% del peso complessivo, scatta l’allarme steatosi.
«Nel fegato si accumulano i lipidi in eccesso, ma è importante rimarcare che non è soltanto una sorta di magazzino», puntualizza il professor Valenti. «Esso stesso produce grassi. Gli zuccheri in eccesso sono accumulati nel fegato e nei muscoli sotto forma di glicogeno e di trigliceridi, al fine di creare una fonte di energia di pronto utilizzo per l’organismo. In una persona sana, questo avviene generalmente dopo i pasti, quando il fegato si “preoccupa” di creare delle riserve energetiche. Se però si consumano troppi dolci e si soffre di resistenza periferica all’insulina (una condizione, ahimè, oggigiorno molto diffusa) il fegato non lavora solo in concomitanza dei pasti, ma è costretto a lavorare anche a digiuno per far fronte a questo eccesso di zuccheri in circolo, che converte in grassi di deposito, pronti a rimpinguare il tessuto adiposo. Inoltre, le microscopiche “goccioline” di colesterolo e trigliceridi rappresentano un abnorme accumulo di grasso all’interno degli epatociti (le cellule del fegato), che aumentano di volume e diventano ipertrofici. Chi soffre di steatosi, infatti, ha in genere il fegato ingrossato».
Il brutto è che non si tratta di un problema localizzato. L’eccesso di colesterolo e trigliceridi, sia assunti dagli alimenti sia sintetizzati dal fegato, viene “impacchettato” e trasportato dalle lipoproteine: quello che non viene smaltito si accumula sulle pareti arteriose, favorendo la comparsa dell’aterosclerosi: indurimento delle arterie e pericolosa formazione di quegli ateromi (o placche ateromasiche) che possono causare ictus e infarto. Insomma, è tutto collegato: grassi e zuccheri, steatosi epatica, diabete e patologie cardiovascolari. Con una visione sempre meno settoriale, infatti, la scienza medica tende oggi a curare non il singolo organo ma l’intera persona, indicandole la via dell’equilibrio e di un ritrovato benessere globale.
Perché bisogna correre ai ripari
Se anche a te l’ecografista ha rivelato che hai il fegato grasso, non sottovalutare la cosa prendendola come un dato morfologico. Ma comincia a rimbaccarti le maniche per evitare spiacevoli conseguenze per la tua salute. Se non curata, la steatosi epatica potrebbe infatti evolvere in forme più gravi come l’infiammazione cronica del fegato (rilevabile, per esempio, dal rialzo delle transaminasi, delle gamma GT e della ferritina) e la fibrosi epatica, cioè la formazione di tessuto cicatriziale che ne compromette la sua funzionalità. Step by step, si può scivolare nello stadio di cirrosi epatica fino ad arrivare al tumore (epatocarcinoma).
«Per questa ragione, chi presenta un fegato grasso dovrebbe consultare uno specialista che valuta se prescrivere o meno un esame, chiamato elastografia, che consente di fare una diagnosi più accurata », aggiunge il professor Luca Valenti.
«Simile all'ecografia, è una tecnica di imaging che serve a misurare l’elasticità del tessuto epatico per capire, attraverso la resistenza che offre, si sta instaurando un quadro di fibrosi. L’indicazione all’elastografia viene fatta dal medico in base a un punteggio (il cosidetto FIB-4, o indice del grado di fibrosi), ovvero un calcolo matematico eseguito mettendo in relazione l’età del paziente, le sue transaminasi e il numero di piastrine».
Dieta e sport, in attesa dei farmaci
Ma come si cura il fegato grasso? Farmaci disponibili per ora non ce ne sono. C’è solo una molecola innovativa che è appena stata approvata dalla FDA statunitense il febbraio 2024, che dovrebbe presto seguire l’iter di approvazione anche in Europa. «Si chiama resmetirom e tecnicamente è un “agonista selettivo dei recettori beta degli ormoni tiroidei”: stimola il consumo dei grassi da parte del fegato evitando situazioni di lipotosiccità», puntualizza l’esperto. «In attesa che entri in commercio, è bene seguire una “multistrategia”. Innanzitutto è consigliabile dimagrire e rientrare nel peso forma: se ci si mette a dieta anche il fegato ne beneficia, diminuendo la quota di trigliceridi all’interno degli epatociti.
Chi non riesce a perdere peso con la sola forza di volontà, può rivolgersi a un centro di epatologia, per la cura del diabete o delle dislipidemie e farsi prescrivere un farmaco per ipoglicemizzante che aiuti a dimagrire, come la semaglutide che fa parte degli “analoghi del GLP-1”. Circa la dieta, bisogna tagliare tutti i cibi ultraprocessati (che hanno, cioè, subìto ripetute lavorazioni industriali) che sono ricchi di olio di palma e di acidi grassi trans. Sono soprattutto creme spalmabili al cacao, nocciola o pistacchio, margarine, snack dolci e salati da “macchinetta” come salatini e crackers, patatine in busta o surgelate, piatti pronti ricchi di salse, cotolette o bastoncini di surimi già impanati (meglio preparare l’impanatura da sé)».
Vanno privilegiati i cibi freschi, da cucinare: carboidrati integrali, carne bianca, pesce, legumi, frutta e verdura di stagione. Giro di vite anche per i formaggi grassi e gli insaccati che apportano un’elevata quantità di lipidi, oltre che di sale, e per tutti gli alimenti dolcificati con fruttosio. Uno studio della scuola di Medicina dell’Università della California, pubblicato ad agosto del 2020 su Nature Metabolism dimostra che l’uso eccessivo e prolungato di fruttosio causa steatosi epatica, mentre è ben tollerato quello presente in quantità modeste nelle frutta. E poi, ca va sans dire, per mettere a dieta il fegato occorre incrementare l’attività fisica, il grande assist al miglioramento del metabolismo dei grassi e degli zuccheri. Preziosa soprattutto perché porta a una modificazione della composizione corporea, con la riduzione della massa grassa a vantaggio di quella magra, cioè dei muscoli che “consumano” di più.
E che dire delle erbe amare, inneggiate dalla tradizione popolare per depurare il fegato? Carciofo, boldo, tarassaco, cardo mariano fanno bene? «Esistono poche evidenze scientifiche a riguardo», risponde il professor Luca Valenti. «L’unica sostanza vegetale studiata a fondo è la silimarina presente nel cardo mariano, che può aiutare il fegato a depurarsi. Anche il caffé, spesso demonizzato, può migliorare il metabolismo lipidico, così come la vitamina E e gli antociani dei frutti di bosco: potenti antiossidanti naturali, contrastano l’ossidazione dei grassi».
Quando è colpa dell'alcol
Se pensi che la steatosi epatica alcolica interessi solo gli alcolisti, sbagli di grosso. Riguarda anche molti giovani che hanno l’abitudine di farsi l’aperitivo tutte le sere, smangiucchiando solo qualche carotina. Così l’alcol viene assorbito più rapidamente e raggiunge il fegato dove viene convertito metabolicamente in grasso, oltre ad avere una tossicità diretta sugli epatociti. «L’abuso di alcol infiamma il fegato e causa il rialzo delle transaminasi», spiega il professor Luca Valenti.
«Ed esistono molti adolescenti con un fisico magro e asciutto che soffrono già di fegato grasso proprio per il consumo “sportivo” di bibite alcoliche. L’ideale sarebbe consumarle a piccole dosi: non più di 2 bicchieri di vino al giorno per la donna (notoriamente carente di alcoldeidrogenesi, l’enzima utile alla sua degradazione), e non più di tre bicchieri per l’uomo». E se al posto del vino si beve la birra o un aperitivo anche moderatamente alcolico, come coca e rhum, il limite è lo stesso. Se si sono già bevuti i bicchieri concessi, niente caffè corretto o bicchierino di limoncello a fine pasto.
3 rimedi naturali antigrasso
Fragole, ribes, more e lamponi migliorano il tuo profilo lipidico. E anche il caffè, se consumato con moderazione, può darti una mano. Ma il “top di gamma” per depurare il fegato è il cardo mariano, protagonista assoluto degli integratori con funzione epatoprotettrice. Racchiude la silimarina, una sostanza attiva nel ridurre i grassi all’interno degli epatociti.
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