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Fecondazione assistita: le nuove conquiste

Grazie a tecniche sofisticate e macchinari d’avanguardia le percentuali di successo sono aumentate. Gli esperti spiegano tutte le novità

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Gli ultimi dati del registro nazionale Pma (Procreazione medicalmente assistita) dell’Istituto superiore di sanità rivelano un trend in crescita. Oggi, in Italia, il 2,6% dei bambini nasce grazie alle tecniche di fecondazione artificiale.

Una cicogna sempre più tecnologica, preziosa per quelle 38.000 coppie italiane che non riescono ad avere figli e, dopo un anno di entativi, decidono di affidarsi alla Pma. Ma se sono tanti i progressi fatti, restano ancora parecchi ostacoli pratici da superare. Ecco i risultati della nostra inchiesta.


1 Quali sono le novità che hanno elevato la percentuale di successo?

«L’affinamento delle tecniche di fecondazione assistita, la maggior specializzazione di équipe mediche “dedicate” e l’avvento della vitrificazione, una tecnica di crioconservazione più sicura dei precedenti metodi di congelamento degli ovociti (le cellule uovo da fecondare)», risponde la professoressa Elenora Porcu, docente di ostetricia e ginecologia all’università di Bologna e responsabile del Centro di sterilità e fecondazione assistita del Policlinico Sant’Orsola-Malpighi di Bologna.

«Consiste nel portare la temperatura dell’azoto liquido a -196 °C in modo così rapido (meno di un minuto) da impedire la formazione di quei cristalli di ghiaccio che, prima, compromettevano la salute dell’ovocita. Senza contare che molti andavano persi durante lo scongelamento», risponde la professoressa Porcu.

«Con la vitrificazione, tecnica che il Sant’Orsola ha adottato per primo in Italia, gli ovociti vengono conservati in maniera ottimale al 100%. Altro grande passo avanti è stato il trasferimento in utero di 3 embrioni al massimo per volta (limite divenuto obbligatorio con la legge 40).

Prima se ne impiantavano anche 4 o 5, con il rischio di gravidanze plurime che portavano la nascita di bambini prematuri, con gravi deficit di accrescimento. Personalmente scelgo quanti impiantarne di volta in volta: solo uno, se la mamma è giovane e la qualità dell’embrione è ottima (con grandi probabilità, quindi, di attecchire), due o anche tre, se è già avanti con gli anni e in più gli embrioni non brillano per qualità».

Ma la svolta che ha fatto impennare la share di successo è la pratica di impiantare il blastocisti, cioè l’embrione a 5-7 giorni di vita invece di 1 o 2. «La sua crescita viene monitorata in real time, cioè minuto per minuto, tramite una modernissima macchina chiamata Embryoscope.

Quindi, viene prelevato per il transfer in utero quando raggiunge le condizioni ottimali per l’atticchimento», spiega il professor Antonio Pellicer, presidente del gruppo internazionale Ivi (Instituto valenciano de infertilidad) e direttore del centro Ivi di Roma.

«La maggior percentuale di successo di questa tecnica è dovuta anche al fatto che l’embrione non viene continuamente tirato fuori e rimesso in incubazione per controllarne lo sviluppo, ma monitorato dall’esterno», commenta il professor Marco Filicori, direttore dei centri di fecondazione assistita Gynepro di Bologna e Verona e presidente Cecos Italia, l’associazione che riunisce diverse strutture private.

Nei centri pubblici italiani, però, la tecnica del blastocisti non è praticata. La si può effettuare in alcuni centri privati convenzionati come l’Irrccs San Raffaele di Milano ma non viene fatta di routine. Come mai? «Forse perché l’Embryoscope costa molto e rappresenta una spesa sanitaria notevole», spiega Filicori.


2 Come scegliere il centro di procreazione?

«Purtroppo in Italia non esiste un’informazione esaustiva di carattere istituzionale», risponde la dottoressa Maria Paola Costantini, avvocato che per anni si è occupato di fecondazione artificiale per Cittadinanzattiva.

«Le coppie in cerca di un bimbo navigano a vista, basandosi sul passaparola di parenti e amici o andando a caccia di informazioni su Internet. I centri di eccellenza in Italia esistono ma hanno una distribuzione a “macchia d’olio”, diversa da Regione a Regione.

Vi sono degli ottimi punti di riferimento anche al Sud (per esempio all’ospedale di Catania) ma alcune Regioni, come il Molise, ne sono del tutto prive e costringono le coppie ad alimentare il “turismo procreativo”, in Italia o all’estero.

Il mio consiglio è di rivolgersi a centri che hanno un’ampia casistica e che, su richiesta, a volte rilasciano le percentuali di successo delle diverse tecniche e persino il curriculum dei ginecologi specializzati».


3 I tempi di attesa sono lunghi?

Nelle strutture pubbliche bisogna armarsi di pazienza. «All’ospedale Sant’Orsola di Bologna, eccellenza nella sanità pubblica italiana per quanto riguarda la fecondazione assistita, i tempi di attesa
vanno da un anno a un anno e mezzo», risponde la professoressa Eleonora Porcu. Una media che ispecchia le altre realtà italiane.

«Nei centri Ivi (le sedi più frequentate dagli italiani sono quelle di Barcellona, Valencia, Madrid e, da un anno e mezzo, Roma) si attendono 2-3 settimane », risponde il professor Pellicer. Interviene il professor Marco Filicori: «Anche nei centri Gynepro i tempi di attesa sono molto inferiori rispetto a a quelli del servizio pubblico: si va da 3-4 settimane per tecniche quali l’inseminazione intrauterina o la Fivet (la fecondazione “in provetta”), a un massimo di 3 mesi per la Fivet eterologa (con ovulo di una donatrice).

Per accorciare i tempi di attesa, noi abbiamo stipulato un accordo con un partner spagnolo che si prende in carico tutto l’iter dell’ovodonatrice: stimolazione ormonale (12-14 giorni), pick-up (aspirazione degli ovociti maturati) crioconservazione degli stessi e spedizione ai nostri centri».


4 Che costi deve affrontare chi ricorre alla fecondazione assistita?

Nei centri pubblici i costi variano molto da Regione a Regione, perché variabile è il ticket. «L’Emilia Romagna è l’unica a far pagare solo le ecografie di monitoraggio durante la stimolazione ovarica», spiega con orgoglio la professoressa Porcu.

«In altre regioni invece, come la Toscana, per la Fivet si paga un “superticket” di circa 1000 euro che però aumenta fino a triplicare in caso di eterologa». Esiste una proposta di una “tariffa unica convenzionale” in tutte le Regioni ma non è ancora passata al parlamento. Nei centri privati ovviamente si paga di più.

«I costi dipendono dal percorso al quale la coppia viene indirizzata, in base all’età della donna, ai suoi pregressi tentativi falliti (insuccesso delle fecondazioni assistite o aborti ripetuti), nonché dai problemi emersi dagli esami, che segnalano un’insufficienza ovarica piuttosto che un’endometriosi, un’occlusione tubarica o l’assenza o la scarsa vitalità degli spermatozoi», dice il professor Pellicer. 

«Occorre, infatti, sapere che il 40% dei casi di sterilità dipendono da “lei”, il 40% da “lui” e il 20% vanno sotto il nome di sterilità idiopatica perché attribuibili a una sorta di incompatibilità di coppia. In base alla diagnosi, si decide l’iter da intraprendere».

Dal nostro sondaggio sui centri privati risulta che un’inseminazione intrauterina costa poche centinaia di euro, la Fivet con ovociti propri costa circa 5000, mentre la Fivet con ovociti da ovodonatrice può arrivare a costare 9000-10000 euro, perché in questo caso vengono pagati i farmaci ormonali destinati alla donatrice e la donazione stessa.


5 Quali sono gli scogli ancora da superare?

«Innanzitutto, l’irrisolta questione della fecondazione eterologa», risponde Maria Pia Costantini. «A tre anni dalla sentenza della Corte costituzionale che ha reso possibile anche in Italia il ricorso alla fecondazione effettuata con gameti esterni alla coppia, mancano ancora “linee guida procedurali”, cioè su come l’ovodonazione debba avvenire e quale procedura seguire. Ad esempio, non esistono moduli di consenso informato per la donatrice né per la ricevente.

Inoltre, permane la difficoltà a reperire le ovodonatrici che in Italia non percepiscono alcun indennizzo. Le varie proposte di attribuire loro un “gettone”, come avviene per la donazione di midollo osseo, sono rimaste lettera morta. Fatto che spinge le coppie a bussare alle porte dei paesi d’Oltralpe dove la fecondazione eterologa è già una pratica clinica consolidata.

«A parte la difficoltà a reperire i gameti, la sentenza della Corte costituzionale parla chiaro: si può ricorrere all’eterologa solo “in caso di assoluta e irreversibile sterilità della coppia”, ampiamente documentata come una vera e propria malattia», puntualizza la professoressa Eleonora Porcu.

«Una clausola che esclude tutte le quarantenni in cerca di un figlio che non sono “ammalate” di sterilità ma semplicemente hanno procrastinato nel tempo la scelta di diventare mamme e sono biologicamente penalizzate dall’età. La loro difficoltà a restare in dolce attesa è un fatto fisiologico, non una malattia. Quindi, a rigor di logica, non rientrano nei casi stabiliti dalla sentenza».


Come variano le probabilità di restare incinta?

Nei centri pubblici la percentuale media di successo della fecondazione omologa (senza ricorso all’ovulo di una donatrice) è del 18,2%. Ma al Sant’Orsola di Bologna la probabilità sale al 20% per la mologa e al 33% per la eterologa (con ovulo di una donatrice). Nei centri privati le chance aumentano (anche grazie al maggior ricorso all’eterologa e all’impianto dei blastocisti).

«All’Ivi la percentuale è del 70% al primo tentativo e del 90% al secondo», assicura il professor Antonio Pellicer. «Da noi le chance al primo ciclo di fecondazione superano il 60%», dice Marco Filicori,
presidente Cecos.


Dove finiscono gli ovociti e gli embrioni congelati?

In assenza di una normativa, la situazione varia. «Al Sant’Orsola, dopo un anno dall’arrivo del bimbo, facciamo una ricognizione chiedendo alla coppia se ha in programma un altro figlio», spiega Elenora Porcu.

«Se la risposta è sì, prolunghiamo la crioconservazione senza alcun sovrapprezzo, programmando una seconda ricognizione dopo un paio d’anni». Nei centri privati vengono tenuti 2 o 3 anni gratis. Poi, si paga circa 600 € all’anno per ogni anno in più.


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Articolo pubblicato sul n.46 di Starbene in edicola dal 31/10/2017

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