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Fecondazione assistita, Monica Leofreddi: «Vi racconto come affrontarla»

La testimonianza della conduttrice televisiva, ormai madre di due teenager, “scalda” le speranze delle coppie che hanno difficoltà a diventare genitori. La buona notizia, poi, è che oggi ci sono trattamenti ormonali più pratici e facili da dosare



Diventare genitori è un percorso bellissimo che, dal concepimento in avanti, a tratti è misterioso e a tratti chiaro, a volte discesa, altre in salita. Ma per il 15% della popolazione adulta italiana i problemi iniziano prima, perché questa esperienza così importante non riesce a prendere il via, secondo i dati dell’Istituto Superiore Sanità.

A testimoniare tale difficoltà ci sono anche i numeri delle persone che chiedono aiuto alla medicina: solo nel nostro Paese, il Rapporto sull’andamento delle nascite dell’Ufficio Statistica del Ministero della Salute, riferisce che dal 2012 al 2022 il ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita (PMA) è cresciuto del 73%. Segno che il desiderio di famiglia è più forte dell’ostacolo riproduttivo, e in questo slancio di maternità si riconosce Monica Leofreddi, conduttrice televisiva, che a distanza di anni dalla nascita dei suoi figli (Riccardo, 15 anni, Beatrice, 13) ha ancora una volta portato in pubblico, nel corso di un incontro di IBSA farmaceutici sugli avanzamenti della ricerca, la sua testimonianza di madre felice ma con una partenza un po’ complicata.


Monica, hai figli adolescenti ma tu sei ancora in prima linea se si parla di fecondazione medicalmente assistita…

Sì, quando mi chiedono di raccontare la mia storia non mi tiro indietro. Lo faccio per dare speranza e solidarietà alle tante donne che desiderano un figlio, ma non ci riescono. Se la mia esperienza può portare aiuto, conforto a un’altra futura madre sono solo contenta, capisco nel profondo chi sta vivendo questo problema. Vorrei lanciare un altro messaggio a cui tengo molto: è vero che stiamo parlando di vita, un tema che esige sempre il massimo rispetto ma la fecondazione assistita è una cura medica al pari di altre. Non deve essere essere accompagnata, quindi, da un giudizio necessariamente morale.


Quando hai scoperto le tue difficoltà?

Tardi, solo quando ho conosciuto mio marito a 37 anni e con lui è scattato il desiderio di mettere su famiglia. Ma dopo un anno che non succedeva nulla, ho iniziato a chiedere aiuto alla medicina, e da quel momento sono entrata in un vortice di visite, esami e possibili soluzioni terapeutiche. E quando ho preso in considerazione la fecondazione assistita, a quel punto mi è sembrato tutto normale. Ho continuato a tentare per sei anni facendo tutti gli step della terapia, come succede quando si intraprende una qualsiasi cura.


Com’è stato questo percorso?

Le difficoltà maggiori ci sono state nella fase diagnostica, quando ero alla ricerca del medico giusto. Con ogni nuovo specialista si ricominciava tutto daccapo con gli esami finché non ho trovato quello che faceva per me. Per la buona riuscita delle terapie, infatti, conta moltissimo rivolgersi a una persona di cui si ha piena fiducia. Ogni donna deve scegliere la propria strada, e non cedere né alle scorciatoie né alle sirene miracolistiche ma dare retta essenzialmente al proprio istinto.


Ti sei mai sentita impotente come donna?

Quando inizi un cammino di questo tipo, sei obbligata a guardare in faccia alla realtà. Ogni tentativo di fecondazione è sì un’opportunità ma devi mettere in conto che può fallire, come succede e come mi è successo. Vivevo l’insuccesso, anzi lo vivevamo (con mio marito), come un lutto, e il dolore si rinnovava ogni volta che lo raccontavo. Mi sono convinta infatti che è meglio non condividere questo percorso con troppe persone, perché più se ne parla più s’amplifica il senso di catastrofe. Noi abbiamo fatto squadra da soli, nessuno sapeva dei nostri tentativi per avere figli. Lo abbiamo vissuto come un elemento di coesione della coppia, per non sprecare energie a spiegare e a raccogliere consigli.


Dal punto di vista fisico, invece?

Inutile nasconderlo, le cure ormonali con i suoi continui esami e la somministrazione del farmaco schedula la vita di una donna (e di una coppia) che viene ritmata sui tempi e i modi della terapia. E poi i farmaci si fanno sentire nell’organismo, è come avere convivere sempre con i sintomi (amplificati) del ciclo mestruale, dal gonfiore, agli sbalzi d’umore e alla fragilità psichica.


Hai cambiato ritmo di vita per favorire la gravidanza?

Ci ho provato, ed è andata male. A un certo punto, l’unica volta che avevo smesso di lavorare non sono riuscita neanche a fare l’impianto. Quindi, mai colpevolizzarsi e cercare di rivoluzionare la propria vita, anzi conta molto di più accettarla un po’ come viene in quel momento.


Ma se non fosse andata bene con la fecondazione assistita, saresti andata oltre?

Non lo so. Comunque, mai dire mai, me lo ha insegnato la vita. Quando ero giovane, ero contraria alla fecondazione assistita, la vedevo come un accanimento terapeutico. Ma i fatti concreti della vita mi hanno portato in un’altra direzione, e sono felicissima di averlo fatto. Però ancora non posso sentire chi parla di “fecondazione artificiale”. Non c’è nulla di artificiale nella procreazione medicalmente assistita. Un bambino è sempre il frutto dell’amore dei suoi genitori, anche quando è venuto al mondo con l’aiuto della medicina.



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