Con il termine favismo vengono indicati i sintomi (a volte gravi) dovuti al consumo di fave. All’origine del favismo vi è una carenza dell’enzima G6PD (Glucoso-6-Fosfato- Deidrogenasi). Questo enzima serve a proteggere le cellule dall’ossidazione. È presente in tutti i tessuti del nostro corpo, ma il suo deficit provoca danni quasi esclusivamente ai globuli rossi. La carenza della Glucoso-6-Fosfato-Deidrogenasi è ereditaria. Il gene dell’enzima G6PD si trova sul cromosoma X. Di questo gene sono state individuate più di 400 varianti, che determinano livelli diversi di funzionalità dell’enzima G6PD, da normale a molto deficitaria. In Italia la più rappresentata è la variante mediterranea (GdB-).
I sintomi del favismo
- Anemia emolitica acuta (cioè dovuta alla distruzione improvvisa dei globuli rossi), che si manifesta con pallore, stanchezza, difficoltà respiratorie, ipotensione, tachicardia, vertigini e persino brividi, febbre, dolore alla zona lombare e all’addome nei casi più gravi.
- Ittero (pelle e parte bianca degli occhi di colore giallastro, urine scure), dovuto all’incapacità del fegato di eliminare la bilirubina prodotta in eccesso a causa della distruzione dei globuli rossi (la bilirubina è il risultato della degradazione dell’emoglobina). Nei neonati la bilirubina può depositarsi anche nel cervello, con il rischio di danneggiarlo e causare ritardo mentale.
- Insufficienza renale acuta (molto rara nei bambini), con nausea, vomito, confusione mentale e riduzione, ma non sempre, della produzione di urine.
- Ingrossamento della milza, che è chiamata a un superlavoro per eliminare i globuli rossi danneggiati.
La maggior parte delle persone con una carenza dell’enzima G6PD rimane asintomatica per tutta la vita, mentre altre hanno la prima crisi emolitica in età avanzata. Chi non ha mai avuto un’anemia da distruzione dei globuli rossi non può quindi escludere la possibilità che ciò possa prima o poi accadere.
Chi è più a rischio di avere sintomi gravi
In genere la crisi emolitica è maggiore nei maschi e nelle femmine omozigoti. I maschi hanno un cromosoma X e un cromosoma Y. E se il cromosoma X ha il gene difettoso la carenza di G6PD è certa. Le femmine hanno due cromosomi X e quindi due geni della G6PD. Se (ma è un’eventualità rara) sono entrambi difettosi (femmine omozigoti) il deficit è conclamato. Se invece solo uno dei due geni è difettoso (femmine eterozigoti) la carenza della Glucoso-6-Fosfato-Deidrogenasi può essere più o meno marcata. Durante la vita embrionale, infatti, uno dei due cromosomi X viene inattivato (è il fenomeno della lyonizzazione).
Il cromosoma da “silenziare” è scelto a caso fra i due disponibili, e una persona può quindi avere cellule con X diversi, ovvero, sia X con il gene difettoso sia X con il gene sano, in quantità differenti. In altre parole, le femmine eterozigoti possono avere una prevalenza di X con l’enzima G6PD normale o, al contrario, una prevalenza di X con l’enzima G6PD carente o, ancora, un numero più o meno uguale di X con enzima carente o enzima normale.
Come avviene la trasmissione del gene “difettoso”
Vediamo le varie possibilità:
- Se la X del padre è normale e quelle della madre sono una normale e una difettosa (madre eterozigote) i figli potranno essere: - sani (50% dei maschi e 50% delle femmine) - con deficit certo dell’enzima G6PD (50% dei maschi) - con deficit variabile, per l’inattivazione casuale di una delle due X, dell’enzima G6PD (50% delle femmine)
- Se la X del padre è normale e quelle della madre sono entrambe difettose (madre omozigote) i figli saranno: - con deficit certo dell’enzima G6PD (100% dei maschi) - con deficit variabile, per l’inattivazione casuale di una delle due X, dell’enzima G6PD (100% delle femmine)
- Se la X del padre è difettosa e quelle della madre sono entrambe normali, i figli saranno: - sani (100% dei maschi) - con deficit variabile, per l’inattivazione casuale di una delle due X, dell’enzima G6PD (100% delle femmine)
- Se la X del padre è difettosa e quelle della madre sono una normale e una difettosa (madre eterozigote) i figli potranno essere: - sani (50% dei maschi) - con deficit certo dell’enzima G6PD (50% dei maschi e 50% delle femmine) - con deficit variabile, per l’inattivazione casuale di una delle due X, dell’enzima G6PD (50% delle femmine)
- Se la X del padre è difettosa e quelle della madre lo sono entrambe (madre omozigote) i figli saranno: - con deficit certo dell’enzima G6PD (100% dei maschi e 100% delle femmine)
La diffusione del favismo
La carenza della glucosio-6-fosfato deidrogenasi è il deficit enzimatico umano più comune. È diffusa in tutto il mondo (si stima che coinvolga globalmente 500 milioni di persone), ma è particolarmente presente in Africa (soprattutto centrosettentrionale), Medio Oriente, Asia e nei Paesi che si affacciano sul Mediterraneo. Da noi interessa circa 400.000 persone.
Secondo i dati dell’Associazione italiana di ematologia e oncologia pediatrica Aieop, nell’Italia continentale l’incidenza media della carenza di G6PD è dello 0,4%, in Sicilia dell’l%, mentre in Sardegna raggiunge il valore medio di 14,3% con un picco del 25,8% nella provincia di Cagliari.
Che cosa scatena i sintomi del favismo
I sintomi si manifestano spontaneamente solo nei neonati. Dopo il primo mese di vita, invece, possono presentarsi in seguito all’ingestione di fave (il fattore scatenante più noto) o all’assunzione di farmaci o all’esposizione a particolari sostanze oppure a causa di infezioni batteriche o virali o di una cheto-acidosi diabetica (per la verità rarissima nei casi di diabete di tipo 2 o non insulino-dipendente). Tutti questi fattori hanno un’azione ossidante, che nelle persone con deficit dell’enzima G6PD può innescare la distruzione dei globuli rossi.
Mangiare fave o prendere determinati farmaci o entrare in contatto con alcune sostanze a rischio non determina sempre e inevitabilmente un’emolisi, perché il danno ai globuli rossi è dose-dipendente.
Come prevenire il favismo
La diagnosi precoce del deficit e l’adeguata informazione di medici e pazienti sui fattori che possono scatenare una crisi emolitica sono le misure più efficaci per la prevenzione del favismo.
Gli esami da fare
Il test glucosio-6-fosfato deidrogenasi è un esame del sangue che serve per misurare l'attività dell’enzima G6PD. Per avere il risultato occorre circa 1 settimana. Il test può dare un falso negativo (escludere che vi sia un deficit anche quando c’è) se viene eseguito durante o subito dopo un episodio di emolisi: la distruzione dei globuli rossi vecchi comporta, nell’immediato, la produzione di reticolociti (globuli rossi giovani) che sono molto ricchi di G6PD.
In caso di esito negativo è quindi sempre meglio ripetere il test a distanza di alcune settimane dal primo.
Lo striscio di sangue periferico, che si esegue ponendo una goccia di sangue su un vetrino, è utile per valutare il numero, lo stadio di maturazione (l’età), la forma, la grandezza e il colore (indicatore del contenuto di emoglobina) dei globuli rossi.
Quali sono i cibi da evitare
Le fave e i prodotti che contengono farine di fave (come alcune merendine e gelati). A scatenare un’anemia emolitica sono due sostanze, la vicina e la convicina, presenti in questo legume in quantità che possono variare anche di dieci volte da coltivazione a coltivazione e arrivare a rappresentare fino al 2% circa del peso secco.
Le fave più ricche di vicina e convicina sono quelle piccole e giovani, che possono essere mangiate anche crude (rischio massimo!). Invece le fave più grandi hanno in genere un contenuto inferiore di queste sostanze che diminuisce ulteriormente se vengono cotte.
La vicina e la convicina ci sono solo nelle fave. Quindi, contrariamente a quanto riportato in alcuni siti, i piselli (come anche i fagioli, i ceci, la soia…) possono essere ingeriti tranquillamente. A dirlo è il Comitato nazionale per la sicurezza alimentare del ministero della Salute, che ha inoltre smentito l’esistenza di una possibile correlazione tra l’inalazione del polline delle piante di fave e una crisi emolitica (perché il polline non contiene né la vicina né la convicina).
I farmaci e le altre sostanze da evitare
L’Istituto Superiore di Sanità raccomanda di fare un test sull’attività dell’enzima G6PD a tutti i pazienti Covid prima di iniziare un trattamento con clorochina e idrossiclorochina (antimalarici usati anche contro il coronavirus), perché questi farmaci, avendo un’azione ossidativa sui globuli rossi, potrebbero scatenare un’anemia emolitica acuta.
Ma non sono solo questi medicinali a poter dare problemi. L’elenco è molto lungo. Ecco quello riportato nella pubblicazione “Enzimopenia G6PD” (aggiornata nel gennaio 2021) della Società italiana talassemie ed emoglobinopatie: fenazopiridina (analgesico usato per ridurre il dolore del tratto urinario), antibiotici chinolonici, nitrofurani e nitrofurantoina (batteriostatici-battericidi), nitrofurazone (batteriostatico), dapsone (batteriostatico), sulfapiridina, sulfadimidina, sulfafurazone e sulfoxone (batteriostatici), beta-naftolo e niridazolo, (antielmintici ovvero antiparassitari), rasburicasi (per l’eliminazione dell’acido urico) e poi, ancora, acetilfenilidrazina, blu di metilene, blu di Toluidina, dimercaprol, sodio dimercaptosulphonato, fenilidrazina, naftalina (anche per inalazione), lawsone, sostanza presente nell’henné (per assorbimento attraverso la cute).
Nella stessa pubblicazione si dice che non sono invece mai stati segnalati problemi con i farmaci anestetici, i liquidi di contrato utilizzati per la Risonanza magnetica, la Tac e altri esami diagnostici, i vaccini, i colori utilizzati per i tatuaggi.
Le cure
La trasfusione di globuli rossi è l’unico trattamento disponibile per curare i casi gravi di anemia emolitica.
Consulenza della dottoressa Diana Scatozza, medico, specialista in scienza dell’alimentazione e in farmacologia
Fonti: Istituto Superiore di Sanità Ministero della Salute Site (Società Italiana Talassemie ed Emoglobinopatie) Aieop (Associazione Italiana Ematologia e Oncologia Pediatrica)
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