L’effetto placebo è una vera medicina, usala così

La convinzione di prendere qualcosa che ci fa bene attiva l’autoguarigione. Scopri come funziona e in che modo sfruttarla



Dopo il Genoma, ecco spuntare il Placeboma, il progettodi ricerca inaugurato da un team di scienziati dell’Harvard Medical School. Obiettivo? Indagare sull’impronta genetica dell’“effetto placebo”. The Placebome Project si prefigge di scoprire quali sono i geni implicati nel successo o insuccesso di una stessa terapia, individuando chi è più sensibile all’effetto placebo e chi non lo è affatto.

Tutti gli studi clinici dimostrano, infatti, che nel 30% dei casi il placebo, somministrato a pazienti che credono di assumere un medicinale, funziona. Suggestioni mentali? Basi genetiche dei cosiddetti “responder”, cioè di coloro che rispondono al “finto farmaco”, privo di qualsiasi azione curativa? Per capirne di più, abbiamo intervistato il professor Marco Pistis, farmacologo del Dipartimento di Scienze Biomediche, Divisione Neuroscienze dell’Università di Cagliari.

1 Che cosa innesca l’effetto placebo?
Sono tante le dinamiche psicologiche che determinano il successo di una terapia, sia farmacologica sia fisica come una manipolazione osteopatica. Possiamo riassumerle in tre punti: la motivazione, cioè quanto sei convinta a seguire una terapia, le aspettative (cioè i benefici, in termini di salute, che ti aspetti di ottenere) e le esperienze pregresse. Se soffri di mal di testa cronico, per esempio, tutto quello che hai sperimentato prima, nel bene o nel male, crea una traccia nella mente che ti predispone ad accettare o meno, nel tuo intimo, una nuova terapia. È diverso accostarsi a un farmaco come “ultima spiaggia”, nella disillusa convinzione che anche questo funzionerà poco, o pieni di entusiasmo perché i massmedia, i social network, il giro di amici, il medico o il farmacista di fiducia hanno creato un clima di attesa positivo. È l’approccio mentale, in questo caso, che fa la differenza.

2. L’atteggiamento psicologico può decretare da solo il successo di una cura?
In un certo senso sì. Ma attenzione a non sminuire il valore intrinseco dell’atteggiamento psicologico. Dire “è solo una questione di psiche” è molto riduttivo perché presuppone una separazione tra mente e corpo che in realtà non esiste, essendo un tutt’uno. Quello che accade nella mente, a livello di aspettative, ricordi e desideri, ha degli immediati riflessi sul nostro organismo. E il Placebome Project si propone proprio di esplorare i sentieri biologici tracciati dal nostro atteggiamento mentale. Una pubblicità di questi tempi dice: “L’attesa del piacere è essa stessa piacere”. E in effetti, a livello biochimico, è realmente così. L’attesa di qualcosa che siamo convinti ci farà bene, ci fa stare meglio di per sé perché attiva i mediatori chimici del benessere.

3 . Quali sono i fattori esterni che influenzano l’efficacia di una terapia?
Molto influente è la comunicazione verbale. Il paziente dev’essere informato di tutto ciò cui va incontro perché è proprio la sua consapevolezza la chiave di volta del successo. Uno studio dell’Università della California, pubblicato su Nature, dimostra che un’iniezione di soluzione fisiologica, eseguita comunicando al paziente che si tratta di morfina, ha lo stesso effetto analgesico di 8 mg di morfina. Viceversa, questa dose si rivela insufficiente, e il paziente continua a lamentarsi e a chiedere antidolorifici, se gli viene somministrata di nascosto, senza preventiva comunicazione da parte di medici e infermieri. Un’altra ricerca italiana, pubblicata sulla rivista Pain nel 2001, conferma che la somministrazione “nascosta” di un antidolorifico è molto meno efficace della somministrazione “aperta”, preceduta da una comunicazione trasparente. Questo perché all’azione terapeutica dell’antidolorifico si somma l’effetto placebo. E i benefici si moltiplicano. Il consiglio? Diffida dei medici di base o degli specialisti che ti prescrivono la terapia senza dirti nulla, limitandosi a scarabocchiare nome, dose e posologia. Se il tuo medico ti liquida in pochi minuti, cambialo a favore di un altro che dica in modo chiaro e comprensibile che cos’è, come agisce, in quanto tempo e quali sono i pro e i contro della cura prescritta

4 .Quanto conta l’affezione a un farmaco?
Tantissimo, perché il nostro passato plasma le aspettative attuali. Ci sono donne che si affezionano alla propria pillola anticoncezionale e non la cambierebbero con nessun’altra, benché il ginecologo tenti di indirizzarle verso nuove formulazioni, più leggere e altrettanto efficaci. Così come ci sono persone che si affezionano al brand del proprio antinfiammatorio, antiacido o ansiolitico: lo prendono da anni, si trovano bene e non lo sostituirebbero con nessun farmaco generico, benché il loro medico e il farmacista li assicuri che contenga non solo la stessa dose di principi attivi ma anche gli stessi eccipienti. Preferiscono pagare di più, ma sentirsi rassicurati dal farmaco “di marca”, con quel blister, quell’etichetta, quella confezione che li accompagna da anni. Se lasciassero la strada vecchia per quella nuova, sicuramente il farmaco funzionerebbe di meno perché verrebbe a mancare l’ala protettiva del placebo. Quella che i medici chiamano compliance: l’adesione alla terapia, che ha sempre un risvolto emotivo. Quindi, se ti trovi bene con un farmaco non lasciarti dissuadere dagli altri a sperimentare nuove marche o molecole. Continua con la tua pillola, consapevole che se per te è il massimo è anche merito dell’effetto-placebo.

5 . Esiste un placebo in negativo?
Certo. La faccia opposta e speculare è l’effetto nocebo, che si verifica quando ci convinciamo che quella terapia non fa al caso nostro. Come le aspettative “buone” generano una cascata di neurotrasmettitori positivi, così un atteggiamento negativo e sfiduciato in partenza attiva il rilascio di neurotrasmettitori che acuiscono la percezione del dolore. È stato ampiamente dimostrato che se un paziente è mentalmente maldisposto vengono inibiti gli endocannabinoidi e stimolate la bradichinina e le colecistochinine, che accentuano il malessere. Pensiamo a quanto ci facciamo suggestionare dal foglietto illustrativo dei farmaci o dai forum su Internet: leggiamo gli effetti collaterali e ce li sentiamo tutti addosso! Quindi, se non vuoi incorrere nell’effetto nocebo, evita di fasciarti la testa prima del tempo, leggendo tutti i contro, e consulta solo i siti autorevoli.

Quando funziona di più?
L’effetto placebo è maggiore nelle malattie in cui la componente psicosomatica è forte. In particolare:
-lievi depressioni - Uno studio congiunto dell’Università di Tubingen (Germania) e di Baltimora (Usa), pubblicato due mesi fa su Lancet Psychiatry, rivela che anche in chi soffre di forme di depressione lievi il placebo somministrato al “gruppo di controllo” funziona nel 40% dei casi. Perché entrano in gioco l’emotività, l’attesa, la forte determinazione a uscire dal tunnel nero della depressione;
- colon irritabile - Uno studio di Harvard pubblicato nel 2005 sulla rivista scientifica Neurogastroenterology & Motility dimostra che nel colon irritabile la media dei soggetti che rispondono al placebo è superiore al 30%, arrivando al 40% con punte del 70% in pazienti molto suggestionabili. Fatto che conferma la teoria dell’intestino come “secondo cervello”.

Cosa succede nel nostro corpo
La profonda convinzione che una cura funzioni attiva i cosiddetti “oppioidi endogeni”, un insieme di molecole rilasciate dal sistema nervoso centrale che non solo migliorano il nostro benessere, ma attutiscono le sensazioni dolorose dovute a un mal di denti, di schiena o di pancia.
- Tra questi analgesici naturali, i più efficaci sono due: le endorfine e le encefaline. Oltre a ridurre la sensibilità al dolore, alzano il tono dell’umore.
- Un ruolo-chiave è giocato anche dalla dopamina, il neurotrasmettitore del piacere che viene “evocato” soltanto dall’idea di prendere qualcosa che ci farà stare meglio.
- Altrettanto importanti sono gli endocannabinoidi scoperti nel ’92 da un’équipe di farmacologi dell’Università di Gerusalemme. Si tratta di antidolorifici molto potenti, rilasciati dal sistema nervoso e responsabili di gran parte dell’effetto placebo.

Articolo pubblicato sul n. 25 di Starbene in edicola dal 09/06/2015

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