Che meraviglia gli estrogeni: sono davvero uno scudo protettivo contro moltissime malattie per tutte le donne in età fertile. Lo conferma la scienza sempre più spesso, tanto che alcuni nuovi filoni di ricerca nel mondo del farmaco vanno in questa direzione. L’attività di questi ormoni è una delle dimostrazioni più eclatanti che la medicina di genere non può più essere solo uno dei rami di sviluppo della scienza biomedica, ma diventare La Medicina. Qualche esempio di come gli estrogeni proteggono le donne? I casi di infarto al femminile prima della menopausa sono rari. Il colesterolo “rosa”? Non pervenuto. E le malattie dell’apparato respiratorio, compresi i tumori ai polmoni e alla trachea, sono nettamente maschili. Ma esiste anche un rovescio della medaglia: ne parliamo con il dottor Giacomo De Luca, reumatologo e ricercatore universitario dell’Università Vita Salute San Raffaele.
Ormoni buoni, a volte troppo potenti
Il segreto degli estrogeni sta nel fatto che potenziano la risposta immunitaria femminile. Questo spiega perché le donne rischiano molto meno una larga fetta di malattie mortali per una lunga parte della loro vita che, guarda caso, è più lunga in media di sei anni. Però, un sistema immunitario molto forte a volte può scambiare gli amici per nemici, tanto è abituato a reagire al primo allarme: ecco allora le malattie autoimmuni, che colpiscono soprattutto le donne. «Un esempio legato agli estrogeni in negativo sono proprio le malattie reumatologiche, molto più frequenti nel sesso femminile», commenta il dottor De Luca. «Oltre la metà dei casi di malattie autoimmuni poi, dal lupus all’artrite remautoide, colpiscono donne».
Il lupus, o LES, è una malattia del connettivo e si manifesta con eruzioni cutanee, febbre, stanchezza, problemi articolari; l’artrite reumatoide invece è una malattia infiammatoria che provoca dolore e gonfiore articolare. «Abbiamo visto che i punti deboli al femminile legati a queste dinamiche coinvolgono soprattutto quelle patologie in cui il ruolo degli anticorpi e delle cellule B che li producono è preminente», continua il ricercatore. «Gli estrogeni vanno ad attivare queste risposte mediate da anticorpi provocando o peggiorando malattie come la sclerosi multipla, le connettiviti in generale (con febbre, edema alle dita, artrite) e la miastenia grave (provoca forte affaticamento e debolezza), e lo fanno in una fase della vita della donna dove di solito gli ormoni sono molto protettivi, cioè fra i 20 e i 50 anni».
Ritardano le malattie gravi
Però non tutte le manifestazioni autoimmuni vengono innescate dagli ormoni. «Infatti, queste incredibili molecole a base di proteine o derivate dagli steroidi (grassi) e prodotte dalle ghiandole endocrine, in certe patologie quali il pemfigo volgare (provoca la formazione di vesciche sulle mucose) e la sindrome di Sjogren (induce secchezza oculare e orale), riducendo la risposta immunitaria mediata dalle cellule T, anche nei predestinati geneticamente ritardano la comparsa dei sintomi fino a dopo la menopausa», dice De Luca.
Il gioco dei sessi
Dunque le donne hanno ormoni a due facce: quella sorridente ne mette al sicuro la salute evitando i big killer principali per un bel pezzo della vita, quella “troppo esuberante” con il sistema immune le espone a malattie anche rare ma dai sintomi spesso insopportabili (curabili per fortuna, per esempio con i farmaci biologici). Quindi estrogeni battono androgeni quattro a tre? «A livello di mortalità nella prima fase della vita l’epidemiologia dice che è così, ma di converso gli androgeni proteggono gli uomini da molte malattie autoimmuni».
Insomma, per i ricercatori si tratta di scoprire tutti i segreti degli ormoni, qualunque “sesso” abbiano, e tradurli in diagnosi precoce, in terapie innovative e, magari, in prevenzione.
L’ecologia della salute
Tutte queste scoperte e filoni di ricerca sono stati possibili grazie allo svilupparsi della medicina di genere che oggi, per dare un termine di paragone, fra gli addetti alla salute in tutte le sue forme è importante come in ecologia lo è ormai la sostenibilità nelle scienze ambientali ed economiche. «Questo nuovo approccio clinico e di ricerca scientifica alle malattie è qualcosa di cui non possiamo più fare a meno», sottolinea il ricercatore.
«Bisogna insistere su questo concetto soprattutto con le nuove generazioni di medici, perché troppi di noi sono ancora abituati a ragionare in termini di diversità biologiche e anatomiche fra pazienti, mentre le differenze di genere sono molto più ampie e complesse. In medicina non possiamo nemmeno permetterci più di “ignorare” l’impatto delle disparità socio-culturali e dei fattori ambientali sulla fisiologia e sulla fisiopatologia, cioè sulle caratteristiche delle malattie. Sono elementi evidenti soprattutto in specialità come la cardiologia e l’endocrinologia: ipertensione, obesità, sindrome metabolica (quella condizione multifattoriale, dalla resistenza insulinica al grasso viscerale, che viene considerata l’anticamera del diabete) sono presenti di più nelle fasce di popolazione disagiate dal punto di vista economico e culturale. Nella fibromialgia per esempio, la malattia che provoca dolore ai muscoli, ai legamenti e ai tendini, è stato provato che il ruolo dell’entourage sociale del paziente ha un impatto rilevante sull’andamento della patologia. O l’obesità, che non può essere più valutata e curata senza tener conto della situazione in cui si è sviluppata». Dunque i fattori sociali e culturali vanno considerati anche quando si fa medicina.
La terapia ormonale sostitutiva
Una linea di farmaci che può rispondere alle nuove aspettative della medicina di genere in realtà c’è già: è la terapia ormonale sostitutiva, o Tos. «Le preoccupazioni iniziali legate a questi farmaci erano riferite soprattutto al rischio di scatenare malattie autoimmuni come il Lupus», spiega il nostro esperto. «Oggi siamo più tranquilli nelle prescrizioni grazie a serie metanalisi, cioè ai confronti dei dati di molteplici studi sullo stesso argomento. Per l’artrite reumatoide, poi, abbiamo visto che la Tos, combinata a immunosopressori e ai farmaci biologici, riduce l’infiammazione. Sono studi preliminari, ma dei passi decisi in questa direzione si stanno facendo».
Le pillole che copiano gli ormoni
La prima rivoluzione nel campo di molte malattie infiammatorie, autoimmuni e non solo la stanno facendo i farmaci biologici, molecole sofisticate realizzate in laboratorio, come gli anticorpi monoclonali e le terapie geniche. La seconda, proprio grazie all’espansione della medicina di genere, è quella di sintetizzare medicinali che mimino l'azione benefica immunostimolante degli estrogeni, anche per prevenire certe malattie, come l’aterosclerosi o alcune infezioni. La sfida è calibrare questi farmaci in modo che non provochino gli effetti indesiderati di questi ormoni e siano utilizzabili anche per gli uomini. «In reumatologia stiamo studiando trattamenti specifici, diversi per uomini e donne e calibrati sempre più su misura», commenta il dottor Giacomo De Luca.
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